Troppi migranti: Parigi dice stop allo Ius Soli (per ora soltanto a Mayotte)
Pur di fermare la crisi migratoria in corso nell’arcipelago di Mayotte, il presidente Emmanuel Macron è disposto a cancellare, seppur a livello locale, lo ius soli, uno dei principi fondanti della République. Un provvedimento eccezionale, deciso nel disperato tentativo di riportare l’ordine nel dipartimento d’Oltremare che si trova nell’Oceano Indiano, ormai stravolto da una crisi sociale ed economica che rasenta i contorni della guerra civile.
«Non sarà più possibile diventare francesi se non si è figli di genitori francesi» ha annunciato il ministro dell’Interno Gérald Darmanin durante una visita effettuata a metà febbraio, riconoscendo che si tratta di una misura «estremamente forte, netta, radicale», sebbene resterà «circoscritta» all’arcipelago. Nel resto del Paese, invece, i figli di genitori stranieri nati sul territorio continueranno a ottenere automaticamente la cittadinanza al compimento del diciottesimo anno, a patto che all’arrivo della maggiore età risiedano in Francia, dove devono aver passato almeno cinque anni nei precedenti sette.
Il 101esimo dipartimento di Francia ultimamente è diventato un pericoloso mix di insicurezza e indigenza che rischia di deflagrare nelle mani del governo francese, incapace di gestire una situazione così esplosiva, concentrata in un fazzoletto di terra ampio solo 374 chilometri quadrati e lontano circa 8 mila chilometri da Parigi. Secondo gli ultimi dati raccolti dall’Insee, nel 2018 il 77 per cento della popolazione locale (circa 200 mila persone) viveva sotto la soglia di povertà e nel 2022 il tasso di disoccupazione si attestava al 34 per cento, in un territorio dove spesso manca anche l’acqua corrente.
Un contesto reso ancora più precario dai massicci flussi migratori che, partendo dalle vicine coste africane e dal Madagascar, sono diretti verso un Paese dove nel 2017 il 48 per cento della popolazione era composta da stranieri. Ma il grosso dei migranti è originario dell’arcipelago delle Comore, dove la speranza di vita alla nascita stimata dall’Oms è di 65,5 anni. Centinaia di persone continuano ad affrontare l’oceano a bordo delle kwassa-kwassa, le tradizionali barche dei pescatori, che salpano soprattutto dalla vicina isola di Anjoun. Un esodo di natura economica con forti radici culturali, visto che le Comore hanno ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1975. Difficile a oggi avere stime esatte a causa dei tanti arrivi che non vengono registrati, ma l’Ufficio per la protezione dei rifugiati e degli apolidi (Ofpra) ha rilevato più di quattromila richieste d’asilo presentate nel 2022, circa il quadruplo rispetto a quelle di dieci anni prima.
Ma al di là dei numeri, il risultato è sotto gli occhi di tutti: i migranti vivono all’interno di bidonville in condizioni sanitarie preoccupanti, mentre Mayotte è preda di gang composte perlopiù da minorenni stranieri che si fanno la guerra tra loro a colpi di machete, quando non sono impegnate a saccheggiare supermercati o ad attaccare commissariati di polizia e scuole. Scene da vera guerriglia che costringono la popolazione a rimanere il più possibile in casa. Nell’aprile dello scorso anno, Darmanin ha cercato di risolvere la situazione lanciando la maxi-operazione Wuambushu, che prevedeva lo distruzione delle baraccopoli e il rimpatrio forzato dei clandestini. È stato un fallimento che ha contribuito ad alimentare il senso d’abbandono tra gli abitanti, esploso in collera dopo l’allestimento dell’ennesima tendopoli nello Stadio Cavani, dove sono stati accolti centinaia di migranti africani, soprattutto sudanesi e congolesi.
La goccia di troppo, che nonostante le promesse di smantellamento ha fatto traboccare la rabbia dei maoresi. A fine gennaio molti cittadini riuniti nel collettivo «Forces vives» hanno bloccato alcune strade con barricate per denunciare le condizioni di vita dei cittadini. Un clima da stato di emergenza, che Macron spera di calmare con l’annuncio sulla soppressione dello ius soli, da utilizzare come deterrente agli sbarchi. Facile solo a dirsi però. Per finalizzare il progetto, il presidente dovrà lanciare una revisione costituzionale. Nell’attesa, la destra plaude in blocco alla mossa chiedendo che venga estesa su tutto il territorio francese, mentre la sinistra lamenta una misura inutile che dimostra l’ennesima sterzata a destra da parte dell’inquilino dell’Eliseo.
In realtà, quello del presidente appare più come un gesto disperato, preso per calmare le proteste locali e inviare un segnale. Già con la legge Asilo e immigrazione del 2018 le condizioni per l’ottenimento della cittadinanza erano state fortemente inasprite a Mayotte, dove veniva richiesto ad almeno uno dei genitori di giustificare una residenza in Francia non inferiore a tre mesi con regolare permesso di soggiorno. Vista l’emergenza, Macron ha dato un’ulteriore stretta, accompagnata da una serie di altri provvedimenti, come il lancio di una seconda fase dell’operazione Wuambushu e la soppressione dei «permessi di soggiorno territorializzati», che impediscono ai detentori di recarsi nella Francia metropolitana. Un arsenale di misure che difficilmente riuscirà a fermare i flussi irregolari, in una regione sempre più fuori controllo.