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Italiani, popolo di depressi

Italiani, popolo di depressi

«È la prima causa di disabilità, che ha superato patologie cardiovascolari e tumorali» dice il dottor Massimiliano Dieci, degli Istituti clinici Zucchi. E a Panorama illustra alcune idee per contrastare una «pandemia» dai costi sociali elevatissimi.


Basta leggere i giornali, curiosare sui social, guardare la tv e ci si rende subito conto di come il disagio mentale sia presente nella società. Ne parliamo con Massimiliano Dieci, responsabile dell’Unità operativa di riabilitazione specialistica a indirizzo psichiatrico e residenzialità psichiatriche degli Istituti clinici Zucchi di Carate Brianza (Gruppo San Donato).

Dottor Dieci, quando si può parlare realmente di disturbo mentale?

Il limite tra normalità e patologia in campo psicopatologico non è assoluto. Un tumore o c’è o non c’è, si definisce da sé. Altre patologie, per esempio l’ipertensione, si definiscono in termini quantitativi in un continuo con la normalità. Le patologie psichiche seguono questo secondo modello. Il limite è spesso arbitrario, dipende da variabili sociali, dalla cultura, dalle aspettative. Pensi alla depressione. Oggi consideriamo patologiche condizioni più sfumate che una volta non avremmo curato. Ciò avviene anche perché abbiamo terapie in grado di funzionare. Ma è innegabile che la pressione sociale alla performance abbia contribuito ad abbassare la soglia. Ci si sente inadeguati, magari perché non riusciamo a raggiungere gli standard sociali o lavorativi, e la lontananza dalla norma, come ci ha insegnato Michel Foucault, diventa rapidamente malattia.

Depressione in crescita, ma cosa si intende esattamente?

Da qualche anno è la prima causa di disabilità a livello mondiale, la malattia a più alto impatto sociale, ha superato le patologie cardiovascolari e tumorali. È una malattia frequente, che colpisce anche i giovani, spesso cronica o ricorrente. Si va da forme lievi a gravissime, in cui la persona versa in uno stato di prostrazione. Tutto diventa negativo, difficile, scompaiono gli interessi, manca l’appetito, si altera il sonno, si arriva a pensare e talvolta agire idee di morte. Inoltre i depressi sono più a rischio per una serie di malattie, in primis i disturbi cardiovascolari, con aumento consistente della mortalità. La probabilità di avere nel corso della vita almeno un episodio depressivo è poco meno del 30 per cento per gli uomini e poco meno del 50 per le donne, con un trend di crescita. Questa differenza a favore del sesso femminile è probabilmente sovrastimata in relazione al fatto che le donne tendono con maggiore frequenza a chiedere aiuto, in qualche modo la depressione femminile è più visibile.

Femminicidi, violenza sulle donne, disturbi gravi della sfera affettiva. In che modo risentono della pandemia e delle malattie mentali?

È senz’altro sbagliato fare equivalenze fra patologie psichiche e violenza. Comportamenti violenti, ma potrei prendere a prestito il termine «il male», appartengono anche a psicologie normali. La cultura in cui siamo più o meno consapevolmente immersi mi pare un determinante più importante di quello della psicopatologia. La pandemia da Covid e le restrizioni hanno determinato un aumento delle patologie dello spettro depressivo e ansioso, soprattutto nelle donne e nei giovani. Fatico a pensare che la pandemia abbia una relazione diretta con i femminicidi e la violenza. Immagino che alcune restrizioni possano aver contribuito a creare situazioni di tensione, fattore di rischio per scatenare comportamenti violenti. Le condizioni psichiatriche a rischio violenza sono pochissime e riguardano alcune condizioni psicotiche. C’è poi l’ambito dei disturbi di personalità, qui si apre una questione per la quale non abbiamo risposte forti: alcuni disturbi possono essere a rischio per agiti violenti, ma ad oggi non pensiamo che il disturbo di per sé giustifichi tali comportamenti. Tanto che da un punto di vista giuridico queste persone sono tendenzialmente considerate capaci di intendere e volere, dunque imputabili. Certo, un sistema di politiche sociali e sanitarie più attento e comprensivo delle competenze della psichiatria potrebbe intercettare e prevenire.

In che modo agisce l’unità operativa da lei diretta?

L’Unità di riabilitazione psichiatrica degli Istituti clinici Zucchi si occupa di pazienti con diverse patologie psichiche, dai disturbi dell’umore alle psicosi ai disturbi di personalità, che necessitano di interventi complessi diagnostici, farmacologici, psicologici, educativi, con percorsi di cura e riabilitazione che vanno, nei diversi reparti, da settimane a mesi. La nostra équipe si è arricchita e specializzata, ma siamo una piccola eccezione, molti servizi di psichiatria sono in difficoltà. Negli anni abbiamo assistito a un aggravamento dei casi e a un aumento delle richieste. Nella nostra Unità riceviamo almeno il triplo delle richieste delle nostre potenzialità di accoglienza. Tutto questo accade perché in Italia vi è una grave carenza di risorse per la salute mentale, come indicano i dati, dalla spesa al numero di posti letto. L’Italia è drammaticamente agli ultimi posti nella classifica europea nell’offerta di servizi per il disagio psichiatrico. Noi che lavoriamo nei servizi pubblici o privati accreditati siamo sommersi da richieste di visite, ricoveri, psicoterapie che non riusciamo a soddisfare.

A che punto è la ricerca medica nel suo campo?

È in continua evoluzione sia nell’ambito delle neuroscienze sia in ambito psicologico. Numerosi farmaci con nuovi meccanismi d’azione sono in fase di sperimentazione avanzata, sia per le patologie depressive sia per altri disturbi. Sono inoltre disponibili da oramai qualche anno interventi terapeutici non farmacologici di provata efficacia, come la «Stimolazione magnetica transcranica» capace di modulare, attraverso un campo magnetico, l’attività di aree cerebrali coinvolte nella patogenesi di alcuni dei nostri disturbi.

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