Italiani, malati di troppe medicine
«Sogniamo di produrre farmaci per le persone sane». L’aveva anticipato, oltre quarant’anni fa, Henry Gadsen, allora direttore generale di una delle più grandi aziende farmaceutiche, la Merck. E bisogna dire che ci sono riusciti benissimo. Talmente bene che, a forza di prendere farmaci, le persone sane di ammalano pure. Ma chi può fermare la macchina di Big Pharma? «Tutta l’informazione ai medici deriva da chi vende farmaci», ha denunciato il farmacologo Silvio Garattini, «come pure quasi tutta la ricerca sui farmaci è fatta dall’industria farmaceutica. Manca una ricerca indipendente per determinare l’efficacia e la tossicità dei farmaci». In effetti: che cosa importa se i farmaci fanno bene o male? L’importante è venderli...
E così le vendite dei farmaci procedono a gonfie vele: lo Stato è arrivato a spendere 23,5 miliardi di euro l’anno, contro i 16 miliardi di dieci anni fa. Garattini ha lanciato l’allarme con un articolo su La Stampa: «È troppo». Lo aveva già fatto nel febbraio 2019 proprio con un’intervista a Panorama, in cui si era spinto a dire che «la metà dei farmaci che prendiamo è inutile». Purtroppo allora l’allarme cadde nel vuoto. E temiamo che oggi succeda lo stesso. È troppo forte l’interesse economico che spinge i farmaci: il mercato della paura e delle malattie non conosce crisi. Anzi. Ci sono anziani che arrivano a prendere 14-15 pillole al giorno, denuncia il farmacologo novantenne, una vita passata a combattere per la nostra salute. «Non esiste alcun lavoro scientifico che giustifichi un numero così elevato di farmaci, stabilendo che 14 sono meglio di 10» ha scritto. «Non sappiamo quali effetti terapeutici producono 14 farmaci mentre sappiamo che inducono molti effetti collaterali e tossici».
Ma quanti sono i farmaci che producono effetti tossici? L’associazione francese indipendente Prescrire ha appena aggiornato la lista (per il 2024) dei farmaci che fanno più male che bene. Sono 105, di cui molti commercializzati anche in Italia. Si va dal diclofenac (Voltaren) al kétoprofène (Ketum), dall’oxomemazina (Toplexil) al caolino (Gastropax). Qualcuno accusa la rivista Prescrire di fare troppo allarmismo. Sarà. Ma è stata l’unica che qualche anno fa evidenziò in Francia il rischio di continuare a distribuire il Mediator, un antidiabetico che veniva usato per le diete strong. Solo dopo anni di battaglie e di processi si scoprì che il Mediator aveva causato la morte di oltre duemila persone.
Del resto che consumiamo troppi farmaci, e spesso inutili, è sicuro. Qualche tempo fa il British Medical Journal ha pubblicato una ricerca del King’s College di Londra e della London School of Economics. Hanno preso in esame 68 indicazioni di farmaci oncologici fra il 2009 e il 2013. Ebbene: dopo tre anni era risultato che solo 24 su 68, cioè il 35 per cento, aveva provocato un aumento della sopravvivenza (e, comunque, per meno di tre mesi) e solo il 7 per cento aveva provocato un aumento della qualità della vita. Ciò significa, in parole poverissime, che il 65 per cento dei farmaci oncologici non sono stati introdotti per portare beneficio a chi quei farmaci li assume. Ma solo per portare beneficio a chi li produce.
Nel luglio 2019 sempre il British Medical Journal pubblicò un’analisi di Beate Wieseler, dell’istituto pubblico tedesco che studia la qualità e l’efficienza della salute. La Wieseler aveva messo sotto osservazione tra il 2011 e il 2017 la bellezza di 216 nuovi farmaci introdotti nel sistema con tutte le benedizione e le autorizzazioni del caso. Ebbene: solo il 54 per cento, cioè il 25 per cento, uno su quattro, avevano portato beneficio. Ciò significa che tre farmaci su quattro introdotti nei sei anni studiati dalla ricercatrice erano risultati del tutto inutili. Potevamo evitare di assumerli. E soprattutto evitare di pagarli.
«Bisognerebbe introdurre nel mercato un nuovo farmaco solo se siamo sicuri che esso aggiunge qualcosa rispetto ai precedenti, cioè se si dimostra che è più efficace di quelli che ci sono già» mi confidò qualche tempo fa proprio Silvio Garattini. Ma ciò non è possibile e sapete perché? Perché nessuno fa l’analisi comparativa tra le medicine. Esistono pochissimi studi come quelli che vi ho appena citato. E sapete perché? Semplice: perché anche tutta la ricerca scientifica è finanziata dalle case farmaceutiche, le quali non hanno come primario obiettivo quello di curare i malati. Ma quello di curare i bilanci. E ci riescono benissimo, per altro. A tal punto che quando sento che molti farmaci finiscono sprecati, mi viene quasi da tirare un sospiro di sollievo. Meglio nella spazzatura che nel corpo di qualche persona sana, come da pianificazione delle aziende farmaceutiche. Anche perché se prende troppi farmaci la persona sana poi si ammala davvero. E se proprio dobbiamo arricchire Big Pharma, almeno lasciatecelo fare da vivi.