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I riders della droga

I riders della droga

Si moltiplicano i sequestri di sostanze stupefacenti trasportate nelle borse termiche insieme a pizza e bevande. Svuotate le piazze dello spaccio causa lockdown, ora il mercato di cocaina e marijuana si sposta a domicilio.


Quando Milano è piombata nel terrore e nel silenzio squarciato solo dalle sirene delle ambulanze loro erano i padroni delle strade. Con o senza mascherina i riders delle consegne di cibo a domicilio hanno lavorato anche nel periodo del lockdown. Un servizio essenziale, il loro. E non solo per chi aspettava la pizza a casa.

Il mercato della droga, infatti, ha trovato nuovi canali. Svuotate le piazze dello spaccio, recintati i giardinetti dei traffici, chiusi i locali notturni dove si consuma, la droga doveva comunque arrivare a destinazione e gli spacciatori hanno pensato di rivolgersi ai corrieri in bicicletta per rifornire i propri clienti. Il meccanismo è semplice: basta scaricare l’applicazione sul cellulare, inserire i propri dati, chiamare con un clic il corriere e consegnargli la droga. Trasporto tracciato e avviso di consegna in tempo reale. Per il pagamento basta un altro clic su una delle app per trasferire denaro. Carabinieri e polizia, nelle grandi città, sono incappati più volte nei nuovi muli della droga che, spesso inconsapevoli, in bicicletta su marciapiedi o contromano sfuggivano ai controlli.

A fine aprile, a Milano, la polizia ha fermato un fattorino peruviano in Porta Genova. Nella sua borsa termica, tra pizze e panini, gli agenti della Squadra mobile hanno trovato dieci grammi di marijuana e uno di cocaina. In un’altra occasione, sempre a Milano, gli agenti, dopo essere risaliti al cliente che aveva prenotato la consegna di una busta contenente alcuni grammi di marijuana, hanno scoperto una centrale dello spaccio gestita da un italiano, con 125 grammi di cocaina, 136 di Mdma (una droga sintetica), 1,7 chili di marijuana, 32 pasticche di ecstasy, 32 grammi di hashish e 6.300 euro in contanti suddivisi in banconote di vario taglio.

Invece i carabinieri del capoluogo lombardo, a fine maggio, dopo essere stati avvertiti dallo stesso fattorino che aveva dei sospetti sulla consegna da effettuare, sono risaliti a un trentenne che si serviva dei riders per smerciare metanfetamina e ormoni della crescita ai clienti delle palestre chiuse per lockdown. Come non avevano rinunciato allo sballo i due italiani che si sono fatti consegnare a casa, in zona Bovisa, 40 grammi di hashish. Gli agenti del commissariato Sempione hanno rintracciato chi aveva assoldato il corriere e gli hanno trovato quasi 12 chili di marijuana.

Ma il trucco di affidarsi a un’app per spacciare è impiegato in tutta Italia. Un rider italiano 42enne che effettuava consegne per la società di delivery Glovo, il 24 marzo scorso, è stato arrestato dai carabinieri di Torino perché nel corso del controllo gli hanno trovato nel contenitore del cibo 178 grammi di droga, tra marijuana e cocaina.

A Roma, un ventiduenne studente universitario è finito in carcere dopo che i carabinieri della stazione Salaria, impegnati nei controlli delle autocertificazioni per poter lavorare durante il lockdown, sono incappati nella consegna di un etto di hashish. Mentre al quartiere San Basilio, dove a marzo si sono registrate cinque morti per overdose in una sola settimana, i clan che si spartiscono il mercato della droga avevano assoldato anche i riders per le loro consegne. Un investigatore milanese spiega che i fattorini non possono in alcun modo ispezionare il plico da consegnare e che quindi diventano inconsapevoli corrieri della droga.

A fine aprile, infatti, fu proprio un italiano di 24 anni che lavorava per Glovo a chiamare gli agenti. A insospettirlo l’odore che usciva dal pacchetto, che avrebbe dovuto contenere una batteria per telefono cellulare da recapitare a un addetto al marketing di una grande azienda. E che invece conteneva quasi 30 grammi di «erba». A casa dell’ucraino che aveva ordinato la consegna ce n’era un altro mezzo etto e una bilancia di precisione. Mario Grasso della Uil turismo, commercio e servizi spiega che l’unica società che può effettuare consegne anche tra privati e non solo tra esercente e cliente è Glovo ma che «spesso il rider non sa cosa sta trasportando, anche perché le linee guida emesse dalla società per l’emergenza Covid impongono di maneggiare il meno possibile pacchi e buste. Si tratta di contratti di lavoro autonomo» spiega a Panorama il sindacalista «e ogni responsabilità ricade sul lavoratore».

La conferma arriva dall’associazione Riders Union Roma: «Le uniche garanzie sono quelle di legge: le aziende per le quali lavoriamo non hanno interfacce fisiche sul territorio e siamo da soli». Angelo Avelli, rider e anima del sindacato autonomi Deliverance Milano, racconta che la procura meneghina sta indagando sull’impiego di corrieri nello spaccio di droga e ascoltando diversi suoi colleghi, e sottolinea il paradosso di un lavoro che, pur essendo a tutti gli effetti dipendente, «scarica ogni responsabilità sul lavoratore, compresa quella di doversi difendere dall’accusa di spaccio».

Ma quanti sono i riders in Italia? Sempre in lotta per avere riconosciuti i propri diritti – lavorano anche più di 40 ore a settimana – secondo una stima elaborata dalla Statale di Milano i corrieri di società come Glovo, Deliveroo, JustEat e Uber Eats sono circa 20 mila, un quarto solo a Milano.

Il 66 per cento sono stranieri, soprattutto africani, hanno tra i 23 e i 25 anni e un quarto di loro parla poco l’italiano. Anche per questo, in un momento di crisi economica, con la contrazione dei consumi, anche alimentari, e in mancanza di un pieno riconoscimento professionale, sono a rischio sia di essere usati come complici inconsapevoli di traffici illeciti, con quel che ne consegue in termini di responsabilità penali. Oppure di diventare soggetti sensibili alle offerte di facili guadagni criminali. La loro paga va dai 2 ai 12 euro l’ora. E basta un clic sul cellulare per arrotondare.

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