Il crollo delle nascite è un fenomeno mondiale, che sta colpendo duramente sia la Cina sia gli Stati Uniti. Il Paese asiatico nel 2023 ha perso quasi nove milioni di cittadini e per la prima volta da decenni è sceso sotto gli 1,4 miliardi di abitanti. In America, invece, il deficit è colmato solo dall’arrivo degli immigrati. Però non tutti li considerano una risorsa…
La grande competizione tra Stati Uniti e Cina è sempre più evidente. La gara è serrata e all’ultimo respiro, anche perché il suo obiettivo è il predominio strategico globale. Il confronto ha un’ovvia componente economica e produttiva, che inevitabilmente s’intreccia con un duello in campo militare, che anno dopo anno porta Pechino e Washington ad accrescere gli investimenti – svariate centinaia di miliardi – allo scopo di rafforzare eserciti e arsenali. Tra il governo americano e il regime cinese, però, è in corso un’altra competizione, assai meno evidente, cui entrambe le parti farebbero volentieri a meno di partecipare: è la gara al calo demografico. Il crollo delle nascite è fenomeno comune a molti Paesi, e anche in Italia lo conosciamo bene. Ma le dimensioni che ha raggiunto in Cina sono cruciali: nel 2023 la Repubblica popolare ha perso quasi nove milioni di cittadini e per la prima volta da decenni è scesa sotto gli 1,4 miliardi di abitanti, tanto che ha dovuto cedere il primo posto nelle classifiche mondiali all’India, che l’ha superata di tre milioni di persone.
La demografia è davvero un problema grave per Pechino. Anche se la «politica del figlio unico» introdotta con la forza nel 1979 da Deng Xiaoping è stata ripudiata nel 2016 dal suo successore Xi Jinping, e anche se nel 2021 il presidente-dittatore Xi ha poi lanciato la nuova «politica dei tre figli», i tassi di natalità non sono mai ripartiti. Anzi. Nella Repubblica popolare le nascite ogni anno calano di cifre comprese tra i 500 mila e il milione. La disoccupazione giovanile al 20-21 per cento è troppo alta, e assieme alla povertà diffusa non spinge le coppie a metter su famiglia. Dopo 37 anni, inoltre, l’obbligo di un figlio solo s’è trasformato in consuetudine sociale, se non quasi in nuova tradizione culturale. Così il tasso di fertilità continua a scendere. Il «livello di sostituzione», che consente la stabilità demografica, prevede almeno 2,1 nascite per donna. Nel 2023, invece, l’aspettativa di procreazione è stata in media di 1,07 figli. È il livello più basso nella storia della Repubblica popolare, e la discesa negli ultimi anni è stata impetuosa: nel 2022 era 1,09. Il picco risale al 1969, sotto Mao Zedong, quando il tasso di fertilità era di 6,2 figli per donna.
Il calo demografico è comune a tutta l’Asia orientale. Le Nazioni Unite stimano che in Cina la popolazione diminuirà dell’8 per cento da qui al 2050, ma i Paesi vicini sono messi anche peggio: a Taiwan gli abitanti caleranno del 9 per cento, in Corea del Sud del 12 e in Giappone addirittura del 18. La demografia, però, resta il vero incubo di Pechino, e mina le sue ambizioni di predominio globale. L’autorevole rivista di relazioni internazionali Foreign Affairs, nel numero dell’8 maggio stima che nel 2050 gli ultra-75enni cinesi saranno oltre 200 milioni, due volte e mezzo più numerosi di oggi. Mentre la popolazione in età lavorativa sarà inferiore di oltre un quinto. Questo «deprimerà la produttività, i risparmi e gli investimenti, poiché i cinesi attivi saranno costretti a dedicare molto più tempo e denaro all’assistenza degli anziani». Intanto esploderà il costo delle pensioni e dell’assistenza sanitaria.
Il calo demografico cinese potrebbe produrre un notevole vantaggio strategico per l’Occidente, anche per le sue conseguenze in campo bellico. Da tempo Stati Uniti ed Europa osservano con crescente preoccupazione l’esplosione dei bilanci militari di Pechino, che in ognuno degli ultimi cinque anni sono aumentati del 7-8 per cento. Soltanto nel 2023 Xi ha speso quasi 300 miliardi di dollari per quello che la Cina chiama «Esercito di liberazione popolare». Ma se nei prossimi anni l’assistenza agli anziani occuperà gran parte delle sue finanze, Pechino potrà investire molto meno in soldati e in armi. E il calo delle nascite imporrà una drastica riduzione anche al suo imponente esercito. Tra il 1950 e il 1990 i cinesi in età di leva, 18-23 anni, erano aumentati da 35 a 80 milioni. Ma oggi quella fascia d’età è scesa sotto i 50 milioni, e da qui al 2050 calerà ancora a 30 milioni. Insomma, quando tra 25 anni la Cina festeggerà i cent’anni della rivoluzione comunista del 1949, avrà molte meno reclute di allora. Certo, i comandi militari di Pechino potranno compensare la demografia sfavorevole con la tecnologia, l’intelligenza artificiale e le armi prive di guida umana. Foreign Affairs ipotizza però – con qualche ottimismo – che «la scarsità di giovani potrebbe accrescere la sensibilità della società e dei vertici politici cinesi nei confronti delle perdite umane, e quindi ridurne l’inclinazione al conflitto armato».
Dall’altra parte della barricata, negli Stati Uniti, la situazione demografica assomiglia a quella cinese. Nel 2007, prima della grande crisi finanziaria, il tasso di fertilità era in equilibrio, a 2,12 figli in media per ogni donna americana. Da allora, però, ha iniziato a calare. Nel 2023 il tasso è sceso a 1,62, il livello più basso dal 1930. Alla fine dello scorso aprile il Wall Street Journal ha sottolineato, con apprensione, che i nati del 2023 sono stati inferiori ai 3,6 milioni, il 2 per cento in meno rispetto ai 3,7 milioni del 2022. Nel 2023, comunque, gli abitanti degli Stati Uniti non sono calati. Il loro totale resta vicino ai 336 milioni. Il motivo è l’aumento degli immigrati, 18 milioni d’ingressi tra il 2020 e il 2023. L’immigrazione, regolare e clandestina, è esplosa grazie alle politiche «aperturiste» dei democratici, ed è uno dei principali temi polemici della campagna per le presidenziali di novembre. In un Paese dove il «politically correct» lo scorso marzo ha imposto pubbliche scuse al presidente Joe Biden per aver utilizzato l’innocua espressione «immigranti illegali», sei elettori su dieci sono convinti che i due termini siano più che corretti, e che il problema sia più che serio. Tanto che Donald Trump è in vantaggio nei sondaggi proprio per il suo programma di contrasto all’immigrazione clandestina.
I clandestini creano problemi, anche negli Stati Uniti. Se la popolazione e l’economia americane crescono, però, questo accade anche grazie alla straordinaria capacità di attrazione di un Paese che, malgrado gli allarmanti segni di declino, resta l’Eldorado per chi in tutto il mondo sogna un’esistenza migliore e più libera, e un buon lavoro. È stato per queste doti – che la Cina di certo non possiede – se negli Stati Uniti metà dei tre milioni di nuovi assunti del 2023 sono nati all’estero. Ed è per questa capacità d’attrazione se l’Ufficio di bilancio del Congresso americano prevede che nel decennio l’immigrazione farà crescere l’economia di settemila miliardi di dollari. Dopo tutto, alla democrazia resta ancora qualche punto di vantaggio sulle dittature.