Lembi di vestiti, frammenti ossei e ciocche di capelli di santi e beati vanno a ruba nel grande suk del web. Anche se a comprarli, oltre che peccato, si fa anche ricettazione.
Nel grande bazar di santi, beati e venerabili si offrono al miglior offerente lembi di vestiti, piccole parti di ossa e capelli da mostrare in salotto o da portare con sé a mo’ di talismano… Bastano 150 euro per aggiudicarsi un frammento del beato Giovanni Leonardi, che nel 1500 fondò l’Ordine dei chierici regolari. Ma se la devozione spinge verso i più venerati, i prezzi ovviamente salgono. Con 2.800 euro si può portare a casa una reliquia di san Carlo Borromeo. Oppure di san Lorenzo con duemila euro. Il tutto in barba al Codice di diritto canonico, che recita con tono tassativo: «È assolutamente illecito vendere le sacre reliquie». Un documento messo a punto nel 2016 dal Dicastero vaticano che si occupa delle cause dei santi, poi, ha stabilito che «non è consentito lo smembramento del corpo, salvo che il vescovo non abbia ottenuto il consenso della Congregazione delle cause dei santi per la confezione di reliquie insigni» e che «sono assolutamente proibiti il commercio e la vendita delle reliquie […] nonché la loro esposizione in luoghi profani».
Inoltre, chi vende cammina spesso sull’orlo di un precipizio e rischia anche penalmente. Se la reliquia venduta è un «pacco» e l’acquirente si accorge dell’inganno può denunciarlo per truffa. Ma se l’oggetto è sacro per davvero ed è stato rubato in una chiesa si può configurare anche il reato di ricettazione. Eppure avviene tutto alla luce del sole. Panorama ha contattato diversi venditori, chiedendo se ciò che veniva spacciato per autentico fosse accompagnato da una certificazione o da un documento che ne attestasse la provenienza. Le risposte sono state quasi sempre vaghe. L’escamotage più comune, però, è questo: «L’oggetto proviene da un mercatino dell’usato». La reliquia originale in genere deve essere accompagnata da una bolla di autentica firmata dal vescovo, mentre il reliquiario dovrebbe presentarsi con un sigillo in ceralacca. «Non c’è una datazione, non c’è nulla», spiega un venditore che ha piazzato su Marketplace di Facebook una reliquia del beato Giacomo Cusmano, il presbitero e medico italiano, fondatore dei Missionari servi dei poveri, beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1983.
«Sotto al piede del reliquiario (un’importante croce d’ottone con quattro pietre rosse incastonate, ndr) c’è il logo di un negozio di Palermo», spiega ancora il venditore, «ma probabilmente è solo legato all’oggetto e non alla reliquia». Inutile provare a porre ulteriori domande. «Non saprei cosa aggiungere», afferma l’offerente, che effettivamente non si dimostra molto ferrato. «L’unica cosa che posso dire» dice provando a darsi un tono convincente, «è che si tratta di un pezzo molto raro e che risale al periodo in cui è stata riconosciuta la beatificazione». Ovvero il 1983. Nell’annuncio, invece, il prodotto veniva pubblicizzato così: «Reliquia e reliquiario a croce del Beato Giacomo Cusmano, Palermo 1834-1888», quindi le date che indicano la nascita e la morte del beato, non quelle dell’ipotetico prelievo della reliquia. Il costo? «500 euro». C’è anche un’altra caratteristica che accomuna un po’ tutti i venditori: il pagamento avviene su carta prepagata. Insomma, ce n’è abbastanza per capire che ci si muove in uno specchio d’acqua non particolarmente limpido. Basta chiedere se si può attendere un po’ per confermare l’acquisto, però, per scoprire che sono articoli che vanno a ruba.
La risposta dei venditori è sempre la stessa: «Non possiamo aspettare molto, perché ci sono già varie richieste». E soprattutto sul sito di eBay, infatti, gli annunci compaiono e spariscono alla velocità della luce. Segno che il mercato è fiorente. Un aspetto che evidenziano anche i carabinieri che si occupano di tutela dei beni culturali, che spesso riescono a recuperare e a restituire alle Diocesi oggetti sacri sottratti alle chiese (nell’ultimo anno i sequestri sono stati 55). E da lì che proviene gran parte del materiale che poi viene immesso nel suk dell’arte sacra. Alcuni furti addirittura, si sospetta, verrebbero eseguiti su commissione. Come quello avvenuto nella chiesa di Sant’Agata a Brescia, dove circa un anno fa è stato sottratto il cofanetto che custodiva una reliquia della santa catanese. Nella maggior parte dei casi, però, gli oggetti finiscono sul web. Uno dei santi più «gettonati» è padre Pio. In diverse occasioni a San Giovanni Rotondo si sono verificati tentativi di furto. E in un caso qualcuno riuscì a far sparire un guanto del santo che molto probabilmente è stato suddiviso e venduto a pezzi, intercettando fedeli inconsapevoli inciampati, loro malgrado, in un incauto acquisto. n © riproduzione riservata