A Pavia, in pieno centro città, per iniziativa del Collegio Borromeo, storica istituzione universitaria, ha appena inaugurato «Horti». Uno spazio urbano aperto a tutti, dove la biodiversità dialoga con opere d’arte. Obiettivo: condividere la bellezza.
Qui l’airone cinerino si alza in volo tra le cortine di alberi, ma anche oltre la Triade di grandi colonne bianche incise da tagli e scanalature e «canyon», opera inconfondibile di Arnaldo Pomodoro. Appena più lontano, di là dal muro di confine, s’intravede la bramantesca cupola del Duomo; e invece sembra quasi di toccarlo il parallelepipedo manierista dell’Almo Collegio Borromeo, fondato dal cardinal Carlo nel 1561. La natura va d’accordo con la cultura.
C’è questo parco che ha appena aperto i cancelli e si chiama Horti: tre ettari e mezzo nel cuore di Pavia, accanto al Ticino, che prova a mettere insieme un verde urbano – domestico, ma variegato ed elegante – con opere d’arte che spuntano tra le piante, installazioni nascoste tra i ciuffi d’erba di campo, i due stagni per accogliere una popolazione ricca di volatili, i filari di «aromatiche», i giovani alberi che col tempo delle stagioni fioriranno e daranno frutti. Nell’area che era in abbandono da una decina d’anni sono state messe a dimora oltre 1.500 piante, realizzati uno specchio d’acqua (un altro c’era già) e una piccola «vena» che scende dalla zona superiore del giardino.
«Horti,» con l’acca alla latina, potrebbe rimandare all’«orto chiuso», quel frammento di paradiso in terra che gli uomini esclusi dall’eden primigenio cercano di replicare con alterni risultati dagli inizi della storia. Progetti esteticamente perfetti, dove spesso tuttavia manca qualcosa. Ecco che, pur trovandosi nel perimetro di un’istituzione prestigiosa di studi universitari come il «Borromeo», è uno spazio aperto a tutti, nessun biglietto d’ingresso da pagare, e per la gestione sono impiegate persone di cooperative che si occupano di disagio sociale. L’obiettivo è subito esplicitato: condividere con chiunque vi entri una dimensione di bellezza.
«Perché la bellezza è tregua e redenzione» dice don Alberto Lolli, il rettore del Collegio, ideatore e «motore» primo di Horti. «Non tutto deve essere sottomesso alla legge del mercato. Il verde, l’arte, la biodiversità che qui trova rifugio hanno il potere di “curare” le persone. Aver usato il plurale per il nome di questo luogo, non è casuale: io credo profondamente al valore etico di questa impresa». E «impresa» è la parola adatta. Perché si è sviluppata sostanzialmente negli anni della pandemia. Lolli ha contattato consulenti botanici e faunistici che hanno creato diversi ecosistemi per accogliere picchi rossi e rari martin pescatori, insieme con 50 mila api accolte per l’impollinazione in alcune arnie.
Una decina di artisti hanno quindi aderito alla proposta di rendere fruibili al pubblico le loro opere: oltre a un «gigante» come il 96enne Pomodoro, ci sono il maestro del disegno murario David Tremlett, il più pop Marco Lodola con le sue sculture luminose e, per citarne solo alcuni altri, Nicola Carrino, Mauro Staccioli, Gianfranco Pardi, Ivan Tresoldi. Poi, fondamentali, i finanziatori, fondazioni o privati generosi. È il caso di un ex studente borromaico che dagli Stati Uniti ha voluto aggiungere il suo contributo («Perché è giusto rendere qualcosa a questa realtà educativa che mi ha fatto arrivare fin qui», ha motivato). «Siamo riusciti a raccogliere quasi un milione di euro per il recupero e i lavori. Ma tutti, tengo a sottolinearlo, hanno messo a disposizione gratis le proprie competenze» conferma il rettore. Così la nuova vita di quello che oggi è la più estesa area verde nel centro di Pavia è ricominciata. «E la città risponde. A parte le 10 mila persone dell’inaugurazione di metà settembre, Horti è già diventata una buona abitudine di persone che arrivano qui con bambini e cani. Anche da Piacenza o Milano, e passeggiano, giocano, si incontrano, esplorano, e trascorrono un tempo diverso».
In epoca di pestilenza e carestia, nel Cinquecento, Carlo Borromeo volle un Collegio – oggi è il più antico d’Italia in attività – dove potessero formarsi i meritevoli, anche quelli che non ne avevano la possibilità. All’inizio qualche decina di studenti; oggi sono un po’ meno di 200, tra ragazze e ragazzi. È una dimensione d’eccellenza, dove si vive e si studia tra campi sportivi, il giardino rinascimentale e quello all’inglese. Esclusiva, si può obiettare. Ma cinque secoli dopo – mentre la storia si ripete tra post Covid, guerre e crisi economiche – appena oltre le grandi cancellate c’è questo spazio comunitario, democratico nel senso migliore della parola, qui ti puoi sedere accanto al rivolo che si ricongiunge alla laguna in cui si innalza la Triade. E, semplicemente, godere di tutto questo.
La scommessa è anche quella della conservazione di Horti, al riparo dai soliti vandalismi, e del suo arricchimento per quel che riguarda l’offerta culturale. Lolli, in proposito, coltiva ambizioni. Partendo proprio dalla condizione di chiusura collettiva vissuta in questi ci sarà una serie di incontri sul concetto dell’abitare. Proseguono inoltre le piantumazioni e ulteriori opere si aggiungeranno presto alla galleria d’arte nel verde. «Emilio Isgrò farà una delle sue “cancellature” nella zona delle api, Mimmo Paladino interverrà sull’antico “partitore” delle acque, che viene alimentato da tre fonti diverse. E, probabilmente, arriverà anche Michelangelo Pistoletto». L’effetto volano tra gli artisti comincia a funzionare.
Una curiosità: non è previsto neanche un gioco per i bambini. Anche loro qui devono recuperare una creatività senza «appendici» né elettroniche né di altro tipo. Stando a quelli che si vedono rincorrersi sul prato, vicino agli scavi archeologici della duecentesca chiesa di San Marco in Monte Bertone in via di recupero, o si rotolano lungo i dislivelli, la cosa pare funzionare. A qualche decina di metri dal limite sud del parco, scorre il Ticino. È bellissimo: sul suo corso ancora una volta natura e cultura vanno di pari passo, ma con il fiume che l’attraversa la città ha un rapporto contraddittorio. Non è riuscita finora a valorizzarlo, soprattutto nelle sue sponde. Per esempio, è in disuso una struttura degli anni Venti come l’Idroscalo, straordinariamente affacciata sulle rive. Dopo decenni di progetti e veti incrociati pubblici e privati, adesso la promessa è che le cose cambino. Si vedrà.
Il nuovo spazio, con la sua vocazione per una bellezza sociale e condivisa, potrebbe fare da utile traino? «Sarebbe bello che Horti potesse uscire dai suoi confini, coinvolgendo anche il fiume» conclude sornione Lolli. Le vie della bellezza non saranno infinite, ma sono comunque tante.