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Eutanasia come cura per il male di vivere

Eutanasia come cura per il male di vivere

Una trentenne olandese, fisicamente in salute, chiede il suicidio assistito a causa della sua condizione di depressione. È un caso limite che divide lo Stato nordeuropeo e pone domande urgenti su una legislazione che consente la scelta estrema con facilità eccessiva.


Beffardo, il destino. Si chiama «Gioia» la donna che ha deciso di ricorrere all’iniezione letale perché si è stancata di vivere. È depressa, sta male. Si sente giù, «di merda», ripete agli amici. Gioia (in realtà il suo cognome è Fun, ma la traduzione è quella) ha chiesto e ottenuto dal Servizio sanitario nazionale dei Paesi Bassi, in cui vive, di entrare a far parte della lista di suicidi assistiti per motivi psichiatrici. Una particolarissima condizione che sta spaccando l’opinione pubblica della nazione nordeuropea perché anche i più tenaci attivisti della «dolce morte» si stanno rendendo conto che è urgente rivedere limiti e requisiti per l’accesso a questo genere di eutanasia. Oggi sono sei le condizioni da soddisfare ma le più importanti sono appena un paio: i pazienti devono essere affetti da sofferenze insopportabili, senza alcuna prospettiva di sollievo, e non può esserci altra soluzione ragionevole al loro dolore.

Gioia ha 34 anni, ha un compagno e un cagnolino. Ha i capelli biondi e la carnagione e gli occhi chiari. Con lo sguardo malinconico ha raccontato al quotidiano britannico Times di aver preparato il bigliettino funebre in vista del «grande giorno». Ha scritto di sé in terza persona: «Nata dall’amore, lasciata andare nell’amore. Dopo una vita combattuta, ha scelto la pace che tanto desiderava». L’ultimo consulente che l’ha visitata ha riscontrato disturbi alimentari e lievi difficoltà di apprendimento dovute, forse, a una forma di autismo. Il «mal di vivere» lei lo sperimenta da quando aveva 22 anni. Inutili le terapie, a suo dire. «Vivo in un mondo oscuro, ho il caos nella mia testa e soffro di solitudine» dice. E ricorda: «Già quando avevo sette anni, chiesi a mia madre se sarei morta buttandomi da un viadotto. Ho lottato con questo per tutta la vita». E dopo la morte? «Spero» ha sorriso, «che non ci sia nulla».

Il suo è un dossier certamente «borderline». L’istituzione sanitaria, che di solito si occupa di questo genere di richiesta, l’Expertisecentrum Euthanasie, non le aveva accordato il permesso per l’eutanasia perché le patologie psichiatriche hanno uno spettro di valutazione profondamente diverso da quelle fisiologiche, e lei non sembrava rientrare nei canoni. Ma Gioia non si è arresa e ha trovato tre psichiatri che le hanno comunque staccato il biglietto per l’ultimo viaggio. In un quarto di secolo, nei Paesi Bassi, i suicidi autorizzati dallo Stato hanno registrato un incremento del 2.500 per cento passando dai 349 del 1998, con una progressione che nel 2023 ha fatto registrare un totale di 9.068 casi. Anno, quest’ultimo, in cui 138 uomini e donne hanno deciso di staccare la spina per le stesse motivazioni di Gioia. Nel 2019 i suicidi assistiti per depressione erano stati invece 68 e, nel 2010, appena due. Boudewijn Chabot, uno scienziato condannato per aver eseguito il primo caso segnalato di eutanasia per motivi psichiatrici negli anni Novanta, è preoccupato per la velocità con cui l’eutanasia viene ora autorizzata per i pazienti psichiatrici cronici. In un libro, Uitweg (Via d’uscita) ha chiesto alle autorità maggiori investimenti nelle cure sanitarie. Tanti di quelli che scelgono di morire potrebbero essere salvati se opportunamente trattati.

«Non sono contrario al fine vita per casi di psichiatria o di demenza grave», ha scritto lo studioso, ma «sono estremamente preoccupato che i medici stiano cercando di risolvere la miseria sociale dovuta alla mancanza di cure spalancando la porta alla morte». Il partito dell’Unione Cristiana ha recentemente presentato un disegno di legge per chiedere maggiori finanziamenti alle politiche di prevenzione dell’eutanasia soprattutto a tutela della popolazione giovanile che, dopo le restrizioni del Covid, sta vivendo una fase di grave disagio mentale. Chi invece vuole ulteriormente liberalizzare «l’iniezione finale» si aggrappa alle statistiche sui suicidi, in continua crescita, per giustificare una Uitweg alternativa, e legale, a quella che può maturare in un momento di sconforto. Lo stesso ministro della Salute, in passato, aveva proposto di varare una norma che consentisse agli ultra-settantacinquenni di «farsi suicidare» dal medico curante, comodamente seduti in poltrona a casa propria, pur in perfetta salute fisica e mentale. Non è passata, finora. Ma la speranza, da queste parti, non è più l’ultima a morire.

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