Il Paese scandinavo è un formidabile produttore di idrocarburi (e lo stop alle forniture russe lo ha ulteriormente avvantaggiato) nonché un grande esportatore di energia elettrica. Con il suo surplus stellare, quindi, si capisce perché si opponga al tetto del prezzo del gas… Ma il benessere generato attira anche un’immigrazione spesso problematica.
Era già uno degli Stati più ricchi dell’area Schengen, ma la crisi ucraina e lo stop alle forniture degli idrocarburi da parte della Russia hanno reso oggi la Norvegia decisamente il Paese più prospero del continente. Con circa 5 milioni di abitanti ma un territorio pari all’Italia per estensione, è il leader europeo dell’energia e il luogo più appetibile per gli investimenti finanziari occidentali. Oslo, infatti, non solo è il più grande produttore di petrolio e gas naturale dell’Europa occidentale – prima della crisi energetica copriva oltre il 23 per cento del consumo annuo dell’Ue, di cui peraltro non fa parte – ma anche uno dei principali esportatori di energia elettrica, che fornisce a Stati chiave del Nord Europa: Danimarca, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi.
È così che ha fatto registrare, tra export e import, un avanzo commerciale di ben 15,6 miliardi di euro. Un record in gran parte dovuto «all’impennata dei prezzi del gas naturale innescata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia», come riferisce Jan Olav Rrhus dell’ufficio di statistica nazionale di Oslo, consapevole che «la chiusura e il rallentamento del gasdotto Nord Stream 1, che trasporta il gas dalla Russia all’Europa, hanno contribuito a spingere il prezzo del gas a un livello record». Le esportazioni norvegesi hanno quindi raggiunto il massimo storico, e si apprestano a sostituire sine die le forniture provenienti da Mosca. Si comprende così il rifiuto a priori di ogni idea di «price cup» che circola a Bruxelles, ovvero di prezzi calmierati per il metano.
Se è vero che anche l’industria mineraria riveste un importante ruolo nell’economia norvegese (il Pil del settore nel 2020 è stato pari a 40 miliardi di euro), è quella estrattiva a dominare ogni classifica: Oslo è il nono produttore a livello globale di gas naturale e il dodicesimo di petrolio, con una produzione di circa due milioni di barili al giorno. Inoltre vanta una cantieristica unica al mondo, che oggi vede la Norvegia primeggiare anche nella costruzione e nella manutenzione delle piattaforme per l’estrazione off-shore, grazie a flottiglie di navi specializzate, e nelle opere ingegneristiche altamente tecnologiche per le rinnovabili (è il caso delle pale eoliche). Il futuro del settore appare ancora più profittevole da quando Oslo ha scoperto il colossale giacimento petrolifero «Johan Sverdrup», gestito da Equinor, la grande compagnia statale petrolifera norvegese. Le sue riserve attuali sono stimate in circa 2,7 miliardi di barili di petrolio e i potenziali introiti supererebbero i 100 miliardi di dollari, rendendolo il maggiore giacimento di produzione dell’Europa occidentale.
Il Paese scandinavo vanta anche il più grande giacimento di gas: è denominato «Troll», in onore alle leggende nordiche che vogliono queste terre abitate da creature selvatiche che vivono nascoste nei boschi. Secondo Equinor, «Troll» fornisce grosso modo l’8 per cento del fabbisogno dell’Ue e l’estrazione di gas è stimata in 347 miliardi di metri cubi (l’equivalente di circa 2,2 miliardi di barili di petrolio). Tutto ciò rende il reddito pro-capite e il potere d’acquisto dei norvegesi tra i più elevati non solo d’Europa, ma dell’intero pianeta: alla fine del 2021 era pari a 70 mila dollari, ovvero più del doppio di quello italiano (inchiodato intorno ai 31 mila dollari da un decennio). Così come la disoccupazione, che si mantiene inferiore al 4 per cento, dunque meno della metà rispetto al 7,9 per cento che l’Italia ha registrato nel luglio 2022.
La chiave di lettura per capire il «miracolo» norvegese risiede dunque nella sua vocazione marittima. Oggi i fondali nei suoi fiordi e intorno alle sue isole – che affacciano sull’Atlantico e sul mare di Barents – sono divenuti una sorta di estensione fisica del territorio nazionale e la prima voce delle esportazioni. Non a caso, Oslo rivendica il possesso del Lomonosov Ridge, una dorsale sottomarina che si estende attraverso l’oceano Artico. I giacimenti off-shore attirano gli appetiti delle più importanti società petrolifere del mondo, che fanno a gara anche per apprendere il know-how norvegese: tra queste, l’italiana Eni Norge (ora Vår Energi). Ma non è tutto oro quello della solidità economica del Paese. Il benessere della popolazione si scontra da tempo con una montante insicurezza sociale. Si registra da un decennio, infatti, un vertiginoso aumento del tasso di criminalità, in larga parte dovuto all’immigrazione e al traffico di esseri umani, essendo la ricca e tollerante Norvegia il punto di approdo di masse di lavoratori stranieri. Ogni anno a migliaia tentano di raggiungere questa estrema propaggine europea attraverso Danimarca e Svezia, nella speranza di migliorare la propria condizione socio-economica. Colpiscono i dati sui Paesi di provenienza: Polonia, Lituania, Siria, Germania, India, Pakistan e la stessa Svezia, a riprova di quanto la Norvegia sia appetibile per chiunque.
Se nel 2012 si contavano 946 mila immigrati, questo numero ha ormai raggiunto quota 1,4 milioni nel 2022. In aumento quelli di fede musulmana, le cui frange estreme qui hanno creato moltissimi problemi di ordine pubblico (almeno 137 i foreign fighters partiti da qui, spinti all’azione da islamisti come il norvegese-pakistano Arfan Qadeer Bhatti), alimentando un odio sociale che ha prodotto sempre più episodi di estremismo di destra: basti citare Anders Breivik, l’autore della strage di Utoya del 2011 (77 vittime). Nel complesso, però, non si segnalano reti strutturate di criminalità organizzata: più spesso a operare sono gruppi sciolti o gang locali di vecchia data. Così si gestiscono a queste latitudini i traffici di persone e di droga: la Norvegia è meta di approdo per la cocaina proveniente da Sudamerica e Olanda, mentre produce internamente droghe sintetiche come le metamfetamine. È inoltre luogo di smistamento per l’eroina proveniente da Marocco, Polonia, Lituania e Balcani. Si registrano, infine, grandi afflussi di hashish e marijuana, protagonisti dei più voluminosi sequestri degli ultimi anni.
Le reti del contrabbando locale hanno trovato anche un altro business, non meno fruttuoso, nel traffico illegale di armi. Con una particolarità: si tratta per lo più di armamenti di tipo militare. Bande di motociclisti locali sono per questo nel mirino della polizia, dopo ripetuti furti di equipaggiamenti dai depositi militari di Norvegia e Svezia, realizzati in collaborazione con reti con sede nei Balcani. Non proprio un vanto per un Paese baluardo della Nato, che a questa istituzione ha dato anche il suo vertice, nella persona dell’ex premier e attuale segretario dell’Alleanza Jens Stoltenberg.