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Mine, la guerra nascosta

Mine, la guerra nascosta

Le antipersona e le anticarro, le trappole letali piazzate anche nelle case, le bombe a grappolo inesplose e altro ancora… Questo conflitto lascia a terra una quantità immane di ordigni pronti a esplodere. E sarà a lungo così.


E’ stata chiamata guerra fratricida e guerra di propaganda, guerra di distruzione e di resistenza, guerra medievale e guerra per procura. Ma quella in Ucraina sarà anche ricordata come una sporca guerra di mine. Queste minacce silenti ormai infestano le immense campagne, le città, le strade, strumenti letali in attesa di mezzi e persone. Si sospetta che nel Paese ce ne siano a decine di migliaia, e chissà per quanti anni rimarranno lì.

Dopo la ritirata delle truppe russe dalle regioni di Kiev e Chernihiv, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha denunciato: «Hanno lasciato mine ovunque. Nelle case, nelle strade, nelle auto, nelle porte. Hanno fatto di tutto per rendere il più pericoloso possibile il ritorno in queste aree. Per uccidere o mutilare quanto più possibile la nostra gente».

Il ministro degli Affari interni Denys Monastyrsky ha parlato di crudeltà delle trappole per i civili specificando che sono stati trovate bombe anche addosso ai cadaveri, per sorprendere i soccorritori (non è una novità: le milizie serbe lo facevano in Bosnia e più di recente si è visto in Siria). Sono le trappole esplosive, o «booby trap», mine fai-da-te destinate soprattutto ai civili, per fare strage della popolazione e abbatterne il morale. Sono girate le immagini di questi subdoli esplosivi: una granata nel cassetto di una lavatrice, un’altra attaccata a un albero o in un cassetto degli attrezzi.

Il giorno di Pasqua si è data notizia di cinque bambini uccisi a Trostianets, nord-est del Paese, da mine e «tripwire», quei fili collegati a un ordigno in cui si inciampa finendo vittime dell’esplosione. Il capo dell’amministrazione militare della regione, Dmytro Zhyvytskyi, aveva denunciato il rinvenimento di centinaia di mine e trappole al giorno.

Nella categoria delle vere e proprie mine se ne sarebbero trovate di varia fattura e sofisticazione, perché non sono soltanto i missili ipersonici a rappresentare l’evoluzione degli armamenti in campo. Al di là delle anticarro, le più avanzate sono antiuomo. Le Ptm-1s, per esempio. I cittadini di Bezruky, un paesino vicino a Kharkiv, ne avrebbero trovate delle casse lasciate dalle truppe russe in ritirata. La loro caratteristica è che vengono rilasciate sul terreno da un vettore lanciato da elicotteri o da razzi. Le esplosioni poi sono regolate con un timer.

Altro tipo: le Pom-3 «Medallion», di cui ha denunciato l’uso l’organizzazione umanitaria Human rights watch su informazioni dell’esercito ucraino. Possono essere lanciate con razzi, rilasciate da veicoli posamine o seminate a tappeto da elicotteri. Scendono con un paracadute e poi si fissano al suolo anche grazie a un punteruolo munito di un sensore sismico che si conficca nel terreno e percepisce i passi di un essere umano. All’attivazione, la mina balza a un’altezza di circa un metro e mezzo ed esplode, spargendo schegge in un raggio di 10-15 metri.

Oppure, ancora, le mine «Pappagallo verde», o «butterfly»: infide, grandi pochi centimetri, sembrano giocattoli e i bambini ne sono attratti finendone spesso vittime. Imitazione russa delle «Dragontooth» di cui gli americani hanno cosparso il Vietnam (a loro volta copiate alle SD2 disseminate dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale), anche queste sono submunizioni che possono essere rilasciate da aerei, elicotteri, granate e razzi (fino a 312 mine per ogni razzo). Ci sono informazioni e fotografie a raccontarne l’uso da parte russa, ma non è comprovato e – anzi – qualcuno accusa di fake news.

Sì, perché anche se sappiamo che l’Ucraina è stracolma di mine, avere un quadro oggettivo della situazione al momento è impossibile. «Finché non si entra, e succederà a guerra finita, non c’è la certezza di quale sia lo scenario» spiega Silvia Cattaneo, advisor del Gichd, Centro internazionale di sminamento umanitario di Ginevra. «A oggi ci si basa su rapporti giornalistici, aneddotica, accuse reciproche. Si deve prendere ogni informazione con la dovuta cautela perché è fisiologico che in tempi di guerra la propaganda alteri la realtà. Oggi chiunque può far girare fotografie. Ciò detto, sappiamo della presenza delle mine e degli altri ordigni esplosivi che colpiscono indiscriminatamente. A cominciare dalle munizioni a grappolo, che scendono anche in aree abitate costituendo un grave pericolo per la popolazione civile».

Sono le «cluster bomb», che si aprono in volo e rilasciano centinaia di piccole «submunizioni» che cadendo si sparpagliano. Ma in un’alta percentuale (dal 20 al 40 per cento dei casi) falliscono rimanendo attive sul terreno a lungo, anche decenni, trasformandosi di fatto in mine antiuomo. Il gruppo olandese di giornalismo investigativo Bellingcat ha catalogato quelle russe cadute vicino a scuole, ospedali e varie aree residenziali tra cui Kharkiv, Odessa e Kherson. Mentre in marzo anche gli ucraini ne avrebbero fatto uso per riprendersi il villaggio di Husarivka, nella regione del Kharkiv Oblast.

Così facendo si incrementa il numero di ordigni potenzialmente letali già disseminati su tutto il territorio. Nelle campagne per esempio, come denuncia lo Stato maggiore dell’esercito ucraino: poiché l’agricoltura è un settore fondamentale per il Paese, i russi starebbero collocando mine nei campi destinati alla semina, oltre a distruggere deliberatamente le macchine agricole. Oppure sulle spiagge davanti a Odessa, come denunciato dall’agenzia di stampa Reuters e confermato dal giornale online Odessa Journal. Ma anche in mare: il dipartimento di Oceanografia della marina turca ha contato 420 mine di tipo subacqueo, quelle ancorate al fondo, nei principali porti marittimi ucraini (ma Kiev smentisce) e si è dichiarato lo stato di allerta per la navigazione per il timore che siano trascinate dalla corrente verso il Bosforo. E una decina di loro lo avrebbero fatto.

Tutto questo va a incrementare il numero già altissimo di ordigni deposti dall’inizio del conflitto nell’est del Paese, nel 2014. Secondo stime delle Nazioni Unite precedenti l’invasione russa, quei territori erano già una delle aree più «contaminate» dell’intero pianeta. Nel solo bacino del Donbass 1,6 milioni di ettari di terra erano minati, di cui 700 mila solo nei territori controllati dal governo di Kiev. E sono state quasi 2 mila le vittime di questi ordigni tra uomini, donne e bambini dal 2014 al 2019, dice l’organizzazione non governativa scozzese The Halo Trust, specializzata nel «ripulire» le aree di guerra. Dal canto suo l’Osce, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ha riconosciuto l’uso di mine antiuomo tanto da parte russa quanto da parte ucraina.

Ma c’è una differenza sostanziale tra l’uso che ne fanno i due Paesi belligeranti. «Spiace dirlo ma dal punto di vista strettamente legale la Russia può usare le mine antipersona» chiarisce Cattaneo. «La Convenzione di Ottawa del 1997, che ne ha stabilito la messa al bando, è stata sì firmata da tantissimi Paesi, Ucraina compresa, ma altri si sono rifiutati e tra questi molte potenze tra cui Stati Uniti, Cina e appunto Russia. Qualcuno oggi sostiene che è illegale usare le mine antipersona in un territorio sottoscrittore di Ottawa… Purtroppo non è vero. Esistono anche altre norme e protocolli emendati di una convenzione del 1980 che fissa altre regole, ma la verità è che ci si sta facendo beffe dell’intero sistema del diritto internazionale umanitario, il quale oggi non ha molti strumenti a sua disposizione».

Così, mentre in molti parlano di punire i crimini di guerra, proseguono le stragi come quella di Bucha, i bombardamenti a tappeto sulle città, le fatali «contaminazioni» di territori con ordigni esplosivi attivi e pronti a esplodere al minimo contatto presente o futuro. «Occorreranno almeno dieci anni per bonificare, ma sono stime difficili da fare non avendo idea di cosa troveremo né di quanto denaro arriverà, anche se immagino che a guerra fnita l’Ucraina diventerà l’hotspot dell’assistenza internazionale» conclude l’esperta del Gichd. «Il timore è che i civili, anche se non potrebbero tornare a casa fino alla bonifica delle aree di residenza, in mancanza di alternative rientreranno pur nell’assenza delle condizioni di sicurezza». La guerra nascosta continuerà a far rumore ben oltre la sua fine. n

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