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Baby squillo, vendesi teenager della porta accanto

Baby squillo, vendesi teenager della porta accanto

Lo scandalo delle giovanissime prostitute di Bari scoperchia quella che sta diventando un’emergenza: sempre più ragazzine offrono sesso in cambio di soldi. Un mercato favorito dai social network. E dalla nostra società.


«Acquistava senza limiti. Se le piaceva una cosa, era capace anche di prenderla in tutti i colori disponibili. Non le ho mai visto chiedere un prezzo. Quando mi sono informata sulla sua famiglia, ho capito che qualcosa non tornava. Ma ovviamente ho fatto finta di niente, il mio lavoro è vendere mica fare l’investigatrice». Dice così Laura, commessa in uno dei multimarca più conosciuti e costosi di via Sparano, salotto buono di Bari. E simili sono le frasi che ripetono altre negozianti che ricordano vagamente un «gruppo di ragazze giovani, con tanti soldi a disposizione, che faceva sedute di shopping compulsivo».

In particolare, rammentano «una ragazzina con i capelli scuri, il bel viso, vestita sempre in modo appariscente». Sarebbe stata lei al centro dello scandalo delle baby squillo pugliesi, che da giorni occupa le cronache e ancora di più gli animi di professionisti e faccendieri del Sud Italia. La questione è nella sua banalità ciclica: una madre, notando il cambiamento della figlia minorenne e la sua ingiustificata disponibilità economica, si insospettisce. La situazione precipita quando trova nella borsa della ragazza «un portafogli gonfio di soldi» al cui interno sono presenti «tante banconote da 50 euro».

Inizia così un’inchiesta che il capo della Squadra mobile di Bari Filippo Portoghese definisce «senza precedenti». Si è arrivati all’arresto di dieci persone tra uomini e donne, tutti accusati di sfruttamento della prostituzione. Un’inchiesta che mette insieme lo scandalo sessuale a quello sociale. Mentre sotto traccia scorre una sola domanda: è giusto indicare le giovani coinvolte come esclusive vittime? Certo è che le minorenni vendessero le proprie prestazioni sessuali per soldi. Denaro con cui si pagavano beni di lusso come borse e vestiti, oppure cene in ristoranti esclusivi e alcolici costosi. Denaro che veniva ostentato sui social, fra scatti promiscui e tanto cash. Secondo la ricostruzione, il 50 per cento dei ricavi veniva dato alle giovanissime e l’altro 50 a chi si occupava del loro sfruttamento. Da brividi le intercettazioni. Una ragazza ammette: «Mi hanno dato 300 euro per un rapporto». Un’altra spiega interrogata: «All’uscita di scuola la mia amica mi ha proposto di prostituirmi per guadagnare dei soldi. Poi ci portarono in un b&b e iniziarono ad arrivare degli uomini. Se volevano prestazioni con entrambe ci davano 200 euro, se volevano una sola 100».

Il fenomeno è tutt’altro che nuovo. Tralasciando i riferimenti letterari alla Lolita o cinematografici alla American Beauty, ha profonde, per quanto ignorate, radici anche nel nostro tempo. «Oggi è più eclatante» riflette Giorgio Nardone, psicoterapeuta. «Con l’avvento della comunicazione globale, e con tutto quello che si può fare nell’immediato, si sono rotte una serie di barriere anche dal punto di vista etico e morale. La pornografia viene considerata normale. Quando le cose si spingono all’eccesso, anche l’aspetto positivo si riversa su sé stesso e diventa negativo. E così, come adesso, ci troviamo davanti a un’eccesso di emancipazione». Un’emancipazione fasulla che già scosse gli animi negli ultimi anni attraverso l’inchiesta di Torino (2018) e Napoli (2017). Nel primo caso venne alla luce come undici giovanissime fossero state costrette a prostituirsi in nightclub, mentre nel secondo – grazie all’ausilio di chat – si scoprì che studentesse minorenni si vendevano a compagni di scuola per poche decine di euro o addirittura per delle ricariche telefoniche.

«Ormai viviamo in una dimensione in cui tutto è mercificato e fatto per essere consumato» commenta Maria Rita Parsi, psicoterapeuta che ha dedicato al tema ampie riflessioni. «Oggi l’esteriorità fa premio su ogni cosa, impone modelli che possono essere comprati, rende l’uomo eterodiretto, non libero né coraggioso. La tecnologia ha dato una spallata a tradizionali certezze e a tradizionali limiti. Nel nostro tempo ciò che conta è il consenso, e l’opportunismo diventa conseguenza del magma frammentario in cui siamo immersi. Opportuniste sono le escort, opportunista due volte è chi le paga. L’affermazione sociale non passa più attraverso competenze o realizzazione di cose che hanno valore, è l’idea stessa di valore, in senso etico, a essersi smarrita. Il prezzo la sostituisce».

Un prezzo variabile, che si confronta con un’offerta ampia. Trovare giovanissime online è semplicissimo. Se sui portali d’annunci è sufficiente fare lo slalom tra le richieste, per i social la questione è ancora più elementare. Per quanto riguarda OnlyFans – ma non TikTok – basta evitare le parole chiave più scontate come #Lolita o #giovani. Lemmi che, in modo abbastanza ipocrita, sono associati sulla piattaforma-supermercato del soft porn amatoriale a un annuncio inglese che specifica come il termine «potrebbe essere associato a contenuti illegali che coinvolgono un bambino» e «Visualizzare immagini esplicite di minori di 18 anni è illegale e danneggia i bambini». Cambiando hashtag si trovano con facilità corpi acerbi che mostrano alcune parti in profili gratuiti, o previo abbonamento.

«La verità» riflette Paolo Crepet, psichiatra e sociologo «è che siamo una cultura molto prostituita. Chi si meraviglia non so dove sia vissuto finora. L’altro giorno una mia conoscente che ha un negozio di intimo mi ha raccontato di una ragazzina che era andata a fare spese con il padre. L’uomo le forniva consigli su cosa comprare invitandola a scegliere articoli provocanti e a mostrare il bel sedere. Ecco: ormai siamo tutti prostituiti nella mente. Ricordiamoci che se prima per cercare della pornografia era necessario spingersi fino all’edicola, dagli anni Novanta le cose hanno cominciato a cambiare: bastava accendere la televisione per cercare giovanissime in mostra. Adesso, invece, tutto è esibito. I social sono stati inventati non per divulgare Leopardi, ma per mostrare i corpi. E il fenomeno delle baby escort, a mio avviso, è sottovalutato un milione di volte».

A confermarlo sono gli appelli delle associazioni, ma anche le denunce del Telefono Azzurro che lamenta nel suo rapporto annuale una crescita esponenziale e preoccupante del fenomeno. Da notare anche i fattori di rischio: se un tempo i minori coinvolti provenivano da contesti problematici, non è più così. E analizzando gli interventi delle forze dell’ordine è chiaro come protagoniste non siano solo le grandi città – con record a Roma, Milano, Napoli e Bari – ma anche le province minori. «La questione nasconde due grandi mali» spiega lo scrittore Andrea Di Consoli, da poco in libreria con Dimenticami dopodomani (Rubbettino, pp. 201, euro 16), profonda riflessione sul tempo che stiamo vivendo. «Il primo ha a che fare coi soldi. È pieno di persone malate di soldi, ossessionata dalla ricchezza. Gente disposta a tutto, a non guardare in faccia a nessuno. Vale per la baby prostituzione, ma anche per altri ambiti della vita. Il secondo male è l’assenza, in certa gente, di un sentimento di sacralità rispetto all’infanzia e alla prima giovinezza. È un mistero per me come sia possibile che bambini e bambine che appena qualche anno prima guardavano i cartoni animati vengano spinti in un modo o nell’altro a prostituirsi. È inspiegabile e doloroso. La mente può essere abissale e infernale, e questo è anzitutto un terribile dato di fatto».

Un dato di fatto le cui conseguenze difficilmente possano essere ignorate. Lo ha confermato più volte Marianna, protagonista dello scandalo romano delle baby prostitute dei Parioli, quartiere «bene» di Roma, che nel 2013 balzò alle cronache nazionali e che si impose – anche per le personalità coinvolte negli abusi – nella memoria collettiva, tanto da essere suggestione della serie Netflix Baby. Lo sa bene anche Veronica Q., che ha raccontato in due libri la sua storia – entrambi pubblicati da Newton&Compton – di giovane prostituta e che a distanza di dieci anni rivive con le lacrime agli occhi quello che ha passato: «Lo facevo prima per noia, e poi per soldi» spiega a Panorama. «Lo facevo perché volevo essere libera, ma adesso mi rendo conto che tutte quelle mani che mi hanno toccata, tutti quei corpi che mi hanno usata, non posso mandarli via. E popolano i miei pensieri. Ogni giorno».

Puntare il dito contro la famiglia è la strada più semplice, ma il fenomeno è di sicuro più complesso e ha bisogno di una revisione legislativa urgente: come è possibile che delle minorenni possano indisturbatamente pubblicare annunci online? È possibile che i genitori si rivelino sempre ignari di tutto? Una risposta prova a fornirla, ancora, Giorgio Nardone: «Viviamo in un tempo in cui la permissività famigliare e sociale ha rotto le barriere. Queste ragazze vivono un’adolescenza in bilico: si sentono arroganti, saccenti, e mettono a rischio le cose con un’irresponsabilità sia verso il mondo sia verso loro stesse. Vivono desiderando tutto e subito. Ma è da qui che dobbiamo iniziare, se vogliamo cambiare». Se vogliamo, insomma, non tornare a (fingere di) scandalizzarci, ancora e di nuovo, fra pochi mesi.

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