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Quasi quasi mi compro un’isola

Quasi quasi mi compro un’isola

Guida pratica per chi vuole fare acquisti «extralarge». Dalle piattaforme che vendono atolli incontaminati a quelle che commerciano in borghi antichi da trasformare in resort, passando per le società che «alienano» pure terreni su Marte. Perché anche un sogno fa casa…


Ci sono vari modi di fare shopping. C’è chi esce il sabato per comprarsi un paio di scarpe e chi invece pensa in grande, e senza muoversi da casa si compra un intero borgo, un’isola privata o un pezzo di pianeta. È lo shopping extralarge di chi non si accontenta delle solite cose. Chi è in cerca di un’isola privata, come Guy Laliberté, il fondatore del Cirque du Soleil, che appena può si rilassa sull’atollo di Nukutepipi, nella Polinesia francese, trova una vasta scelta sul sito di Private Islands, un marketplace interamente dedicato alle proposte di isole in vendita o in affitto.

L’offerta è ampia, e comprende le Bahamas, il Belize, le Figi, le Maldive, il Brasile, ma anche varie isole in Europa, Canada, e negli Stati Uniti. Giusto per avere un’idea, Isla Aysen, un’isola di 178 acri nella Patagonia cilena, con foreste e cascate, viene proposta a 2.490.000 dollari; Round Island, in Canada, nella Nuova Scozia, è un’isola di 48 acri a poche miglia dal lago Bras d’Or, in vendita a 975 mila dollari. Come spiega a Panorama Chris Krolow, numero uno di Private Islands, «il nostro sito web dà una buona idea di ciò che è attualmente sul mercato. Vediamo acquirenti da tutto il mondo, con diversi livelli di reddito, dai grandi promotori di resort alle persone con disponibilità più modeste che risparmiano per acquistare una casa di vacanza su un’isola. E i prezzi possono variare in modo significativo. Si possono trovare isole per poche centinaia di migliaia di dollari fino a decine di milioni di dollari, e talvolta oltre 100 milioni di dollari». Sul sito di Private Islands c’è un po’ di tutto: dall’atollo dove la natura è ancora incontaminata a quella attrezzata con un resort.

Ma quali sono gli aspetti da considerare quando si cerca l’isola perfetta? «Se non è già attrezzata, chi compra deve assicurarsi di poter acquisire i permessi necessari per costruire ciò che desidera», continua Krolow. «L’isola ha un’elevazione sufficiente in caso di inondazioni, è abbastanza grande per le proprie esigenze? Le infrastrutture sulla terraferma bastano? Quanto dista l’ospedale più vicino, e quanto ci vuole perché arrivino i soccorsi in caso di necessità? Come funzionano la ricezione del cellulare e l’approvvigionamento di generi alimentari? E poi bisogna vedere se l’acqua è abbastanza profonda per le imbarcazioni più grandi, se esiste un’area sicura per realizzare un molo, valutare che i costi di costruzione possono essere superiori del 50 per cento rispetto alla terraferma, e capire se la distanza dalla costa è percorribile per potenziali ospiti paganti».

Ma c’è chi all’isola privata preferisce un paesino (o buona parte di esso) tutto per sé. Qualche esempio? Christie’s International Real Estate ne propone uno in Algarve, nel sud del Portogallo (con case tutte da ristrutturare) per 1,4 milioni di dollari, Essentis Group ha nel suo repertorio un borgo nella campagna senese, con 11 mila metri quadrati di costruzioni di importanza storica, in vendita per 40 milioni di euro, mentre l’agenzia francese Horae-Transactions, specializzata in immobili rurali, recentemente proponeva un villaggio in Haute-Saône con tanto di laghetto di 26 ettari, 13 case e una vecchia fabbrica, per 2 milioni e 288 mila euro.

Si è lasciato ispirare dal desiderio di rivitalizzare un borgo Daniel Kihlgren, l’imprenditore che ha contribuito a riportare a nuova vita Santo Stefano di Sessanio, in Abruzzo, creando un albergo diffuso chiamato Sextantio. «Sono molto sensibile alla tutela del patrimonio storico minore nei borghi preservati dall’abbandono» spiega Kihlgren. «Vent’anni fa avevo comprato quindici borghi. Credo che si debba valorizzare l’integrità reciproca tra il costruito storico e il territorio. A Santo Stefano di Sessanio, che è un insediamento medievale, abbiamo fatto un grosso lavoro per recuperare l’identità del luogo, anche con l’aiuto di una antropologa. Oltre al valore culturale, c’è un prospettiva economica. Negli anni Novanta, quando siamo arrivati in Abruzzo, a Santo Stefano, che era passato da 1.300 a 70 abitanti, c’era un’unica struttura ricettiva, e ora ce ne sono 23». Si parla molto anche delle case in vendita al prezzo di un euro. Sono operazioni vantaggiose? «In linea di principio direi di sì» osserva Kihlgren. «Ma il vero costo è quello del restauro. La casa è l’ultimo dei costi, il grosso impegno è la ristrutturazione». Se poi la Terra non basta, ci si può orientare verso lo spazio e «comprare» su altri pianeti. Ci sono siti che ne propongono a cifre accessibili: con una sessantina di dollari si possono acquistare due acri su Marte o 100 acri su Venere.

Ma esiste una normativa? Se si compra un terreno su Marte, si diventa proprietari a tutti gli effetti? Come nota Annalisa Dominoni, docente di Space4InspirAction al Politecnico di Milano – il primo e unico corso di Space Design supportato dall’Agenzia spaziale europea – che con Benedetto Quaquaro sta lavorando alla prima base lunare che prevede una «foresta» di microalghe, «non ci sono normative. Lo spazio non è ancora proprietà di qualcuno. Tutto questo pseudo-mercato è nato da un’interpretazione controversa del Trattato sullo spazio, che impedisce alle nazioni terrestri di rivendicare territori su altri pianeti, però non esclude che tale proprietà possa essere reclamata da una persona. Così c’è ha stilato una dichiarazione di possesso, come fecero i coloni nel vecchio West, acquisendo parti di corpi celesti. Però è assolutamente arbitrario».

La pensano diversamente i responsabili del sito Buy Planets: «Il Trattato sullo spazio delle Nazioni Unite del 1967 ha stabilito leggi per esplorare e utilizzare il cosmo e i pianeti. Regola per esempio l’utilizzo della Luna. Inoltre, ha stabilito un quadro per la scienza e l’utilizzo di cui tutti gli Stati possono beneficiare in parti uguali. Tuttavia, nella stesura del contratto si pensava ai governi, non alle aziende o ai privati. Questa scappatoia legale offriva l’opportunità di acquisire proprietà extraterrestri. Nel 1984 e ancora nel 2006, l’Onu vollero aggiungere un’estensione al Trattato sulla Luna che vietava a imprese e persone fisiche di possedere proprietà sulla Luna. Solo 16 Stati membri su 192 hanno accettato questa estensione. Il resto dei membri e le nazioni coinvolte nelle attività spaziali (come Stati Uniti, Germania, Cina, Russia, Giappone) si sono rifiutati di sottoscrivere l’estensione e quindi la legge non è stata ratificata in questi Paesi». Comunque, ci sono già delle quotazioni per le aree più richieste. Come osserva Dominoni, «un appezzamento di terra nel Mare della Tranquillità, zona privilegiata della Luna, che è un po’ l’equivalente della nostra Sardegna, costa il doppio di altre zone». Business is business

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