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Le parole come pietre di un rapper

Le parole come pietre di un rapper

Le canzoni che raccontano la vita sul filo del rasoio in periferia rischiano di esaltare gli esempi negativi. E creare emulazione.


In generale non amo la musica dei rapper, ma in particolare sono sempre rimasto negativamente impressionato dal testo di queste canzoni. E non per questione moralistica o perché mi scandalizzi leggere determinate parole che rimandano a un modello di vita non condivisibile e, per molti versi, anche pericoloso.

No, non è per questo. Eppure è un aspetto di cui tenere conto perché in alcune di queste canzoni non sarebbe difficile rinvenire un incitamento a valori e comportamenti non compatibili con i diritti delle persone e in particolare delle donne. In un periodo in cui si è così attenti a tutte le tematiche che possano rappresentare lesioni ai diritti delle minoranze (come è avvenuto in occasione della discussione della legge Zan), non si capisce perché i testi di queste canzoni passino inosservate come se non contenessero gli elementi di cui sopra.

Ma questo è un altro discorso. Affrontandolo si entrerebbe nel tema delle parole sull’illegalità, sulla droga e appunto sul trattamento delle donne, di cui queste canzoni non brillano per equilibrio. Sono parole indicative di una violenza che cova attraverso i soliti stereotipi della violenza, dei soldi, delle pistole, del sesso e via di questo passo.

Quello che colpisce sono le parole di uno di loro, Paky, rapper di Rozzano, un quartiere periferico di Milano, il quale dice che le sue rime aiutano il quartiere e riescono a dare voce ai ragazzi – molti dei quali entrano ed escono dalle galere – che non hanno voce e pochi di loro, sono sempre le sue parole, riescono ancora a sognare.

Ma Paky dice anche un’altra cosa che colpisce assai e cioè che se non fosse per la musica anche lui sarebbe finito a fare quello che fanno questi ragazzi, delinquendo e in qualche modo buttandosi via. La musica ha rappresentato per lui, e rappresenta, il suo riscatto e aggiunge che, anche in condizioni economiche più agiate, non abbandonerebbe il suo quartiere di Rozzano, perché lì sono le sue radici e sembra avvertire quasi un senso di riconoscenza per esse. Una considerazione che va a suo onore.

Ora, chi conosce minimamente il tessuto umano delle periferie italiane, sa perfettamente che in molte di esse i giovani sono abbandonati a se stessi, spesso vivono in famiglie a loro volta degradate e comunque in un luogo dove mancano i servizi, le occasioni per fare qualcosa di costruttivo, il lavoro, i buoni esempi, come si diceva una volta.

Questo per sottolineare che certe situazioni delle periferie non sono colpa né di questi giovani né dei loro genitori, ma di chi le ha lasciate – in un certo senso, la parola è forte lo so, marcire – adottando solo misure insufficienti e inadeguate. L’ambiente in cui vivi condiziona la tua esistenza in modo radicale e questo lo sa bene chi ha avuto un’esperienza opposta e cioè quella di avere la fortuna di vivere in un contesto positivo. E chi ha avuto tale fortuna – come chi scrive – spesso si chiede che merito abbia per ciò che possiede e che colpa abbiano quei ragazzi di essere confinati in una situazione simile.

Non si tratta di giustificare con sofismi sociologici la delinquenza giovanile perché essa va condannata come tutti i tipi di malavita. Sulle radici però non possiamo fare a meno di interrogarci e solo chi non ha mai visitato una periferia – non da turista ma da persona che vuole capire – non conosce questo brodo di coltura di violenza, intolleranza e illegalità.

Quello che vorremmo però chiedere a Paky è che sia sicuro se con questi testi – che certamente rappresentano la realtà in cui i giovani che lui non vuole abbandonare si riconoscono – li aiuti veramente. Non scriviamo questo perché siamo sicuri che sia così, ma perché ci sorge il dubbio che forse Paky sottovaluti il peso delle parole, soprattutto nei confronti di soggetti deboli e fragili come i giovani di quelle periferie che hanno avuto meno fortuna di lui.

Perché talora le parole hanno il potere di portarti oltre, verso il meglio, talora non hanno alcun potere, ma a volte hanno la forza di confermarti nella bontà delle tue azioni anche quando queste azione buone non sono. È un dubbio che non riteniamo senza fondamento: si basa sulle esperienze di cui siamo testimoni in molte periferie italiane.

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