È primordiale e violenta la Maremma di fine Ottocento. Qui la vita è dura come nell’Ovest americano e i due mondi non potevano che finire per incontrarsi… Tra cavalli, butteri, banditi, cowboy e natura, un romanzo mette in scena una sfida epica. E che affascina.
«Gli animali nascevano e morivano, i vitelli destinati al pascolo ricevevano il marchio, alcuni crescevano e altri venivano venduti, i puledri senza saperne nulla correvano nei pascoli tra i butteri che li seguivano muti, perché la terra e il tempo non chiedevano che quello». Praticamente è il West, che però stavolta è italiano… Il Selvaggio Ovest del 35enne Daniele Pasquin racconta infatti di una Maremma ottocentesca, Toscana remota dove convivono benissimo eventi storici e invenzione libera, natura sovrumana e pulsioni profonde. «Il mio obiettivo era sfruttare il genere – avventuroso e popolare – come mezzo per parlare di identità ed eredità, di crescita e rinascite» dice l’autore a Panorama. «Il tutto attraverso una storia costruita tra furti di cavalli, fughe e cacce all’uomo». Il risultato è appunto sorprendente, uno dei romanzi più originali di questi anni, che supera il test infallibile del lettore: si chiude un capitolo e non si vede l’ora di aprire il successivo. Aggiunge Pasquini: «In generale amo l’ambientazione western in letteratura. E nel libro si sentono gli echi di capolavori come Meridiano di sangue di Cormac McCarthy, Lonesome Dove di Larry McMurtry o Il grande cielo di A. B. Guthrie».
Siamo tra gli anni 1876 e 1890: la Maremma fa ancora paura nell’Italia da poco unificata. Un mondo primordiale di paludi, boschi e pianure popolate dai cavalli. Con i butteri che devono fare i conti con la malaria che li falcidia e le bande di briganti che continuano a taglieggiare, talvolta a uccidere. Vale poco la vita di chi si ostina a resistere in quella che un celebre canto chiamava «Maremma amara». Eppure anche qui, si legge nel libro, «Le cose stavano cambiando»: il governo nazionale vuole esercitare il suo potere e ci manda i carabinieri, più comparse che efficaci presenze di uno Stato. In questo «Selvaggio Ovest» s’intrecciano le vicende del bandito Occhionero, di Giuseppe detto Penna e del figlio Donato. Il loro incontro, durante una inseguimento a perdifiato, getta le basi del dramma che si compie nell’epilogo della storia. Ciascun personaggio trova il suo spazio: c’è Penna, il protagonista morale che parla con i suoi silenzi; c’è Donato, il giovane che viene spinto dagli eventi oltre la sua «linea d’ombra» e dovrà diventare adulto; c’è Gilda, la ragazza vittima di uno stupro bestiale davanti al padre e che consumerà da sola la sua vendetta; su tutti domina Occhionero, il cattivo predestinato che nelle sue malanconie nasconde segreti e dolori. «È quello che, dandogli vita, mi ha insegnato di più» aggiunge Pasquini. È la personalità più controversa e anche quella più complessa del libro: nel western il bandito dovrebbe essere malvagio, in realtà è tramite le sue gesta e le scelte che il lettore riflette sul bene e sul male, sulla vita e sulla morte». Ma c’è un’altra figura, cruciale e inaspettata: un Buffalo Bill al tramonto, il leggendario cacciatore americano che deve ricordare – e convincersi – di come nelle sue scorribande abbia abbattuto «4.286 bisonti». È arrivato in Italia con il suo circo viaggiante Wild West Show, che mette in scena indiani sconfitti, mandriani senza scrupoli e bisonti superstiti della caccia che li ha quasi annientati in Nordamerica. E uno dei passaggi cruciali del romanzo è la sfida, realmente avvenuta, tra cowboy e butteri. «La mia fase di documentazione è passata attraverso testi storici, ma anche sopralluoghi e incontri in Maremma» dice lo scrittore. «Ed è continuato anche durante la stesura del romanzo».
Le varie storie incalzano, da una pagina all’altra. A differenza di certe distese del West americano, l’Ovest maremmano è sì aspro, non fa sconti, e tuttavia comunica un senso di familiarità. La forza d’attrazione di questo libro «selvaggio» sta anche qui. In una geografia con le Colline metallifere, il vento che spira dal Tirreno, le osterie, non le Montagne rocciose, il desierto, o i saloon. Riflette l’autore sulla scelta della scenografia: «Sul piano personale, la Maremma è il luogo della gioia, dei giochi d’infanzia, delle estati felici, di riposi e contemplazioni; da autore è stato un set ideale: spopolato, impervia, pericolosa. A differenza della frontiera americana, narrata sempre come “terra promessa” da esplorare e conquistare, la Bassa Toscana di fine Ottocento era un posto tutt’altro che mitico, perciò eccellente per un western crepuscolare». Accanto a questo luogo-mondo, c’è una trama senza smagliature e una scrittura senza tempo, sempre coniugata al passato remoto che per l’avventura funziona alla perfezione.
Il piacere del racconto rende Selvaggio Ovest immediato e coinvolgente e, nonostante i colpi di scena e una visione cruda dell’esistenza, è leggero come sanno essere i libri risolti. Una citazione anche per la copertina, con tanto di bufalo perplesso. «Le storie che raccontiamo e che amiamo, anche se non sono vere» conclude Pasquini «riescono comunque a suggerirci chi siamo e, magari, verso quale direzione siamo diretti». E una buona avventura, grazie al cielo, riesce a farci cavalcare ancora un metro più in là.