Home » I padroni del mare

I padroni del mare

I padroni del mare

Con il Covid è emerso il potere delle compagnie che movimentano i container – e dalle cui flotte dipende il commercio globale. Un oligopolio che resiste e «fa il prezzo» delle spedizioni, ma non riuscirà a soddisfare quelle del futuro.


Uno era danese. Il suo nome era Arnold Peter Møller e fondò la Maersk nel 1904. Il secondo è italiano, lavora a Ginevra, si chiama Gianluigi Aponte e ha creato la Mediterranean shipping company (Msc) nel 1970 a Napoli. Il terzo non è una persona ma è uno Stato, la Repubblica popolare cinese, e la sua compagnia si chiama Cosco, nata nel 1961. Tre storie molto diverse ma con un destino comune: le tre aziende sono diventate i leader del trasporto marittimo di container, controllano il 45,3 per cento della flotta mercantile mondiale. E ora sono finite nel mirino di chi deve trasportare merci via mare e ha visto i noli salire alle stelle.

La più grande delle tre è la Maersk. Con una flotta di più di 700 navi, trasporta ogni anno 12 milioni di container in tutti gli angoli del globo caricandoli e scaricandoli in oltre 300 terminal. Dà lavoro a 80 mila persone e opera in 130 Paesi. La seconda è l’italo-svizzera Msc che conta 570 navi, impiega 100 mila persone ed è presente in 155 Paesi. La terza, la cinese Cosco, con 502 portacontainer che viaggiano lungo 255 rotte internazionali, collegando 356 porti di 105 nazioni.

Ma oltre a solcare i mari, i «top carrier» hanno allargato il loro raggio d’azione diventando azionisti di importanti terminal, come quelli del Pireo, di Rotterdam, Anversa, Marsiglia, Le Havre e tanti altri: di fatto hanno posto in essere, come rileva un documento di Confindustria, «strategie di integrazione verticale, acquisendo attività terminalistiche e logistiche (con una quota del 37 per cento dell’intero mercato) e anche di trasporto ferroviario e stradale, rafforzando ulteriormente la posizione dominante sull’intera filiera. In sostanza, il trasporto commerciale marittimo internazionale si basa su un assetto del mercato della navigazione assimilabile all’oligopolio, che ne determina un’evidente posizione di forza». Non solo: le principali compagnie di navigazione si sono raggruppate in tre alleanze globali, che attualmente gestiscono la quasi totalità del mercato mondiale del trasporto marittimo dei container: 2M (formata da Msc e Maersk), Ocean Alliance (Cma Cgm, Cosco, Apl, Oocl e Evergreen) e The Alliance (Hapag Lloyd, Uasc, Nyk, K line, Mol e Yml). Queste forme di cooperazione, basate sulla condivisione di rischi, investimenti e costi, sono ammesse dalla disciplina antitrust con una specifica regolamentazione europea, la Consortia block exemption regulation scaduta nel 2020, ma prorogata (in piena pandemia) fino al 2024.

Ed è stata proprio la pandemia ad aver fatto alzare il velo sull’oligopolio che governa il trasporto delle merci via mare. Una situazione che fino al caos provocato dal Covid-19 era accettata senza problemi, visto che i noli erano bassi e i grandi carrier hanno avuto il merito di favorire la globalizzazione dei commerci. Va ricordato che, come sottolinea il rapporto «Italian maritime economy» di Srm (centro di ricerca collegato a Intesa Sanpaolo), il trasporto marittimo continua a rappresentare il principale veicolo dello sviluppo del commercio internazionale: il 90 per cento delle merci, infatti, viaggia via mare e i trasporti marittimi e la logistica valgono circa il 12 per cento del Pil globale.

Questa colossale macchina si è inceppata con l’arrivo del virus. «Per lungo tempo l’interscambio mondiale ha beneficiato di noli contenuti su tutte le rotte marittime» spiega Achille Fornasini, docente di Analisi tecnica dei mercati finanziari all’Università di Brescia. «Un contesto destabilizzato dall’epidemia e dai primi lockdown, che hanno bloccato le navi nei porti, spingendo molti armatori ad approfittarne per ristrutturarle. L’inaspettato exploit della domanda di trasporto ha così trovato molti cargo e portacontainer fermi nei cantieri: ciò ha aggravato la paralisi degli hub asiatici e nordamericani già strangolati dalla burocrazia sanitaria».

Una caso clamoroso è avvenuto in giugno, quando le restrizioni volute dalle autorità cinesi per confinare la diffusione del virus hanno rallentato le operazioni portuali nel Yantian international container terminal, uno dei più importanti al mondo, con ritardi e congestioni durati più di 14 giorni. Le navi che aspettavano fuori Yantian erano decine, cariche di migliaia di container e il blocco si è esteso anche ai porti di Shekou e Nansha.

Nel frattempo, spiega Alessandro Panaro, responsabile di Economia marittima del Srm, «il boom del commercio online americano ha spostato molti container sulla rotta Far East-Stati Uniti, provocando squilibri sulle altre direttrici strategiche». Di conseguenza, sulle rotte Shanghai-Rotterdam e Shanghai-Genova il costo del noleggio dei container è arrivato a impennarsi rispettivamente del 625 e del 516 per cento. Aggiunge Fornasini: «I noli sono schizzati alle stelle e le compagnie di navigazione hanno valorizzato le loro consolidate alleanze finalizzate a sfruttare i tragitti più redditizi e a ottimizzare i carichi privilegiando le navi più capienti. Ora siamo al massimo della tensione: rispetto al mese di maggio 2020, il World container index, che rileva i valori medi mondiali di noleggio di container di misura standard, registra in questi giorni il suo massimo storico con un +590,6 per cento».

Naturalmente tutto ciò ha un impatto devastante sulle imprese. Per spedire un carico di piastrelle in Asia, un produttore italiano ha speso circa 12 mila euro per un container, quattro volte la tariffa del 2019. E dai microprocessori alle biciclette, moltissimi prodotti sono introvabili. «In Italia le aziende hanno subìto fortemente il caro-noli, un rincaro che si è fatto sentire soprattutto sui prezzi delle materie prime» conferma Marco Nocivelli, presidente di Anima Confindustria che rappresenta le aziende meccaniche. «Questi aumenti straordinari continuano a impattare sull’operatività delle imprese nazionali non solo riguardo al costo delle materie prime, ma anche per i forti ritardi sui tempi di consegna, con i possibili riflessi negativi nei rapporti con la clientela. Sono state penalizzate tutte le aziende manifatturiere italiane, in particolare quelle che trattano merci voluminose».

Le colpe di questi rincari non possono essere scaricate tutte sulle compagnie di navigazione, colpite anche da un forte aumento dei prezzi del carburante. «Ed è una nostra responsabilità» ricorda Panaro, «se dipendiamo così tanto dalla Cina e dal Sud-est asiatico in generale, poiché abbiamo nel tempo favorito l’allungamento delle nostre filiere produttive strategiche». Infatti ben 14 porti asiatici sono presenti nella top 20 mondiale. Ma è altrettanto vero che questa volta, a differenza della crisi del 2008, molti armatori hanno preferito chiudere alcune rotte piuttosto che far viaggiare le navi mezze vuote e tenere i noli a prezzi più bassi. E così nel 2020 i carrier hanno messo a segno un profitto operativo record di 27 miliardi di dollari, con una previsione per il 2021 di 35 miliardi di dollari.

Ora tutti si chiedono quando si uscirà dall’emergenza. «Il disallineamento tra domanda e offerta di container e portacontainer è destinato a persistere» sostiene Fornasini. «Non si sono infatti ancora smaltite le ricadute dell’incagliamento della Ever Given nel canale di Suez, mentre la congestione nei grandi terminal cinesi e nordamericani continuerà per ragioni sanitarie a condizionare le spedizioni verso l’Europa anche nell’immediato futuro. Segnalo peraltro l’esistenza di fattori di debolezza più strutturale nel trasporto marittimo: innanzitutto i limiti delle infrastrutture portuali nel sopportare mezzi che sempre più saranno utilizzati nelle spedizioni di container, gli Ultra large container vessel, ma anche la ridotta capacità complessiva delle flotte esistenti nel far fronte alla domanda di servizi di trasporto». Risultato: «Le ricadute della pandemia potranno essere riassorbite nel 2022, mentre la soluzione delle questioni strutturali richiederà più tempo». L’oligopolio dei padroni del mare per ora è al sicuro.

© Riproduzione Riservata