Un esperimento italiano all’avanguardia sta cercando di coltivare, in un piccolo vivaio, piante di crescione, ricco di nutrienti e vitamine. Obiettivo? Integrare la dieta dei cosmonauti in ambienti extraterrestri. Per esempio altri pianeti che la specie umana potrebbe un giorno colonizzare.
La nascita dell’agricoltura fu un evento cruciale nella storia dell’umanità. L’«astro-agricoltura», come si chiama nella letteratura scientifica, cioè la coltivazione delle piante in ambienti extraterrestri, segnerà forse l’inizio delle prime civiltà cosmiche. E se ci sarà una storia dell’agricoltura spaziale, un giorno l’Italia verrà ricordata grazie all’esperimento ora in corso, che ha l’obiettivo amibizioso di far crescere verdure a bordo di un satellite a oltre 6 mila chilometri dalla Terra: un risultato mai raggiunto finora, nemmeno dalla Nasa. L’Università Sapienza di Roma e l’Agenzia spaziale italiana (Asi), insieme con i ricercatori dell’Enea e dell’Università Federico II di Napoli, hanno creato con il progetto GreenCube un orto di 30 x 10 x 10 centimetri in cui è stata avviata la coltivazione di piantine di crescione. Il micro-orto è stato lanciato in orbita il 22 luglio scorso, con il volo del vettore Vega-C dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).
Per le sue caratteristiche, il crescione si presta bene a essere usato come nutrimento in viaggi verso altri pianeti. Prima di tutto, cresce velocemente anche su substrati costituiti da fibre naturali o altri materiali inerti inumiditi, fino a raggiungere il tempo di raccolta in circa 15 giorni, anche in condizioni estreme. Inoltre è molto ricco di nutrienti: vitamine, carotenoidi e flavonoidi, potenti antiossidanti naturali in grado di contrastare gli effetti negativi della vita nello spazio.
Se qualcuno pensasse che ottenere un micro-orto cosmico sia un modesto risultato dovrebbe far caso alle difficoltà di una tale impresa: le piantine devono affrontare alti livelli di radiazione, forza di gravità quasi nulla e bassa pressione dentro la camera di crescita. «Il nostro orto è alloggiato in un ambiente pressurizzato e sta trasmettendo a terra, in autonomia, tutti i dati ambientali acquisiti. Nel momento in cui le parlo stiamo facendo osservazioni con il sistema integrato di sensori hi-tech e di una telecamera per il monitoraggio da remoto» dice Luca Nardi, del Laboratorio Biotecnologie Enea. «GreenCube ha già ottenuto un grande successo riuscendo a portare un satellite contenente materiale vegetale a così grande distanza dalla Terra in un ambiente estremamente sfidante. Speriamo di assistere a breve alla germinazione dei semi e alla crescita delle plantule». Il satellite lanciato in orbita si compone di tre unità: due contengono le microverdure, il sistema di coltivazione e controllo ambientale, la soluzione nutritiva, l’atmosfera necessaria e i sensori; la terza ospita la piattaforma di gestione e controllo del veicolo spaziale.
La coltivazione del crescione è basata su coltura idroponica a ciclo chiuso con sistemi di illuminazione specifica, controllo di temperatura e umidità per rispondere ai requisiti restrittivi degli ambienti spaziali. È quindi una coltivazione su un substrato inerte, tanto che Nardi sostiene che in futuro gli astronauti potrebbero portare con sé «micro-tappetini» già seminati su cui far crescere crescione a cicli di 10-15 giorni. Il substrato permette di trattenere l’acqua in microgravità, integrata con fertilizzanti a basse concentrazioni.
Si sa, la ricerca scientifica è destinata ad avere applicazioni a volte impensabili. Ma in questo caso è facile constatare che in un mondo sovrappopolato, dove il surriscaldamento globale rende difficili le coltivazioni e occorre evitare sprechi, queste coltivazioni potranno essere parte della vita quotidiana. «A me piace chiamarli “ortodomestici”, micro-orti che potremmo farci in casa. Se si pensa che per preparare una busta di verdura da supermercato si devono scartare e lavare i vegetali e usare plastica, è chiaro che l’orto-domestico rappresenta un’ottima soluzione per produrre un alimento fresco altamente nutritivo» dice Nardi.
Per ora l’obiettivo è quello di integrare le razioni alimentari degli astronauti, garantendo un corretto apporto nutrizionale, così come acquisire le capacità di coltivarle in ambienti extraterrestri quali la Luna o addirittura Marte. La bassa gravità lunare richiede meno energia e meno costi per far decollare veicoli spaziali dalla sua superficie; quindi il nostro satellite potrebbe fare da ponte per future missioni. Si potrebbero individuare ripari naturali quali grotte e tunnel dove coltivare piante illuminate da Led con lunghezze d’onda specifiche, le cui frequenze variano per migliorare la produzione di vitamine e antiossidanti naturali. Se questo esperimento riuscirà, potranno seguirne altri con ortaggi diversi, lattuga, pomodoro, basilico, come già si fa nella Stazione spaziale internazionale. E se in un futuro lontano colonizzeremo altri pianeti, potremo usare l’astro-agricoltura per renderli un po’ più umani e meno «freddi» di quanto appaiano adesso.