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Al Jazeera, il soldato in più di Hamas

Al Jazeera, il soldato in più di Hamas

Dopo gli attacchi del 7 ottobre e con il conflitto nella Striscia di Gaza, uno dei canali di informazione più accreditati si è trasformato in uno strumento di propaganda islamica. Per conto del governo che la manda in onda, il Qatar, e per esaltare gli animi in tutto il mondo.


Oscurare Al Jazeera costituirebbe un tentativo di sopprimere la libertà di parola? È la domanda che l’Occidente si è posto in seguito alla propaganda antisemita e pro-Hamas delle ultime settimane da parte del canale televisivo con sede in Qatar. «Attenuate i toni di Al Jazeera sulla guerra a Gaza» ha chiesto senza mezzi termini al governo di Doha il segretario di Stato americano Antony Blinken. Fin dalla sua fondazione nel 1996, il network ha messo in onda più volte sul suo canale dedicato ai giovani «AJ+» video che negano l’Olocausto, nei quali si sostiene che gli ebrei abbiano esagerato la portata del genocidio. Così come ha lasciato che il predicatore egiziano Yusuf Al-Qaradawi (morto nel 2022), conducesse un suo format – il cui nome è tutto un programma, Sharia – nel quale era libero di dire durante i sermoni: «Oh Dio, prendi questa banda di aggressori ebrei sionisti e non risparmiarne nemmeno uno. Oh Dio, conta il loro numero, uccidili uno per uno e non risparmiare nessuno».

La propaganda antisemita di Al Jazeera non solo è potente e pericolosa, ma anche contagiosa. E questo non solo in ragione dei messaggi violenti distribuiti sui numerosi canali di trasmissione che fanno parte della galassia del network qatariota – Al Jazeera Arabic, Al Jazeera English, Al Jazeera America, Al Jazeera Turchia, Al Jazeera Balcani, solo per citare i principali – ma anche dei follower sui social. Al Jazeera Arabic (dunque in lingua araba) su You Tube può contare su 14,7 milioni di iscritti e su X (Twitter) ne ha 21,5 milioni; Al Jazeera English (dove si comunica in inglese) invece conta più di 40 milioni complessivi di follower tra Facebook, Instagram e Tik Tok.

Una macchina, quella dei social, costruita ancor più del canale televisivo, per diffondere tesi anti-Israele che si rifanno apertamente al fondamentalismo islamico e hanno come principale obiettivo i giovani e i giovanissimi da «reclutare alla causa». Per esacerbare gli spiriti si pubblicano contenuti di ogni sorta, e i commenti di chi guarda danno la misura di quanta rabbia si riesca a convogliare su questo mondo social che, al di là del comunicare, sembra avere lo scopo di unire sotto il suo simbolo miriadi di singoli musulmani di diverse nazioni.

L’operazione mediatica di Al Jazeera viene condotta ieri come oggi in maniera molto astuta: se sulla versione Arabic la tesi è sempre la medesima – Israele è l’aggressore e Hamas l’aggredito – e gli ospiti scelti incitano apertamente alla «resistenza», su Al Jazeera English trovano spazio soltanto le voci di chi critica Israele però in giacca e cravatta, per dare una parvenza di equidistanza. Ma per comprendere da che parte stiano il network e la sua redazione basta dare un’occhiata agli account personali dei giornalisti che vi lavorano. Su X non ce n’è uno che non abbia giustificato l’attacco di Hamas o lo abbia celebrato come «una vittoria che ha portato orgoglio e onore alla nazione islamica». Molti hanno pubblicato video e fotografie condivisi da privati o associazioni filo-palestinesi dove vengono mostrati (con soddisfazione e commenti di giubilo) israeliani catturati mentre subiscono abusi oppure cadaveri oltraggiati dalla popolazione. In un post del 10 ottobre 2023, in risposta al commento del presidente degli Stati Uniti Joe Biden secondo cui Hamas «non rappresenta le aspirazioni del popolo palestinese», la presentatrice di Al-Jazeera Ghada Oueiss ha scritto: «Sul serio? Il fratello Biden ha sondato la nostra opinione al riguardo?».

Mentre lo stesso 7 ottobre, giorno dell’attacco terroristico di Hamas in territorio israeliano, il giornalista palestinese di Al Jazeera Tamer Almisshal, conduttore del programma The Hidden is More Immense, ha commentato così il fatto: «Gaza produce vittoria e onore per la sua patria e nazione». Il medesimo giorno della carneficina, il mezzobusto del canale Soufiane Tabet, studi alla Sorbona e volto da bravo ragazzo, ha commentato: «La fragilità di Israele è diventata evidente questa mattina. La liberazione della patria è solo una questione di tempo, che richiede più uomini e più determinazione». Peggio di lui il collega Ahmad Mansour il quale, nel condividere un video che mostrava agenti di Hamas trascinare a terra due soldati israeliani, ha spiegato: «Questa immagine storica vale quanto le centinaia di miliardi di dollari che i sionisti di tutto il mondo hanno investito in Israele».

A questo lunghissimo elenco aggiungeremo solo il post della presentatrice Ghada Oueiss, che ha condiviso un’immagine raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nei panni di Hitler e una vignetta che lo mostra mentre spinge una bara avvolta in una bandiera palestinese in un crematorio ad Auschwitz. Insomma, la deontologia secondo cui un giornalista riporta i fatti e si tiene alla larga dalle opinioni personali non vale in Qatar, almeno non per la redazione di Al Jazeera. «Lungi dall’essere un campione della libertà di parola, Al Jazeera, portavoce della monarchia qatariota, è un fornitore di estremismo islamico, jihadismo e salafismo». Le parole nette sono di Emad Elhady, autorevole analista egiziano, spesso ospite del think tank americano specializzato in Medio Oriente, Washington Institute, che ricorda: «Il canale ha trasmesso un’intervista al leader di Jabaht Al Nusra, una propaggine di Al-Qaeda; e a un ospite del popolare show The Opposite Direction si è lasciato giurare fedeltà, in diretta televisiva, al leader dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi. Non sorprende poi che, durante gli eventi della Primavera araba, Al Jazeera non si sia schierata con i rivoluzionari, ma piuttosto con gli islamisti».

In generale, dunque, il Qatar non sembra poter dare lezioni di democrazia e diritti umani. «Non molto tempo fa» prosegue Emad Elhady «le autorità del Qatar hanno condannato un poeta qatariota a 15 anni di carcere per aver recitato una poesia che criticava l’ex emiro Hamad al-Thani. In realtà, Doha usa Al Jazeera per mettere in atto la politica “a zig zag” che è al centro della crisi attuale». Questa tattica è tutt’altro che estranea al network: nella guerra contro l’Iraq guidata dagli Stati Uniti, per esempio, il network è stato il critico più accanito degli americani e dei loro sforzi bellici, senza però menzionare il fatto che gli aerei da guerra stelle-e-strisce lanciavano le loro sortite in Iraq proprio da una base militare situata in Qatar. Oscurare Al Jazeera non sembra tuttavia all’ordine del giorno. Se è vero che è già successo con Russia Today in seguito all’invasione dell’Ucraina, quando il canale di Stato della Federazione è stato prima ammonito e poi «spento» in Europa e negli Usa per evitare che Mosca propagandasse disinformazione e fake news, difficilmente accadrà ancora: nonostante un media non possa diffondere tesi che giustificano o, in alcuni casi, addirittura celebrano il terrorismo e la violenza, contano di più i soldi.

A questo proposito, Al Jazeera rappresenta una vitale forma di autopromozione per chi, come il Qatar, è solo una piccola autocrazia ricca di petrolio che solo elargendo denaro a pioggia può sperare di ritagliarsi un posto nell’arena regionale e internazionale. «Non a caso» continua Elhady «mentre parla di sovranità e libertà di opinione il Qatar finanzia, arma, promuove e abbraccia milizie e organizzazioni islamiste in Libia, Tunisia, Yemen, Siria, Iraq e in Egitto». Per restare a oggi, il committente di Al Jazeera, ovvero il governo dell’emiro Al Thani, è il più generoso finanziatore di Hamas, e a Doha ospita e protegge i leader dell’organizzazione terroristica. I quali sul canale continuano a propagandare le proprie tesi, come la cancellazione di Israele: esplicitamente sul canale arabo, dove trovano spazio le teorie più incendiarie del fondamentalismo islamico, e in maniera più sfumata sulle piattaforme in inglese, dove il supporto al gruppo terroristico è un rumore di fondo, la cui eco è però in grado di incendiare le piazze tanto d’Europa quanto degli Stati Uniti.

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