Oltre che un genio, capace di inventare la banca che non è una banca, Ennio era anche una gran brava persona.
I banchieri non godono quasi mai di buona fama. Quando Enrico Cuccia se ne andò, fu salutato con rispetto ma non con particolare simpatia, benché avesse dominato la finanza italiana per più di cinquant’anni. Non fu molto diverso il trattamento riservato al suo discepolo Vincenzo Maranghi che, come il suo predecessore, era riservato e un po’ algido. Tralascio poi chi è uscito da un istituto di credito inseguito da mandati di cattura o da bancarotte, come nel caso di Michele Sindona o Roberto Calvi. Tuttavia, anche coloro che non hanno avuto guai con la giustizia, al momento dell’addio, che si trattasse dell’estremo saluto o solo del pensionamento, se ne sono quasi sempre andati in punta di piedi, come se la grande stampa, e il mondo finanziario di cui nella maggior parte dei casi il sistema dell’informazione è espressione, non vedessero l’ora di voltare pagina.
Tutto ciò non è successo con Ennio Doris, il banchiere che non voleva una banca, ma l’ha creata. Di lui, il giorno della sua morte, hanno scritto tutti e tra le righe, oltre al rispetto, trapelava la simpatia. Perché il figlio di un allevatore di bestiame, nato e tornato a Tombolo, in provincia di Padova, era un uomo simpatico e tale era rimasto nonostante avesse accumulato una fortuna, diventando uno degli uomini più ricchi del Paese. Sì, il numero uno dei banchieri (un paio d’anni fa una ricerca dell’Università Bocconi definì Mediolanum l’istituto di credito con la miglior solidità patrimoniale, anche se per capitalizzazione è considerato il quarto a livello italiano), nonostante la montagna di soldi accumulata era una persona semplice, che partita dalla provincia tornava in provincia per una mano di carte con gli amici.
Di lui ho due ricordi. Il primo risale a parecchi anni fa, nei giorni che seguirono l’attentato alle Twin Towers. Silvio Berlusconi, da poco presidente del Consiglio, mi aveva invitato ad Arcore per pranzo e all’appuntamento trovai anche Doris. Erano giorni difficili, perché al crollo delle Torri gemelle era seguito quello dei mercati finanziari e il mondo sembrava più spaventato da quello che dai terroristi.
Ennio, con la pacatezza che lo contraddistingueva, al contrario parlò senza far trasparire preoccupazioni. Per lui le Borse sarebbero risalite in fretta e, almeno per quanto riguardava i listini, quei giorni sarebbero stati archiviati velocemente. Aveva una specie di tabella, che poi gli ho visto srotolare altre volte, in cui erano descritte le medie mobili di Wall Street, incrociate con gli eventi più infausti. Alla lunga, nonostante scossoni incredibili, l’investitore vinceva sempre. Mentre Doris parlava, Silvio taceva, e già questo aveva dell’incredibile, ma si capiva che in materia finanziaria pendeva dalle sue labbra.
Del resto, che Ennio fosse uno dei consiglieri più ascoltati del fondatore di Forza Italia ne ho avuto conferma anche ai primi di novembre del 2011, quando nel pieno della tempesta finanziaria che colpì il nostro Paese (lo spread schizzò oltre i 500 punti) passai a trovare Berlusconi a Palazzo Grazioli. «Che cosa pensi di fare?» gli chiesi. La risposta fu asciutta: «Che cosa vuoi che faccia? Mi dimetto. Mi ha chiamato Doris, dice che i mercati vogliono un nuovo governo e mi ha portato a riprova l’andamento dei titoli del gruppo». Qualche ora dopo, il trentottesimo presidente del Consiglio della storia repubblicana saliva al Quirinale, annunciando che a seguito dell’approvazione della legge di Bilancio avrebbe rassegnato le dimissioni.
Ma di Ennio ho anche un terzo ricordo, forse il più importante, e riguarda Panorama. Nel 2018, dopo aver fondato La Verità, mi venne l’idea di comprare il prestigioso settimanale che avete tra le mani. Sapevo che dal punto di vista dei conti le cose non andavano bene e Mondadori, che ne era lo storico editore, se ne voleva liberare. Certo, l’investimento era importante e il rischio di insuccesso elevato. Dare vita a un quotidiano, quando il mondo riteneva spacciata la carta stampata, e pensare di tenere in piedi un periodico, quando in America le più grandi testate erano moribonde, sembrava impresa da folli.
Prima di decidere l’acquisto andai a Basiglio, dove Doris aveva il suo quartier generale e gli chiesi consiglio. Come sempre, fu tranquillizzante e mi disse: «Se ci credi, vai avanti e se avrai bisogno noi ci saremo». Grazie al cielo e ai lettori, non abbiamo avuto bisogno, ma le sue parole mi hanno dato coraggio. Sì, oltre che un genio, capace di inventare la banca che non è una banca (costruendola intorno ai clienti invece che ai bancari o ai banchieri, come diceva un suo celebre spot), Ennio era anche una gran brava persona. Credo che per lui contasse più il rispetto che il saldo del suo conto in banca: per questo, dopo il crack di Lehman Brothers, fece rimborsare i clienti che ci avevano rimesso. E per questo, a differenza di tanti suoi colleghi, ha goduto e godrà di buona fama per sempre.