Il nuovo mondo? È nello spazio
A forza di investimenti e tecnologie stiamo incorporando il sistema solare nella sfera economica terrestre. Perché conserva risorse inestimabili che da noi si stanno esaurendo. Perché consente l'espansione della ricerca utile all'uomo. Perché grazie a qualche miliardario visionario, semplicemente, ora si può. Ma un cosmo Far west presenta qualche controindicazione.
Spazio, ultima frontiera... È davvero il momento di rispolverare la frase cult di Star Trek, la serie televisiva anni Settanta che faceva sognare un'epopea dell'uomo nelle profondità cosmiche. Perché la corsa all'Universo ha subìto un'accelerazione tale da scaraventarci oltre le più sfrenate fantasie. Un momento che per alcuni osservatori va paragonato alla conquista dell'America o, addirittura, a una nuova èra per la nostra specie.
Molto tempo è passato da quei primi passi sulla Luna e dagli ultimi decolli dello Space shuttle. «I costi erano troppo alti, e dal 1970 al 2000 le principali agenzie spaziali, Nasa in testa, sono riuscite a fare pochissimo» ricorda Angelo Cavallo, direttore dell'Osservatorio Space economy del Politecnico di Milano.
«Poi ci sono stati due eventi chiave. Nel 2015 il presidente americano Barack Obama ha firmato il Commercial space launch competitiveness act, cioè la legalizzazione dello sfruttamento a fini commerciali privati delle risorse dello spazio. Un settore da sempre considerato strategico e dominato da agenzie governative, si apriva all'iniziativa privata. Dirompente». Infatti da allora gli investimenti complessivi sono più che quadruplicati su base annua.
«Il secondo evento è stato l'arrivo di imprenditori del calibro di Elon Musk» e altri multimiliardari. È stato calcolato che il patrimonio personale dei primi 10 Paperoni coinvolti nel business stellare superi i 543 miliardi di dollari, circa il Pil del Belgio. E più hanno investito, più i costi sono scesi, per tutti. Oggi è fiorita un'intera economia per la quale è stata coniata un'espressione sempre più comune nelle nostre vite terrestri: New space economy.
Ingloba ogni attività che ha a che fare con lo spazio, dalla costruzione di lanciatori spaziali (i razzi) e altri marchingegni, alla progettazione di strutture, ai servizi offerti da società che usano i dati dei satelliti puntati sulla Terra e li integrano con i dati digitali di chi sta sulla Terra. Uno sguardo personalizzato dall'orbita sul territorio che può aiutare, per esempio, l'agricoltura di precisione, il monitoraggio delle infrastrutture di proprietà degli operatori dell'energia, il controllo dei cargo in mare per conto di compagnie assicurative, e moltissimo altro ancora.
«Dalla combinazione virtuosa di tecnologie spaziali e tecnologie digitali derivano servizi che possono migliorare la vita delle imprese e farle risparmiare», spiega ancora Cavallo. Che allarga il discorso alle start up. «Sarebbero un migliaio a questo tema nel mondo, e più si investe su di loro – come fanno i fondi di venture capital – più si abbattono i costi». E se l'accesso allo spazio diventa meno costoso, hai un moltiplicatore virtuoso di attività e interessi. Così è stato e non è un caso se nel 2020 l'ammontare di finanziamenti raccolti solo dalle start up inquadrabili nel settore sia stato di circa 4,8 miliardi di dollari, con una crescita del 29 per cento rispetto al 2019.
Questo e molto di più è New space economy. Le cifre in gioco sono impressionanti e la candidano a diventare il principale volano dell'economia globale: dal 2010 al 2019 i ricavi sono cresciuti del 70% fino a raggiungere 424 miliardi di dollari, mentre nella prossima decina d'anni si stima che il settore varrà intorno agli 1,5 trilioni di dollari. Ed è l'interesse privato a guidare la sfida: l'80% degli investimenti è di natura commerciale.
Come dicevamo, il business spaziale inizia appena fuori dalla nostra atmosfera, nell'orbita terrestre. Il lancio di satelliti, soprattutto di piccole dimensioni, è diventato frenetico. I razzi che salgono in Leo (Low Earth orbit, orbita bassa) o oltre, ne sganciano decine alla volta, con le finalità più varie: dalla ricerca, allo studio del clima, a qualsiasi tipo di mappatura del territorio, allo spionaggio.
Fino al 2019 se ne portavano su mille all'anno, mentre al 16 settembre 2021 il numero era già schizzato a 1.400. Nel 2020 due compagnie private da sole, la Starlink di SpaceX (leggasi Elon Musk) e la britannica OneWeb, hanno lanciato un migliaio di smallsat con lo scopo di fornire internet alle zone più remote del pianeta. E il piano è di arrivare a 40.000 satelliti che passano sulle nostre teste in mega-costellazioni per le telecomunicazioni planetarie. A cui si aggiungeranno da fine 2022 anche quelli di Amazon (leggasi Jeff Bezos), con il suo Project Kuiper.
I nomi dei multimiliardari che ci stanno dietro sono più o meno gli stessi di cui si è parlato anche recentemente per il turismo spaziale. Le imprese di questa estate sono rimbalzate sui tiggì di tutto il mondo. La Virgin Galactic di Richard Branson, la BlueOrigin di Bezos, la Crew Dragon di Musk...
Ma non sono stravaganze da ricconi annoiati. Sono primi passi «per perfezionare la tecnologia, perfezionare i veicoli e infine essere in grado di produrre "macchine" come trasporto di massa anche da un punto all'altro della Terra» ha commentato la presidente della Commercial Spaceflight Federation (una delle associazioni industriali di punta a Washington) Karina Drees.
«Missioni di questo tipo sono carissime all'inizio, ma poi i costi scendono» ha detto lo stesso Elon Musk, che da visionario quale è sta preparando la sua società SpaceX a imprese ancora più straordinarie perfezionando un prototipo di nave spaziale, la SN20, per portare persone e cargo sulla Luna (ha anche disegnato la sua base: Moon base Alpha), su Marte e oltre.
Gli altri non sono da meno. A fine ottobre Jeff Bezos ha annunciato la finalizzazione del suo progetto di una stazione commerciale orbitante battezzata Orbital Reef (ovvero barriera corallina orbitale). Potrebbe essere operativa già alla fine di questo decennio per ospitare clienti di ogni tipo, dagli astronauti ai turisti spaziali.
«Mixed use business park in space», l'ha definita nel comunicato ufficiale, in cui si parla di un'opportunità per aprire nuovi mercati nello spazio. Sarà costruita da Blue Origin, in collaborazione con Sierra Space, Boeing, Redwire Space e Genesis Engineering Solutions, che fornirà una navicella a singolo posto per escursioni intorno all'Orbital Reef, come un aquascooter intorno a uno yacht.
Ed è solo una delle stazioni spaziali commerciali in arrivo presto sulle nostre teste. Starlab è un'altra. La stanno approntando i giganti della tecnologia spaziale Voyager Space, Lockheed Martin e Nanoracks. Secondo quanto annunciato a fine ottobre, rimarrà stazionaria nell'orbita bassa come destinazione turistica e come hub di sviluppo di business «extra terrestri». Prima operatività: 2027.
Evidente come i privati abbiano in buona parte sostituito l'intervento degli Stati, il cui fiore all'occhiello, la venerabile Stazione spaziale internazionale, uno dei maggiori centri di ricerca del mondo e simbolo dell'unione della comunità scientifica globale, andrà in pensione nel 2028. Con una dinamica quasi simbolica: anziché rientrare è «ceduta» alla società texana Axiom Space che la trasforma gradualmente nella propria Commercial space station.
Ma al di là delle attività commerciali, sono le risorse extra atmosferiche a rappresentare una novità potenzialmente dirompente. In primo luogo, quelle degli asteroidi, che si è già capaci di raggiungere, abbordare e potenzialmente scavare. Alcuni di quelli vicini alla Terra (NE, near earth), finora osservati speciali soltanto come minacce al nostro pianeta, sono un concentrato di metalli. L'asteroide «1986 DA» ne sarebbe composto all'85%, con un valore economico stimato in 11 trilioni di dollari.
L'asteroide «16 Psyche», che è distante 520.000 chilometri dalla Terra e ha un diametro di circa 226 chilometri per un'indicibile massa di 2,4 x 10^19 kg, sarebbe costituito di ferro, nichel e anche oro. La Nasa ha azzardato una valutazione in dollari: 10.000 milioni di miliardi di dollari, circa 70.000 volte il Pil mondiale. Ha organizzato una missione esplorativa che partirà nell'agosto 2022 e impiegherà tre anni per raggiungerlo.
La sonda omonima, Psyche, passerà 21 mesi a orbitargli intorno per raccogliere informazioni, poi si deciderà il da farsi. Agganciarlo potrebbe rivelarsi complicato data la scarsa gravità, ma c'è già esperienza a riguardo. Gli americani l'hanno fatto con l'asteroide 101955 Bennu riuscendo a raccogliere un campione di roccia che arriverà sulla Terra nel 2023. I giapponesi con l'asteroide Ryugu, e quanto raccolto è adesso sotto meticolosa analisi scientifica. Un aiuto a comprendere come si è formato l'Universo, a combattere minacce letali per la Terra, ma con l'effetto collaterale di scatenare in futuro appetiti mai visti.
Molto più vicino il futuro del vero pivot dell'economia a venire: la Luna. Il ritorno dell'uomo sul nostro satellite naturale è una realtà. In pochi anni ci saranno stazioni spaziali pronte a sfruttare le sue risorse. La setacceranno a caccia di Elio H-3, un isotopo estremamente raro sulla Terra ma che lassù sarebbe presente per 11 milioni di tonnellate metriche (25 tonnellate darebbero energia agli Stati Uniti per un anno). Servirebbe a creare centrali a fissione nucleare, dalla radioattività abbattuta, e in ultima istanza a risolvere il fabbisogno energetico della Terra. Ma questa è alta teoria.
In realtà, la prima cosa a cui si punterà è il ghiaccio, annidato dentro i crateri dei poli (in particolare del polo Sud). Considerato il petrolio dello spazio, può essere trasformato in idrogeno e dunque in propellente per decollare verso Marte, gli asteroidi, gli altri pianeti (e con la scarsa gravità della Luna, un sesto della Terra, ne servirebbe meno per staccarsene). Ma anche in acqua e in ossigeno per la vita delle stazioni spaziali che orbiteranno intorno alla Luna o per quella delle basi spaziali che vi saranno costruite. Già perché i progetti, anche in questo caso, non mancano.
Nel febbraio 2022 parte la prima delle tre fasi del programma Artemis, che porterà l'uomo a calpestare di nuovo il suolo lunare. Appuntamento previsto per il 2024, quando si inizierà anche a comporre il cosiddetto «Gateway», destinato a sostituire la Stazione spaziale internazionale. Orbiterà intorno alla Luna come un «porto» dove gli astronauti ancoreranno i razzi, per poi passare su un «lander» (una navicella di Space X, ancora Elon Musk...) che scende sulla superficie lunare dove procederanno con le loro attività. Finché non sarà il momento di tornare sul Gateway e con un razzo sulla Terra.
La Luna diventerà un luogo dove governi, società private, centri di ricerca e università collaboreranno su tecnologie innovative che potranno un giorno servire anche alla popolazione terrestre, come le coltivazioni a ridottissimo consumo d'acqua, le soluzioni energetiche sostenibili, la protezione dai raggi cosmici e molto altro ancora. «Il primo scopo dell'esplorazione lunare è scientifico» spiega Mattia Pianorsi, ricercatore allo Space economy evolution laboratory della SDA Bocconi School of Management, «ma c'è di più. Una volta stabilita una permanenza umana con un sistema di supply chain indipendente dalla Terra e la creazione di una vera "economia lunare", servirà da avamposto per l'esplorazione planetaria».
La chiave, anche qui, sono gli investimenti. «Inizialmente sono fondamentali interventi di governi e agenzie spaziali» prosegue Pianorsi. «È necessaria la garanzia di finanziamenti e un certo grado di sicurezza in termini di ricavi per le aziende private che sviluppano tecnologie lunari. Dunque un partenariato pubblico-privato che passa anche dal pagamento dei servizi come principali utilizzatori nei primi anni di vita. Ma, dopo, ci aspettiamo che il sistema si reggerà soprattutto tra privati».
L'economia lunare a oggi è stimata intorno agli 1,7 miliardi, e dentro c'è tutto: agenzie spaziali, industria, ricerca, start up. L'Italia ha un ruolo di primo piano. Non a caso il Pnrr destina al comparto somme che portano l'investimento pubblico per i prossimi anni a 4,5 miliardi di euro. Il nostro paese ha 200 industrie (per oltre 7.000 addetti) attive nella Space economy di cui presidiamo tutta la filiera, dalla realizzazione delle tecnologie abilitanti (per esempio le infrastrutture: costruiamo oltre il 50% dei moduli abitativi della Stazione spaziale internazionale) alla distribuzione di applicazioni e servizi innovativi derivati (per esempio la meteorologia, l'osservazione della Terra o le telecomunicazioni).
Tutti numeri ricordati di recente durante la Space week all'Expo di Dubai, quando al Padiglione Italia si sono viste le presenze pesanti di Leonardo, del governo, di Thales Alenia Space Italia, della nostra Agenzia spaziale, di Telespazio e altri, per accendere l'attenzione su come l'economia lunare sia ormai un «tema chiave» e un'opportunità per gli imprenditori.
Ma la Luna sta diventando un obiettivo per tanti Paesi. Francia e Lussemburgo (che punta molto sul diventare un polo della nuova economia spaziale) hanno lanciato un'organizzazione europea per promuovere lo sfruttamento delle sue risorse, Euro2Moon. Dentro ci sono tra l'altro Air Liquide, ispace Europe, Airbus... Israele ed Emirati arabi si sono accordati per congiungere le forze (dopo gli Accordi di Abramo tutto è possibile) e arrivare intorno alla Luna con un «orbiter» nel 2024.
Insomma si prevede sovraffollamento, con boom del pil spaziale ma qualche problema dovuto alla totale mancanza di norme. «Quando il rover americano scopre il ghiaccio in un punto e ci viene mandato la società di mining americana, non si sa ancora se quel punto specifico è da considerarsi degli Stati Uniti oppure no» riflette Pianorsi. «È prioritaria la costruzione di uno schema regolamentare, perché finché non c'è chiarezza gli investitori non partecipano».
Un Far west dove interessi economici, strategici e militari si intersecano. La neo costituita Space force americana (budget da 17,4 miliardi di dollari) si è detta pronta a partnership con i privati, e la difesa dell'interesse nazionale americano insieme a quello dei suoi alleati è sempre stata prioritaria. Lo stesso accade nello spazio, anche se non è regolamentato, dove vaste risorse concentrano vastissimi interessi.
E anche tra le stelle la Cina sta recuperando a passi da gigante il gap con gli Stati Uniti. È già stata sulla Luna ed è lì adesso con altri due lander, uno sulla faccia nascosta, uno su quella rivolta verso la Terra. Ha dispiegato in orbita terrestre il suo sistema di navigazione satellitare BeiDou, sta costruendo una «costellazione» simile a Starlink e già manda i suoi «taikonauti» sulla nuovissima stazione spaziale, la Tiangong.
Il capo del programma spaziale cinese, Ye Peijian, ha detto di considerare l'Universo è come un oceano: la Luna sono le isole Diaoyu (di cui Pechino vorrebbe appropriarsi contendendole al Giappone), Marte quella di Huangyan (contestate alle Filippine). «Se non ci andiamo adesso, saremo condannati dai nostri discendenti. Se ci vanno altri, ne prenderanno possesso». Come per il Mar cinese meridionale, la necessità di trovare risorse si sovrappone alla geopolitica, in questo caso dello spazio.
Gli Stati Uniti lo sanno bene e hanno riunito vari alleati negli accordi Artemis per la cooperazione su moltissimi ambiti spaziali. Per ora li hanno sottoscritti 13 governi, ma sono destinati a salire. C'è anche l'Italia, che ha firmato un anno fa dopo aver dovuto interrompere in fretta e furia la costruzione di un modulo pressurizzato destinato alla stazione orbitale Tiangong.
La Cina (a cui non è mai stato chiesto di partecipare) e la Russia (che li ha bollati come «Nato nello spazio») hanno dunque deciso di unire le forze per arrivare massicciamente sulla Luna costruendo insieme una International Lunar Research Station, ora in fase di sviluppo. L'ennesima proiezione spaziale dei conflitti in atto sul nostro pianeta. I romantici delle meraviglie galattiche se ne facciano una ragione: Homo homini lupus, verso l'infinito e oltre.
Un cubo spaziale (tutto italiano) per deviare la rotta di Dimorphos
Il 24 novembre dalla base di Vandemberg, California, verrà lanciato in orbita il Dart: Double asteroid redirection test della Nasa, sonda la cui destinazione è l'asteroide binario Didymos, con il suo satellite Dimorphos, per deviarne la rotta, che passa vicino al Sole. La Nasa ha scelto di colpire il secondo corpo celeste, un oggetto roccioso largo 160 metri,
per testare se in futuro sarà possibile allontanare o distruggere corpi spaziali potenzialmente «minacciosi». Progetto reso ancora più interessante da LiciaCube, un microsatellite prodotto in Italia (realizzato a Torino da Argotec in collaborazione con l'Asi, Agenzia spaziale italiana) che mostrerà l'avvicinamento del Dart a Dimorphos, l'impatto, il pennacchio del materiale espulso e il cratere che si formerà sulla sua superficie. Questo prodigio di ingegneria spaziale, grande come
una scatola da scarpe, verrà sparato dallo stesso razzo Falcon 9 che lancerà il Dart, e dal quale si separerà 10 giorni prima dell'impatto (settembre 2022), per riprendere il tutto da una traiettoria di sicurezza. «Grazie a questa missione italiana il mondo vedrà le uniche immagini ravvicinate dei primi effetti dell'impatto della sonda Dart» dice a PanoramaElisabetta Dotto, coordinatrice scientifica di LiciaCube all'Inaf di Roma.
Ci racconta i dettagli del progetto?
«LiciaCube, a oltre 23 mila chilometri orari, arriverà in pochi minuti alla distanza minima di 55 chilometri e fotograferà anche la parte non impattata del satellite, in modo da studiarne nei dettagli forma, struttura e composizione chimica».
Quale sarà il momento più critico della missione?
«Quello del rilascio di LiciaCube e della sua navigazione autonoma. Il cube dovrà individuare Didymos e il suo satellite Dimorphos da una grande distanza e in uno scenario poco luminoso. Una volta identificato l'obiettivo, dovrà mantenere il contatto visivo anche nel velocissimo passaggio ravvicinato».
Cosa potrebbe compromettere l'esito finale?
«Che qualche strumento possa andare in avaria, che si perda il contatto con la sonda. Ma tutte le missioni nello spazio profondo presentano rischi».
Davvero è stato possibile concentrare una tecnologia così avanzata in una scatoletta?
«Certo. Le strumentazioni principali dentro LiciaCube sono due: una camera, chiamata Leia, in grado di vedere sulla superficie dell'asteroide strutture di circa un metro, le cui immagini saranno usate dal computer di bordo per consentire la navigazione autonoma. E una seconda, Luke, che scatterà immagini in tre colori per studiare l'eterogeneità della superficie e del getto di detriti sollevato dall'impatto della Dart. Potremmo scoprire che gli asteroidi sono una miniera di elementi preziosi, come ferro, nichel e magnesio».
Stefania Fiorucci
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