Segreti e misteri del Tiramisù (e dove mangiare il migliore)
E' il dolce italiano al cucchiaio più famoso del mondo, variamente interpretato, variamente tradito. Le sue origini, come ogni volta che si parla di un successo, sono tuttora oggetto di disputa: è nato in Friuli o a Treviso? Potremmo riempire dieci numeri di Panorama senza venirne a capo. D’altronde, si discute ancora su terra tonda o terra piatta, cosa volete che sia discettare, a suon di pareri esperti, sul tiramisù? Il quale intanto, oltre a venir divorato con diletto ai quattro angoli del pianeta, può vantare un recente prestigioso riconoscimento: è entrato nella lista dei Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) del Veneto, per decisione del ministero delle Politiche agricole. Cosa che ha inorgoglito Treviso, città dove il tiramisù sarebbe nato, precisamente nel ristorante Le Beccherie, negli anni Cinquanta, per venire formalizzato nel 1972.
Ma lo scrittore Giovanni Comisso, nome illustre di Treviso, sosteneva che il dolce fosse sì nato in città, ma negli anni Trenta, in una casa di tolleranza, come corroborante (una sorta di zabaione) per le fatiche amatorie a pagamento. Iginio Massari, re dei pasticceri, crede invece che il tiramisù sia stato inventato, sempre a Treviso, per dare energia ai ragazzi impegnati nei compiti. Aneddoti e curiosità potremmo trovarne anche a dar retta a chi, con molte ragioni, ne sostiene le origini friulane. Per esempio, un’autorità in materia, Walter Filiputti, docente di enogastronomia all’Università di Udine e presidente del Consorzio Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori. Lui ricorda che il tiramisù già nel 2017 ebbe, in Friuli, il riconoscimento come Pat, ben prima del Veneto. Al celebre dolce, Filiputti ha dedicato un libro, nel quale si riportano un conto del 1952 all’Albergo Roma di Tolmezzo, dove veniva pagata una «trancia di mascarpone», che diventerà «tirami su» dietro suggerimento di clienti sciatori, rinvigoriti dalla prelibatezza.
A chi dare la primogenitura? La storia del tiramisù, dice bene Filiputti, è «una commedia golosa», non vale la pena di trasformarla in guerra tra Veneto (molto più potente) e Friuli. Basterebbe ricordare che si tratta di un dolce italiano. Non si trovava nei ricettari precedenti gli anni Sessanta, ma in pochi decenni si è imposto ovunque. Non c’è chef che non lo interpreti, non c’è ristorante degno di tal nome che non lo abbia in lista. La ricetta originaria - biscotti savoiardi, uova, zucchero, caffè, mascarpone e cacao in polvere - si è talvolta arricchita, i procedimenti di preparazione non sono sempre gli stessi, ma il tiramisù vince. Grazie all’equilibrio, all’armonia tra gli ingredienti che lo rende un boccone goloso, addirittura sexy, come si dice nella vulgata dei ghiottoni. Stilare la lista di dove si mangia al meglio è impresa ciclopica, ma ecco alcuni suggerimenti d’assaggio. Partiamo da Le Beccherie, a Treviso, dove viene preparato secondo la ricetta originale del «tiramesù», depositata con atto notarile all’Accademia Italiana della Cucina dal 2010. Viene servito in spicchi, con marchio in cacao (riporta l’insegna del locale) disegnato da Carlo Campeol. Inutile ricordare che in tutta Treviso il dolce con mascarpone e savoiardi è una religione. In città, ogni anno si svolge il Tiramisù World Cup: prossima edizione dal 10 al 13 ottobre.
E ora passiamo in Friuli, a Udine. Ci attovagliamo al Ristorante 1905, paradiso finedining all’interno dell’hotel Là di Moret, 4 stelle luxury, centro benessere con 66 trattamenti Spa, american bar, bistrot, centro congressi. Una storica realtà governata dalla famiglia di Edoardo Marini, con molta attenzione alla cucina. Stefano Basello, friulano autentico, è lo chef che porta avanti con passione, estrema bravura (e meno riconoscimenti di quanti meriterebbe: dov’è la Michelin?), umiltà, la missione gastronomica che vede al centro il Friuli, la sua biodiversità, le sue ricette antiche reinterpretate. Basello è famoso per il «pane del bosco», con farine ricavate dalla corteccia degli abeti di Carnia, abbattuti nel 2018 dalla tempesta Vaia: idea sostenibile che ha meritato il docufilm Pancor, diretto da Swan Bergman. Il suo tiramisù, con bagna di marsala e savoiardi homemade, ha il nome di un celebre titolo di De Sica: Ieri, oggi, domani. Viene presentato scomposto nei tre stati: ieri, il classico, che facevano le mamme; oggi, in versione stecco, per dare l’idea del tempo che fugge; domani, all’interno di una sfera-cioccolatino, futuristica, che potrebbe andare sulla Luna.
Chef Antonino Cannavacciuolo, in apparenza distante dalla cultura del tiramisù, lo propone nel suo ricettario con savoiardi di riso, finitura di rum o marsala, aggiunte di scaglia di cioccolato o pezzetti di frutta. La «stellata» Viviana Varese, che lascia il suo Viva a Milano per far faville sul lago di Como, nel ristorante dell’hotel più bello del mondo (Passalacqua a Moltrasio), non lo mette in menu - per ora -, ma lo reinterpreta in formato tartelletta di frolla al cacao, con savoiardi bagnati da caffè Nespresso, e nessuna aggiunta alcolica. Nato forse come divertissement, esiste pure il TiramiSud, messo a punto dagli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani, del rinomato Aimo e Nadia di Milano. Il sud è rappresentato dai capperi di Pantelleria (oltre che dal bergamotto candito), disposti sopra i biscotti, ricoperti da crema alla ricotta, mascarpone e yogurt greco. Che non lo sappiano là in alto, in Friuli e Veneto, sennò le dispute si faranno ancora più accese.