Quasi tutte le lenti degli occhiali hanno filtri che schermano questa specifica frequenza della luce, emessa dagli schermi digitali, e considerata dannosa. Ma la sua effettiva pericolosità non è mai stata davvero dimostrata. E la «protezione» è più che altro questione di marketing.
Da anni c’è la tendenza ad acquistare occhiali dotati di filtri che proteggono dalla luce blu emessa da smartphone, computer e tablet. Ma servono davvero o sono una delle tante trovate delle case produttrici? Ora un articolo pubblicato sul Cochrane Database of Systematic Reviews, fonte scientifica di grande autorevolezza, ne ridimensiona l’utilità. Analizzando 17 diversi studi, i ricercatori scrivono che: «Le lenti per occhiali che filtrano la luce blu potrebbero non attenuare i sintomi dell’affaticamento degli occhi dovuto all’uso del computer rispetto a lenti non filtranti». E, aggiungono, hanno effetti scarsi o nulli sulle prestazioni visive», né incidono sulla qualità del sonno. Si sa che i dispositivi elettronici emettono questo tipo di luce. E in particolari condizioni, l’esposizione a lungo termine può arrecare danni alla retina, ma gli esperimenti sono stati fatti per la maggior parte su animali. «Dapprima sono stati proposti schermi applicati anche sui tubi catodici, poi filtri per lenti» chiarisce Giacomo Costa, primario di Oculistica all’ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì. «Ma un danno sulle strutture oculari, effettivamente, non è stato ancora dimostrato».
Chi ha iniziato a demonizzare la luce blu sono state le aziende di occhiali. «Le prove che faccia male anche sull’uomo non sono mai state evidenziate. Proteggetevi dalla luce blu, ci hanno detto. Prima hanno creato l’assassino e poi lo hanno additato. È una strategia commerciale abbastanza nota» commenta Paolo Nucci, ordinario di Oftalmologia all’Università statale di Milano (e autore nel 2022 del saggio Iatrodemia, Piemme). L’Academy of Ophthalmology sostiene da sempre che ci sono poche certezze per giustificare i filtri blu. E queste vengono da analisi in vitro di fototossicità di forti illuminazioni blu su tessuti coltivati, non naturali. Risultati non confrontabili a ciò che accade in vivo. «Gli studi inoltre fanno riferimento alla luce blu come sorgente luminosa in senso stretto, non dentro uno spettro luminoso del visibile: è come se irradiassimo direttamente la retina solo sulla lunghezza d’onda del blu» spiega Costa.
Oltretutto, questa luce, emessa principalmente dal Sole, è ovunque. E durante il giorno è fondamentale per mantenere in equilibrio diversi meccanismi biologici e regolare il ritmo circadiano. «Se davvero ci fosse una tossicità, visto che è il Sole la fonte maggiore, ne avremmo patito le conseguenze da molto tempo. Ma stento a credere che siano gli occhiali in commercio a risolvere l’eventuale problema» riflette Nucci. E Costa aggiunge: «Abbiamo meccanismi di compensazione, altrimenti saremmo tutti ciechi. Madre natura ci ha fornito di un organo, il cristallino, in grado di filtrare la luce blu, i raggi ultravioletti e tutte le parti dannose dello spettro visibile». «Qualunque tipo di filtro, sia blu sia giallo-arancione usato per la maculopatia, ha qualche proprietà. Quello blu tende a ridurre la luminosità degli schermi, poi se questo si traduce in un benessere visivo è molto soggettivo. Io consiglio di gestire al meglio le posizioni della luce sia artificiali sia naturali rispetto alla propria postazione di lavoro, e fare una pausa dopo un’ora e mezza di attività al terminale, guardando lontano» precisa Costa.
«Non è nemmeno mai stato dimostrato che sia la luce blu dei “device” usati per leggere di notte a provocare insonnia. La causa è piuttosto il livello eccessivo di attenzione» dice Nucci. Il nostro sistema visivo viene decisamente più stimolato da smartphone o tablet, dove immagini strutturate e colorate sono in movimento, rispetto a un lettore ebook in cui i caratteri sono statici e privi di immagini. «Il danno da luce blu è molto costruito e sospetto una ragione puramente commerciale. Non è l’unico ambito. Anche sulla miopia c’è una grossa spinta in questo senso: stiamo analizzando con attenzione gli effetti della luce rossa intermittente da usare tre minuti al giorno (presentata come presunta cura, ndr) ma la letteratura in questo campo è quasi tutta cinese. Ci vuole molta attenzione» continua Nucci. Negli ultimi dieci anni, le pubblicazioni cinesi in tale settore sono cresciute dell’800 per cento. Nucci avverte: «In Cina c’è una spinta a pubblicare non sempre supportata da evidenze condivise. Servono ricercatori davvero critici per proteggere i pazienti e noi stessi». «Quello dell’occhialeria è un mercato enorme con profitti molto più alti rispetto a quello dell’oculistica» conclude Costa. «E cedere alle lusinghe della pubblicità è assai facile».