La dispersione di rifiuti industriali e minerari, la chimica rilasciata dalla testate esplosive, la tossicità delle macerie in fumo, le radiazioni… Sono pochi esempi dei danni che questo conflitto si lascerà dietro, una volta messe a tacere le armi. E già qualcuno parla di «ecocidio».
Volute di fumo alte e dense incombono sulle città. Scorie di fabbriche divorate dalle cannonate si mischiano alla neve in disgelo e scivolano verso i fiumi. Carcasse di tank, macerie su macerie di materiali impuri, pulviscolo di esplosivi che ricopre il suolo come una coperta tossica. Per quanto passino necessariamente in secondo piano di fronte alla tragedia umana, i danni all’ambiente in Ucraina sono incalcolabili. Un piano inclinato verso il disastro ecologico.
Molteplici i fattori, e ancora non è chiaro quale di essi avrà fatto più male una volta che la guerra sarà finita. «Al momento si può dire che l’evento più inquinante del conflitto sono le tattiche militari di Mosca» dice a Panorama Doug Weir, direttore dell’organizzazione inglese Ceobs (Conflict and environment observatory), una delle massime autorità mondiali quando si parla di monitorare l’ambiente durante le guerre, attività che realizza sfruttando immagini satellitari e open source intelligence.
Le tattiche di cui parla sono presto dette: «I russi circondano le città e le radono al suolo utilizzando in modo indiscriminato le armi pesanti. Il problema è che l’Ucraina è un Paese altamente industrializzato e i siti di produzione e stoccaggio spesso si trovano vicino o dentro i centri urbani. Basti guardare a Mariupol, dove industrie e infrastrutture sono state distrutte insieme a capannoni e magazzini, impianti chimici, centrali elettriche, condutture del gas, depositi di armi e di petrolio, ma anche a edifici civili».
Basterebbero i detriti di questi ultimi a spiegare il danno all’ambiente. Tra palazzi sventrati e ridotti a scheletri, le aree residenziali potrebbero rimanere inquinate e forse inabitabili per un tempo lunghissimo. «Questo è uno degli aspetti chiave» spiega ancora Weir. «Nella combustione di un edificio finiscono i materiali spesso tossici che sono stati usati per costruirlo, oltre a componenti elettriche, plastica, amianto e altro ancora. In più c’è il contenuto degli appartamenti abbandonati».
Senza contare l’impatto delle macerie che saranno depositate a centinaia di tonnellate in aree esposte alla pioggia, ma anche a tutto il cemento necessario per ricostruire: un materiale dall’elevata impronta carbonica (il parametro utilizzato per stimare le emissioni di gas serra).
«I danni di un conflitto fanno pensare a questioni locali, ma gli effetti sull’ambiente possono essere internazionali, cioè di lungo termine e di amplissimo raggio. Questa guerra avrà severi lasciti in Europa e nel mondo, probabilmente anche sul piano del cambiamento climatico». Se non altro perché la crisi del gas e il ritorno al carbone infrange il sogno di dimezzare l’uso di combustibili fossili entro la fine del decennio e, anzi, si calcola che a causa della guerra aumenterà del 14%.
Intanto l’emergenza si ripete di giorno per giorno. Gli attacchi ai depositi di acqua potabile, ai sistemi fognari, alle navi e ai depositi di combustibile nei porti. Alle acciaierie come la Azovstal di Mariupol, uno dei più grandi complessi siderurgici d’Europa, o agli impianti chimici come quelli distrutti a Donetsk e Sumy con il rischio di avvelenamenti da ammoniaca, o ancora alle industrie produttrici di armi come è accaduto a Donetsk. Undici gli attacchi ai depositi di petrolio e benzina, solo dal 24 febbraio al 5 marzo.
E i bombardamenti vanno avanti senza sosta, toccando anche siti «sensibili», che con tante industrie certo non mancano.
Secondo il ministero dell’Ambiente e delle Risorse naturali ucraino, sul territorio nazionale ci sono 23.727 aziende potenzialmente pericolose, di cui 2.987 magazzini con pesticidi tossici. Mentre uno studio dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) ha individuato 465 strutture di stoccaggio con 6 miliardi di tonnellate di residui minerari in tutto il Paese.
Il sottosuolo più ricco di minerali è quello del Donbass (per alcuni analisti è uno dei motivi che ha scatenato la guerra) ma tante miniere hanno smesso di funzionare dopo il 2014, quando i separatisti filorussi sono saliti al potere nelle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Solo che quelle sono zone ricche di acqua sotterranea che trapela nelle cavità: va pompata fuori e depurata. Ma da troppo tempo questo processo non viene eseguito e dalle falde l’acqua filtra nei siti di estrazione, inquinandosi con metalli pesanti o peggio. Di questo passo, sostengono tutti, finirà per contaminare i terreni circostanti rendendoli inadatti alla coltivazione, e da lì i fiumi.
Su una delle tante miniere di carbone della zona, Yunkom, utilizzata come sito per test nucleari sovietici e chiusa nel 2018, la società di monitoraggio satellitare Terra Motion ha notato un rigonfiamento del terreno provocato proprio dalle infiltrazioni e ha messo in guardia sull’allarmante velocità con cui l’acqua radioattiva sta salendo. Entro un anno potrebbe uscire allo scoperto, sostengono, «potenzialmente rendendo inabitabile gran parte della regione» ha commentato il responsabile tecnico dello studio David Gee. Ma chi ci pensa a questi problemi, con una guerra così.
Missili e granate e proiettili di ogni calibro cadono senza sosta. E mentre i danni provocati dalle esplosioni sono evidenti e immediati, le sostanze che lasciano a terra e nell’atmosfera avranno conseguenze nel tempo. D’altro canto per i proiettili si usano metalli pesanti (gli ordigni più avanzati hanno un’armatura di tungsteno) e per le cariche esplosive composti che nella maggior parte dei casi sono tossici. Lo scrive chiaramente l’organizzazione internazionale Gchd (Geneva center for jumanitarian demining) nella sua Guida all’inquinamento degli ordigni esplosivi.
Dal carburante per i missili alle membrane delle ogive, al contenuto chimico delle cariche, si specificano gli effetti su ambiente e salute. Per esempio l’esplosivo Tnt (trinitrotoluene) in alcune circostanze è tossico per umani, piante e animali, così come l’Rdx (ciclonite), che in più è stato collegato all’insorgenza di cancro. Il Dnt (dinitrotoluene) è altamente tossico per gli umani, e così via. Alla fine della guerra ne sarà disseminato il Paese.
Altre vittime sono le foreste: in Ucraina si estendono per 11 milioni di ettari, il 15% del territorio nazionale, e rappresentano una fonte di profitto, specialmente legato all’export di legname. Peccato che gli incendi boschivi siano ormai estesi e frequenti. Non solo: l’intelligence di Kiev accusa Mosca di voler deforestare i territori per meglio combattere la guerriglia ucraina e devolvere all’esercito il ricavato dalla vendita del legname. Scrive la Direzione generale dell’Intelligence: «Il totale abbattimento delle aree verdi è un altro orribile crimine degli occupanti e la messa in opera di un ecocidio».
Questa parola, ecocidio, forse la sentiremo spesso in futuro. La Corte penale internazionale de L’Aia ha annunciato di voler aprire un’inchiesta sui crimini perpetrati in Ucraina. Ci dovrebbero rientrare anche i danni «gravi, estesi e di lungo periodo all’ambiente naturale», ma nella storia nessuno è mai stato accusato per quelli. Giacciono dimenticati anche i «Protocolli aggiuntivi» alla Convenzione di Ginevra, risalenti al 1949, i quali richiamano alla protezione dell’ambiente naturale proibendo atti che portino al suo danneggiamento, anche come rappresaglia contro le popolazioni. Ma a giudicare dal movimento che sta via via prendendo forma, non è escluso che nella lunga lista di «war crimes» ci finisca anche l’ecocidio.
Intanto, però, i boschi bruciano. E quelli intorno a Chernobyl hanno preoccupato più degli altri per il possibile rilascio del materiale radioattivo intrappolato nel suolo e trasportato con il fumo. «Non c’è mai stato un conflitto in una nazione con l’industria del nucleare così sviluppata» stigmatizza Doug Weir. «In tempo di guerra non si sa mai cosa può accadere, ma mentre ci focalizziamo sul rischio di danno diretto, per scelta o per l’imprecisione di un missile, si pensi che ci sono anche pericoli indiretti. Basti ricordare che gli impianti funzionano con l’elettricità e non possono esserci interruzioni prolungate: ma le centrali elettriche vengono colpite. Oppure che dopo la conquista militare, il ricambio ucraino-russo del numeroso personale che le fa funzionare in sicurezza non è così banale e privo di possibili inciampi. Sono solo timori, ma a dover preoccupare non ci dovrebbero soltanto essere le esplosioni o le fusioni del nocciolo del reattore».
Alla centrale di Zaporizhzhia, già teatro di una battaglia, ci sono sei reattori ben protetti dai loro gusci, ma anche 3.000 tonnellate di combustibile esaurito di alto livello, di cui 855 contenute in piscine di cemento senza particolari protezioni (in totale vi è depositato 20 volte il materiale nucleare di Chernobyl). L’apprensione è più che giustificata, anche perché siti di rifiuti radioattivi sono già stati colpiti a Kiev e Kharkiv, ha denunciato l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. E può ancora succedere di tutto. «Dovremo aspettare la fine della guerra», conclude Weir «per verificare e quantificare di persona, sul terreno, i reali danni all’ambiente». Che intanto, certamente la guerra l’ha persa.