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Medicina predittiva: scoprire il cancro sette anni prima

Medicina predittiva: scoprire il cancro sette anni prima

Partendo da studi su centinaia di proteine, si è visto come siano coinvolte nello sviluppo di molte forme tumorali. Il passo da fare ora è un test anche per chi non presenta alcun sintomo.


Diagnosticare un cancro anni prima di quanto si possa fare oggi. Quanto basta per sconfiggerlo. Quello che appare oggi un sogno potrebbe diventare realtà dopo la scoperta che alcune proteine, che possono essere rivelate con un esame del sangue, compaiono come conseguenza della formazione di un tumore. Per entrare nello specifico, due studi dell’Università di Oxford, pubblicati a distanza di un paio di settimane su Nature Communications, hanno investigato le associazioni tra migliaia di proteine presenti nel plasma – quella componente liquida composta principalmente da acqua in cui sono disciolti sali minerali (elettroliti) e proteine – e un vasto numero di differenti tipi di tumori. La prima indagine ha trovato che su 371 proteine che segnalavano il rischio di cancro, 107 erano associate con la comparsa di diversi tipi di neoplasie a distanza di sette anni. La conclusione si basava sull’analisi di 44 mila campioni di sangue raccolti da UK Biobank, di cui 4.900 risultavano essere di persone che avrebbero ricevuto una diagnosi di tumore appunto sette anni dopo.

Il secondo studio rivelava invece associazioni tra 40 proteine del plasma e altri tipi di cancro molto comuni. Nella prima analisi, erano quelli del fegato, di vari tratti intestinali, linfoma non Hodgkin, polmone, rene, cervello, stomaco, esofago, endometrio e tumori del sangue. Nel caso del secondo, il cancro della mammella triplo-negativo, il carcinoma della vescica e il tumore del pancreas. Al momento, le ricerche non sono in grado di determinare quali livelli specifici di proteine rifletterebbero l’insorgenza futura di un tumore. Ma ottenere queste conoscenze è ora possibile, proprio grazie alla scoperta di proteine specifiche, che sono una conseguenza della crescita di cellule maligne.

«Quelle rivelate dallo studio avviano la carcinogenesi, cioè la trasformazione di una cellula normale in una cancerosa» spiega la dottoressa Amelia Cimmino, ricercatrice dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr-Igb. «Volendo fare un paragone, si potrebbe citare l’esempio dell’aumento del colesterolo: superata una certa soglia, il rischio è elevatissimo proprio per il coinvolgimento di queste molecole nella genesi di malattie cardiovascolari. Allo stesso modo, nel caso dei tumori citati nello studio l’espressione di alcune proteine cresce. Quale sia la soglia critica non si sa ancora, dovrà essere stabilita quando saranno messi a punto i test». La proteomica – il nome della disciplina che ha permesso di ottenere questi risultati – usa biochimica, informatica e bioinformatica per caratterizzare le proteine sulla base della loro struttura, funzione, attività e interazioni. Si potrebbe definire come il passo successivo della genomica, con la differenza che mentre quest’ultima è molto più sviluppata, anche a livello delle tecniche di riconoscimento e classificazione dei geni, la proteomica è in fase di avanzamento.

La si ritiene però molto promettente perché le proteine sono parte integrante della maggior parte dei processi biologici, compresi quelli della cancerogenesi con crescita e proliferazione di tessuti. La proteomica è dunque potenzialmente in grado di dare nell’immediatezza quelle informazioni che la genomica potrebbe fornire solo dopo altri approfondimenti. E le ricerche su Nature lo confermano. «Passeranno anni prima di poter sfruttare queste scoperte per ottenere un test precoce. La ragione sta nel fatto che la proteomica richiede ulteriori sviluppi dal punto di vista delle applicazioni, ed è costosa. In particolare, al momento non esistono test di proteomica che si possano effettuare nei laboratori dove accedono i cittadini per esami diagnostici» aggiunge la dottoressa. «Ci vorrà tempo perché servono verifiche su campioni assai grandi. Ma sono risultati molto incoraggianti». Un altro aspetto interessante dello studio è che ha riguardato la popolazione generale e non solo pazienti affetti da particolari patologie. Ciò significa che un prossimo test precoce tumorale potrebbe riguardare individui che non hanno alcun sintomo. «Vedo più probabile che il futuro esame sia destinato a chi ha una già nota predisposizione genetica a contrarre un certo tipo di tumore, oppure a persone con determinati sintomi. Ma, ai fini dell’attendibilità del test, non vedo limitazioni. Vediamo un caso possibile: oggi per l’ematuria, ossia sangue nelle urine, occorrono vari esami per scoprire se la causa sia un calcolo renale, un’infiammazione o altro, ma non esiste un biomarcatore per il tumore alla vescica attendibile usato nella pratica clinica. Ecco, l’analisi sulle proteine coinvolte in questo tumore permetterebbe una diagnosi precoce». C’è infine un punto importante. Tra le proteine che lo studio ha associato a un cancro ve ne sono 38 che possono essere inibite da anticorpi monoclonali o piccole molecole inibitorie già in uso. «Significa che, se le identifichiamo prima, possiamo abbassarne il livello e quindi prevenire il tumore» aggiunge Cimmino.

Precedenti studi su singole o piccoli gruppi di proteine del sangue avevano già evidenziato come fossero collegate al rischio di cancro: il fattore di crescita insulino-simile I, elemento di rischio per i tumori di mammella, colon-retto e prostata; e la microseminoproteina-beta, associata a un minor pericolo di neoplasia alla prostata. Altri biomarker identificati includevano marcatori proteici per la diagnosi precoce, la progressione, la recidiva e la prognosi (come l’antigene prostatico specifico 4, 5, 6, 7). La novità sta nel vasto numero delle proteine studiate grazie a metodi avanzati di proteomica, detti multiplex. Consentono di misurare simultaneamente migliaia di proteine. Forse il quadro si completerà con altri tipi di tumori e altre proteine, in attesa del test tanto sperato.

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