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Malagiustizia: accusati (e rovinati) in nome della Triade

Malagiustizia: accusati (e rovinati) in nome della Triade

A causa dell’interpretazione sbagliata di un’intercettazione da parte dei magistrati, Andrea e Fabrizio Bolzonaro, che avevano avviato una fortunata attività di trasferimento denaro, prima sono finiti in cella e poi hanno dovuto affrontare tutti i gradi di giudizio. Ora l’innocenza dei due fratelli è stata accertata, ma al prezzo di devastare la loro vita.


Come possa una innocente battuta fatta alla moglie («Questa gente forse sta riciclando i soldi della mafia russa…») essersi trasformata in una confessione («Stiamo riciclando i soldi della mafia cinese») è un dubbio che tormenterà per sempre i fratelli Fabrizio e Andrea Bolzonaro. Soprattutto perché per quella interpretazione sbagliata di un’intercettazione sono stati arrestati, insieme al padre Luciano, all’epoca 65enne, e costretti a trascorrere 5.009 giorni di supplizio processuale prima dell’assoluzione definitiva «perché il fatto non sussiste».

Il «fatto», nella ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, aveva un nome che è un marchio d’infamia a tutte le latitudini: la Triade cinese. La super cupola criminale che, per i pm, aveva scelto la società Money2Money della famiglia Bolzonaro per ripulire i capitali sporchi del traffico di droga e di un’altra mezza dozzina di reati. Solo che era tutto infondato, neanche una carta della gigantesca indagine è rimasta in piedi. Quel 28 giugno 2010 la Procura del capoluogo toscano ha preso un abbaglio, inseguendo un’ipotesi che già i giudici di Bologna avevano bocciato, ma che ha incredibilmente trovato nuova linfa investigativa proprio in quella battuta telefonica sulla mafia russa. E se ai Bolzonaro può essere contestato qualcosa è solo la passione per un lavoro che li aveva portati, dal 2005 al 2007, a passare da un fatturato di 190 mila euro a oltre 600 milioni. «Aprimmo l’azienda nel 2004 in un momento di forte espansione del settore del trasferimento di denaro adottando una strategia aggressiva di conquista del mercato con commissioni basse e tassi di cambio convenienti. Avevamo iniziato anche a fare microcredito aprendo filiali all’estero». Nel 2006 arriva la svolta che si rivelerà la maledizione della famiglia: la compagine si allarga con l’ingresso di due soci cinesi, amici del padre, che portano in dote non certo i legami con le cosche di Pechino ma rapporti professionali con Bank of China. Un collegamento che consentirà alla società di Bologna di interagire con migliaia di filiali sparse nel Paese della Grande Muraglia e di moltiplicare clienti e business. La prova, secondo gli inquirenti, dell’intelligenza col crimine orientale.

«Le accuse nei nostri confronti erano lunari. Siamo sempre stati in rapporti di collaborazione diretta con Banca d’Italia e con tutte le forze di polizia» ricordano i due fratelli a Panorama, «perché sentivamo l’obbligo di essere attentissimi a ogni movimento sospetto di denaro. Abbiamo stilato centinaia di segnalazioni, abbiamo sempre cooperato con l’autorità giudiziaria. All’epoca usavamo software e procedure all’avanguardia che solo oggi sono diventati di pratica comune nel mondo della finanza». Di lì a poco la Money2Money si sarebbe trasformata in una banca. E loro sospettano: «Probabilmente, il nostro successo ha dato fastidio a qualcuno. Non si entra in certi santuari solo perché si è bravi…». Alle 5 del mattino la Finanza arresta i Bolzonaro. I tre vengono trasferiti nel reparto di alta sicurezza del carcere bolognese «Dozza». Fabrizio chiede ingenuamente all’agente di custodia se corre qualche pericolo a ritrovarsi tra criminali incalliti, lui che è un incensurato con un lavoro rispettabile. La guardia gli risponde: «Quello pericoloso sei tu». In primo grado arriva la condanna per riciclaggio, ma cadono le aggravanti mafiose. In appello la caparbietà e la tenacia dell’avvocato Laura Becca ribaltano il risultato nonostante le difficoltà dettate dalla diffidenza dei giudici e da inspiegabili fenomeni di sparizione dei faldoni. La stessa intercettazione contestata risulta incomprensibile all’ascolto. L’audio è disturbato e risulta un mistero come sia stato possibile trascriverlo con tanta certezza.

La società nel frattempo fallisce, il marchio viene venduto dal curatore a un’azienda polacca e tutto il patrimonio materiale e immateriale della Money2Money è ridotto a una discarica all’interno degli uffici bolognesi. «Faldoni, server, pc e documenti di una ditta modello» spiegano i fratelli Bolzonaro, «sono ostaggio dei topi che hanno preso possesso della nostra sede. Così lo Stato conserva i beni sottoposti a sequestro cautelativo». Oggi Fabrizio e Andrea sono in attesa che il curatore gli restituisca almeno le spoglie della loro creatura raggranellando sui conti correnti quel che ancora resta dei munifici incassi di un tempo. Ma la vita ha imposto un cambiamento radicale: il primo è diventato un agente immobiliare mentre il secondo ha iniziato a lavorare in una tabaccheria. «Dopo la liberazione sono passati mesi prima che ci offrissero un’occupazione, avevamo lo stigma della mafiosità. Clienti e amici non ci rispondevano più al telefono». Qualche settimana fa è arrivata la sentenza della Cassazione che ha confermato l’assoluzione di secondo grado: i Bolzonaro sono innocenti. Ma chiamarlo lieto fine è davvero complicato.

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