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Il ritorno dell’atomo (in taglia small)

Il ritorno dell’atomo (in taglia small)

Il governo punta a rilanciare questa fonte accanto alle «rinnovabili» e le industrie più energivore guardano con interesse alla frontiera dei reattori di piccole dimensioni. Panorama ha fatto il punto con l’ad di Ansaldo Nucleare.


Ritornerà il nucleare in Italia? Il vento a favore di una rinascita di questa fonte, bandita dai due referendum del 1987 e 2011, riprende a soffiare forte. Prima di tutto dal fronte politico: il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha dichiarato di recente che dovremo coprire con nuove centrali nucleari dall’11 fino al 22 per cento del fabbisogno elettrico del Paese entro il 2050, quando dovrà essere conclusa la transizione verso un’economia completamente decarbonizzata. Ma anche il mondo dell’industria è interessato all’atomo, soprattutto quelle aziende energivore che consumano grosse quantità di elettricità e tanto calore, spendendo un sacco di soldi. E proprio uno dei settori più assetati di energia, quello siderurgico, è protagonista di un accordo dai contorni quasi fantascientifici, almeno per i profani. Con Edison, Ansaldo Energia, Ansaldo Nucleare e la francese Edf, la Federacciai ha sottoscritto un cosiddetto «memorandum of understanding» il cui obiettivo è favorire l’utilizzo dell’energia nucleare per decarbonizzare il settore siderurgico italiano e abbattere i costi energetici. In una prima fase utilizzando l’elettricità prodotta in Francia dalla loro centrali atomiche, in una seconda fase realizzando in Italia piccoli reattori modulari (Small Modular Reactor) vicino alle fabbriche che producono acciaio. Gli Small modular reactor (Smr) sono in sostanza impianti nucleari di dimensioni fisiche più contenute rispetto alle centrali classiche, con potenze intorno ai 300-350 megawatt, più semplici e meno costosi da costruire. Facile a dirsi, assai complicato da farsi, visto che di Smr in funzione nel mondo ce ne sarebbe solo uno, in Russia, avvolto da una coltre di mistero. Ci inoltriamo dunque in un futuro incerto su cui prova a fare chiarezza in questa intervista Daniela Gentile, ad di Ansaldo Nucleare.

Qual è l’innovazione portata da questi reattori di «taglia small»?

Gli Smr sono sì piccoli reattori nucleari, costruiti il più possibile in fabbrica e in moduli tutti uguali, standardizzati, con costi più bassi e tempi di realizzazione più veloci rispetto ai grandi impianti. Rappresentano soprattutto un nuovo modello di business, perché a fianco della produzione di elettricità si aggiunge il calore, componente energetica fondamentale per alcuni settori, a partire da quello siderurgico ma anche alimentare o cartario.

Quando potrebbero entrare in funzione i primi Smr?

Quelli raffreddati ad acqua, basati su tecnologie esistenti utilizzate nelle grandi centrali, potrebbero essere disponibili dal 2030 al 2035. In seguito saranno disponibili quelli raffreddati al piombo, sui cui anche noi stiamo lavorando da anni. Oggi si contano nel mondo più di 80 potenziali progetti di Smr e in particolare alla European Industrial Alliance on Small Modular Reactors, lanciata in marzo, sono stati presentati una ventina di progetti di cinque tecnologie diverse.

Anche altre imprese energivore come cartiere o produttori di ceramica potrebbero essere interessate a questa tecnologia?

Noi vediamo molto interesse da parte degli «energivori» e abbiamo avuto modo di confrontarci su alcuni tavoli con aziende petrolchimiche, cartiere, imprese alimentari e tutte esprimono la necessità di essere più competitive e di avere un prezzo dell’energia più basso, in linea con la concorrenza europea. Tutte guardano al 2030 e all’avvento della carbon tax che rischia di spiazzare la nostra industria. Il nucleare rappresenterebbe la soluzione per decarbonizzare e rendere più competitive le nostre imprese.

Ma come si fa a convincere gli abitanti di Taranto, per fare un esempio, a ospitare sul proprio territorio una piccola centrale nucleare vicino all’ex Ilva?

Il primo vantaggio per la popolazione sarebbe la fine dell’inquinamento, ovviamente. Ma altrettanto ovvio è che ci vorrà tempo per far accettare questa energia e in un Paese dove non se ne parla da 40 anni. Occorre coinvolgere la popolazione e spiegare in modo chiaro e trasparente quali sarebbero i costi e i benefici di questa scelta. I cittadini dovrebbero essere informati che chi sta portando avanti questo nuovo disegno ha una competenza specifica nel campo. E occorrerebbe fare formazione fin nelle scuole per spiegare come funziona il nucleare. In ogni caso, gli Smr avranno sistemi di sicurezza passiva super collaudati ed essendo più contenuti rispetto alle dimensioni di una centrale tradizionale, avranno minore necessità di spazi di riserva rispetto intorno all’impianto. Inoltre un Smr alimenterebbe a costi più competitivi non solo l’acciaieria ma un intero distretto industriale, e quindi porterebbe lavoro e un prezzo dell’elettricità più basso per la comunità.

Ma sugli Smr continuano a permanere molti dubbi da parte degli investitori privati, che non paiono propensi a scommettere i loro soldi su una tecnologia ancora in fase di prototipo…

Noi riteniamo invece che la misura ridotta e l’approccio alla loro costruzione siano due carte vincenti. Non si tratta semplicemente di realizzare impianti più piccoli, ma di metterli a punto il più possibile in fabbrica, in moduli tutti uguali, prodotti in serie e già validati dalle autorità di sicurezza, tagliando così i tempi e i costi.

Allargando lo sguardo al nucleare tradizionale l’impressione è di vivere in due mondi paralleli molto diversi l’uno dall’altro: da una parte l’Asia e il Medio Oriente dove sono in fase avanzata decine di centrali, dall’altra l’Occidente dove gli impianti vengono chiusi, come in Germania, oppure vengono costruiti in tempi biblici e con costi stratosferici…

È vero, ci sono più di 60 grandi impianti nucleari in costruzione nel mondo, al di fuori dei confini europei. E con tempi molto rapidi, nell’ordine di cinque anni come è avvenuto negli Emirati grazie alle tecnologie coreane. Bisogna però tener presente le condizioni fisiche dei Paesi e l’Europa non ha gli spazi su cui possono contare altre zone del pianeta. Detto ciò, anche in Europa qualcosa si sta facendo: nel Regno Unito, in Francia, in Romania, nella Repubblica Ceca.

Però con costi molto elevati e tempi lunghi. Non sarebbe meglio concentrare gli sforzi sulle energie rinnovabili?

Prima di ricoprire questo ruolo ero ad di Ansaldo Green Tech e sono assolutamente allineata sulla transizione energetica. Però bisogna avere i piedi per terra e ammettere che arrivare al 2050 completando il percorso della decarbonizzione solo con le «rinnovabili» è molto difficile. L’Italia è un Paese piccolo con un’orografia particolare e non può ospitare un gran numero di parchi eolici e solari. I sistemi di stoccaggio per garantire il funzionamento della rete quando mancano vento e sole sono assai onerosi. Inoltre questi impianti si basano su tecnologie e su materie prime di cui il nostro Paese e l’Europa sono privi. Con il supporto di una quota di energia nucleare questi problemi non ci sarebbero: si garantirebbero la stabilità del sistema, la sicurezza dell’approvvigionamento, la proprietà delle tecnologie e quindi l’indipendenza strategica.

Peccato che dovremmo dipendere da chi ha l’uranio, per esempio la Russia…

Ma ci sono altri Paesi che lo estraggono, come l’Australia o il Canada. E poi il quantitativo di combustibile utilizzato dalle centrali è modesto rispetto a quellio consumato dagli impianti a gas combustibili fossili.

Si dice che, di fronte a un eventuale ritorno del nucleare, l’Italia non avrebbe più le competenze necessarie. È vero?

No, Ansaldo Nucleare ha continuato a operare nel settore sia nel nostro Paese sia nel resto del mondo, dopo il referendum di quasi quarant’anni fa. In Italia si è occupata del «decommisioning», lo smantellamento delle nostre centrali chiuse ed è impegnata nei progetti che riguardano la fusione. All’estero abbiamo realizzato una serie di impianti nucleari in Romania di tecnologia Candu in partnership con il proprietario della tecnologia (Aecl oggi Atkins Realis) mentre in Cina, insieme a Westinghouse, abbiamo collaborato alla costruzione di una nuova centrale AP1000 dopo avere partecipato allo sviluppo della nuova tecnologia dalla fine degli anni Ottanta. Inoltre, abbiamo sviluppato un’importante competenza nell’allungamento della vita utile degli impianti esistenti: abbiamo svolto questa attività in Argentina, in Slovenia ed è in negoziazione un importante contratto in Romania per la prima unità di Cernavoda costruita negli anni Ottanta. Voglio sottolineare che non solo Ansaldo è rimasta nel nucleare, ma in Italia c’è un’intera catena del valore formata da decine di fornitori specializzati e molto attivi nel settore. Nella European Industrial Alliance on Small Modular Reactors le aziende italiane iscritte sono, per numero, seconde solo alle francesi. Quindi non siamo affatto messi male.

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