Attendere troppo per un infarto, un trauma, un incidente… Succede, sempre più spesso, in tutta Italia, e le cause sono tante: reparti di emergenza intasati, mezzi di soccorso che non riescono a «sbarellare» e quindi a tornare in strada, poco personale, scarse risorse. E la carenza di medici di base aggrava un situazione drammatica.
Alle 11 del mattino di un mercoledì di gennaio, le ambulanze disponibili per il soccorso sono già finite. Alla centrale operativa del 118 di Palermo, che assiste una popolazione di circa un milione e 200 mila persone, i responsabili – al telefono già da ore per cercare una soluzione al numero crescente di richieste di aiuto – spalancano le braccia, in un misto di rabbia e rassegnazione. I Pronto soccorso sono intasati, con percentuali di sovraffollamento che superano il 200 per cento, le ambulanze non riescono a «sbarellare» i pazienti (cioè a lasciarli nelle strutture tornando disponibili per altre emergenze) e restano ferme per ore davanti agli ospedali, con i malati a bordo: questo fa sì che il sistema sia completamente bloccato, anzi, al collasso. Succede in tutta Italia: nelle difficilissime settimane di dicembre e inizio gennaio, complici la recrudescenza del Covid e il picco influenzale, il 118 ha dovuto fare i conti, sull’intero territorio nazionale, con difficoltà enormi, che hanno portato a grandi disagi e anche a tragedie evitabili. Il 26 dicembre, sempre in Sicilia, una donna di 26 anni è morta dopo aver accusato un malore in casa; l’ambulanza era arrivata senza medico, perché l’unico presente al Pronto soccorso del nosocomio locale non poteva lasciare il presidio. A Roma, dove nei giorni scorsi più di 1.100 pazienti erano ricoverati in attesa di un posto letto nei reparti, è capitato per due volte che persone inciampate e cadute sulle scale della metropolitana aspettassero oltre tre ore l’arrivo dell’ambulanza; a Milano si è dovuti attendere 40 minuti un mezzo di soccorso, per un trauma cranico, in pieno centro città a due passi dal Policlinico. Del resto, la Regione Lombardia ha bloccato i ricoveri programmati, a causa della grave situazione di sovraffollamento negli ospedali.
È il collo di bottiglia, è il blocco-barella, è il «boarding», insomma si tratta del sistema. Se l’ambulanza non arriva, se arriva troppo tardi, se è senza medico o senza infermiere, è inutile prendersela – soltanto – con il 118, con il 112, o con gli operatori che, infine, giungono ad assisterci: «Noi ci assumiamo sempre le nostre responsabilità» afferma Maurizio Migliari, direttore Struttura Complessa Soreu (Sale operative emergenza urgenza «118») della Regione Lombardia. «Ma in questo momento storico, con una popolazione che invecchia, e a fronte di un numero sempre crescente di chiamate al 118, occorrerebbe diversificare il posizionamento del bisogno sanitario in modo corretto e congruo. Dovrebbero arrivare al 118 e quindi nei Pronto soccorso solo i casi di reale emergenza: invece sempre più spesso il cittadino, nell’impossibilità di reperire il responsabile di medicina generale o le guardie mediche, è costretto chiamare noi. Perché sanno che ci siamo sempre». A volte, certo, il cittadino sceglie questa strada anche solo per comodità: sa che chiamando il 118 verrà trasportato in ospedale, e lì – anche se con attese bibliche – riceverà esami, cure, accertamenti che altrimenti dovrebbe effettuare in privato o aspettando mesi in lista d’attesa: «Purtroppo anche gli utenti commettono abusi» dice Salvatore Vaccaro, vice segretario nazionale del sindacato infermieristico Nursind. «Perché magari vogliono essere visitati da un medico, chiamano il 118 e tendono a sovrastimare la propria patologia. Anche questo contribuisce a creare il collo di bottiglia, e tra tanti codici a bassa priorità, in tempi di picco può diventare complicato andare a “scovare” e soccorrere il caso grave».
Così il sistema dell’assistenza sanitaria diventa un cane che si morde la coda: «Noi effettuiamo un primo triage telefonico» spiega Fabio Genco, direttore Centrale operativa 118 Palermo-Trapani «con i nostri operatori che,attraverso un’intervista di circa un minuto assegnano un codice rosso, giallo o verde a seconda della gravità, e stabiliscono – in base alle disponibilità – quale mezzo inviare: ambulanza con solo autisti soccorritori o con infermiere, e nei casi più gravi l’auto medica con il rianimatore, o l’elicottero. Una volta sulla scena, si valutano le condizioni del paziente, e in contatto con la centrale operativa si decide se e in quale ospedale indirizzarlo, a seconda della vicinanza e del problema riscontrato». Tutto ciò, secondo i Lea (Livelli essenziali di assistenza) dovrebbe avvenire entro otto minuti dalla telefonata al 118 in ambiente urbano, ed entro 18 se in ambiente extraurbano. Sarebbe bello se fosse così, ma questi tempi non vengono – quasi – mai rispettati; inoltre, se l’ambulanza non ha a bordo un medico che può fare una diagnosi e quindi capire se il caso sia di competenza dell’emergenza urgenza o se in carico al al medico curante, il paziente deve essere sempre e comunque condotto nel Pronto soccorso più vicino. Quindi intasamento, attese e, a cascata, mancanze di mezzi per situazioni più gravi.
Nel frattempo, in questo mercoledì di gennaio in cui siamo stati autorizzati a partecipare ai soccorsi sull’automedica del 118 di Palermo con il coordinamento del medico rianimatore e responsabile della sala operativa Marco Palmeri, sul campo accade di tutto: a Marsala un uomo si è sparato in testa e aspettando l’ambulanza viene sottoposto a massaggio cardiaco da parte di chi ha chiamato i soccorsi; c’è un motociclista a terra in autostrada che attende l’ambulanza, un’anziana con Alzheimer che non respira e attende l’auto medica: mentre al Pronto soccorso dell’ospedale Civico il primario non riesce nemmeno a rispondere telefonicamente alle nostre domande, perché ha 95 pazienti ricoverati a fronte di una capienza del reparto di 50. Facile capire come, in situazioni del genere, le ambulanze non si possano sbarellare, e come anche i sanitari e gli stessi soccorritori rischino aggressioni da parte dei cittadini esasperati, in attesa di un mezzo che sembra non arrivare mai. Proprio com’è successo il 3 gennaio scorso, quando al Pronto soccorso dell’ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia, nel Napoletano, un’infermiera è stata aggredita con pugni al volto da un parente di un ricoverato: denti rotti, labbra spaccate e 25 giorni di prognosi; è solo l’ultimo di una serie di casi analoghi, che avvengono in tutti gli ospedali d’Italia.
Come rimediare? «Soluzioni immediate non ne esistono, è bene dirlo chiaramente» afferma ancora Genco. «Per tamponare le emergenze si dovrebbe intanto aumentare le ambulanze disponibili. E poi occorre una migliore organizzazione, soprattutto durante le festività, della capacità dei reparti ospedalieri, per assorbire le richieste di ricovero: e anche un maggiore impegno della medicina territoriale, purtroppo fortemente carente». Già, perché le ferie dei medici di medicina generale e di quelli dei reparti di degenza ricadono sui sanitari in prima linea del 118 e dei Pronto soccorso, e quindi sui cittadini-utenti: in Lombardia, a fronte di circa 900 mila missioni di soccorso nel 2023 in tutta la Regione (valori stabili, quasi sovrapponibili a quelli del 2019, ultimo anno di normalità prima della pandemia) si è decisa la sospensione dei ricoveri programmati, proprio per liberare letti per i pazienti nel primo accesso all’ospedale ed evitare il blocco delle ambulanze che non riescono a sbarellare. Decisione estrema, solo per tamponare l’emergenza: «Nei momenti di picco» prosegue Migliari «cerchiamo di modulare le esigenze, ma può capitare che di colpo ci sia una riduzione del pool di ambulanze disponibili. Tutto ciò si traduce in maggiore tempo di attesa, che nei codici gialli e rossi non dovrebbe mai capitare. Noi ci organizziamo per avere sempre una sorta di “tesoretto” di mezzi e risorse, ma a volte il ritardo non si riesce comunque a evitare». Più mezzi di soccorso quindi, più personale disponibile, più medici formati per l’emergenza, più infermieri, e una maggiore collaborazione all’interno degli stessi ospedali: l’unico modo per provare a risolvere un problema così drammatico. Intanto, la lunga giornata del 118 di Palermo è finita, inizia la notte con il cambio turno. Un’ambulanza è ancora in attesa fuori dal Pronto soccorso del Civico: dietro una porta a vetri spaccata, presa a colpi di casco da qualcuno per sfogarsi.