Sarebbero migliaia i musulmani maschi a contrarre matrimonio con più di una donna, spesso ingannandole e poi sparendo appena vengono scoperti. Altre volte, invece, vivono questa concessione della loro religione senza sotterfugi. Eppure tenendo segrete alla società le loro molteplici unioni. È una consuetudine strisciante di cui gli imam non vogliono parlare.
Ci si sposa in grandi feste, fra musiche religiose e tipici shish-kebab. Ci si promette amore eterno davanti a pochi amici, in abiti tradizionali, giurando di fronte ad Allah e poi si festeggia fino a notte fonda, tagliando la torta nuziale con una spada. «Si tratta» spiega a Panorama Gloria T., 36 anni, toscana dal passato turbolento «di un’antica tradizione musulmana. Quando Ali me l’ha proposto, ho pensato che fosse una cosa assurda. Ma, per quieto vivere, ho acconsentito».
E di cose, nella sua vita da neo-sposa, Gloria ne ha tollerate parecchie. Le racconta con le lacrime agli occhi nella sua casa nell’hinterland fiorentino: «Ho conosciuto Ali attraverso amici in comune meno di un anno fa. Veniva dal Pakistan, occhi scuri e carnagione ambrata. Era gentile e premuroso. Abbiamo iniziato a frequentarci come amici e poi è scattata la scintilla. Nel giro di poche settimane siamo diventati inseparabili e si è trasferito a casa mia. Dopo un sacco di brutte esperienze, mi sembrava finalmente di vivere un sogno». E un sogno questa storia – che viene raccontata con dovizia di fotografie, promesse d’amore eterno e scatti di quotidianità sui social di entrambi – appare anche agli amici e conoscenti. Come Margherita S., che di Gloria è la migliore amica, e parla al posto suo quando l’emozione la sopraffà: «Il giorno del matrimonio è stato tutto perfetto. Dopo però lui si è trasformato in una specie di tiranno. Ogni sera invitava a casa amici con cui fare tardi, e si rivolgeva a noi con toni aggressivi».
Dopo quattro mesi si presenta a casa dei novelli sposi un ragazzo mai visto prima, e dopo tre giorni Ali scompare. Letteralmente. L’uomo, mentre Gloria è a lavoro, porta via tutte le sue cose, cambia numero di telefono e ordina – come scopriranno a fatica le due donne – ai suoi amici di non avere più contatti. «La verità» conclude Gloria «l’ho scoperta con molta fatica, e solo perché un collega di Ali si è impietosito. Praticamente lui era già sposato in Pakistan, un amico di famiglia ha visto le foto su Facebook ed è scoppiato il bubbone. Ero convinta di aver trovato l’uomo della mia vita, invece era tutta una farsa».
La storia di Gloria è solo una delle tante. Si assomigliano tutte un po’ e hanno come comune denominatore una prassi ben nota nelle comunità che punteggiano il nostro Paese. Una prassi di cui – nonostante i numerosi tentativi di ottenere commenti da Torino a Milano a Roma – nessun imam ha voluto parlare. Per fortuna, e solo con la garanzia dell’anonimato, alcuni musulmani contrari ai comportamenti che la religione consente hanno voluto incontrare Panorama. Come Muhammad A., che vive alla periferia di Bologna: «Molti miei amici sono sposati con donne italiane. Non mentono loro nei sentimenti, semplicemente non raccontano che hanno nei nostri Paesi d’origine altre mogli e magari dei figli. Il matrimonio si fa in moschea, ma non si riporta in Comune così non ci sono problemi». Maliziosamente qualcuno potrebbe pensare che gli imam siano compiacenti, ma spesso non sono informati sui trascorsi coniugali dei fedeli, difficilmente appurabili.
Come spiega Luca Patrizi, docente di Storia dell’Islam all’Università di Torino: «Innanzitutto la fatwa delle principali autorità religiose musulmane contemporanee sconsiglia fortemente di sposare una seconda moglie senza aver prima consultato guide religiose riconosciute, a causa dei problemi e del disordine che inevitabilmente ne derivano. A cominciare dal danno alla prima moglie, ai problemi con la seconda quando la precedente è turbata dal nuovo matrimonio, ma anche per il danno di non dare a entrambe uguali diritti legali, emotivi e materiali. Per non parlare del danno alle relazioni familiari e quello che può essere prodotto ai figli».
È per questo che anche in alcuni Stati a maggioranza islamica, come la Tunisia, la «poliginia» non è una pratica più permessa (poiché la religione musulmana ammette esclusivamente la forma di poligamia in cui è l’uomo a sposare più donne, e non il contrario, è corretto parlare di poliginia). Intanto, però, in Italia il problema c’è e scorre sotto traccia.
«Esiste un principio universale, e lo dico da cattolico: libera Chiesa in libero Stato. Ed esiste una Costituzione che garantisce la libertà di culto. Tutto questo significa che la soggettività delle religioni non deve entrare in contrasto con l’oggettività delle leggi dello Stato. La poligamia è un reato ed è vietata dal nostro ordinamento» riflette Alfredo Antoniozzi, vice capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. Il riferimento è ai delitti contro la famiglia, nello specifico agli articoli 556, 557 e 558 del Codice penale, secondo cui è punibile con la reclusione da uno a cinque anni incrementabili in condizioni di aggravanti.
Eppure in molti casi, poiché il matrimonio religioso non viene trascritto, non sussistono strumenti giuridici. Il delitto, infatti, prende corpo nel momento e nel luogo di celebrazione del secondo matrimonio, ma se quest’ultimo è religioso, l’illecito non esiste fino a quando non viene trascritto nei registri dello Stato civile.
«Eppure» aggiunge Patrizi «il matrimonio religioso, già nelle fonti giuridiche sunnite antiche, deve essere conosciuto da tutta la società in cui vivono gli sposi, quindi non deve essere segreto, e nel contesto contemporaneo deve essere registrato presso le autorità del luogo. Il musulmano che procedesse autonomamente senza prendere in carico queste premesse stipula un matrimonio non valido, anche nel caso in cui ricorre a un imam senza la giusta preparazione e testimoni che permettono questa unione».
Peccato che le future mogli spesso non siano a conoscenza di questi requisiti. E che le unioni vengano celebrate comunemente nel nostro Paese, tanto che secondo le più recenti stime del Centro Averroè (diffuse nel 2016) superano i 20 mila casi.
«Il governo e la maggioranza» commenta ancora Antoniozzi «stanno lavorando a intese anche con le comunità islamiche per garantire al meglio la libertà di culto, però questo non può presupporre la garanzia di comportamenti che vìolino il nostro ordinamento. Abbiamo rispetto per ogni credo, ma nel quadro di una tutela di diritti condivisi. Pretendiamo, in maniera specifica, che siano esaltate le libertà individuali. Non possiamo accettare in alcun modo che la donna venga vista come oggetto subordinato all’uomo e non come soggetto con eguali diritti e doveri».
Di sicuro la materia è incandescente e necessita di normative anche relative ai matrimoni temporali (istituiti dalla legge islamica che prevedono l’unione segreta tra i coniugi davanti a testimoni e notaio), così come il ricongiungimento fra chi nel Paese d’origine ha più mogli (secondo l’Islam se ne possono avere fino a quattro). E in molti, all’ombra delle moschee, confidano che presto le parole di Hamza Piccardo, fondatore dell’Ucoii (Unione comunità islamiche italiane), si facciano realtà perché «anche la poligamia è un diritto civile».