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Sileoni: «Il futuro della banche può essere un caos. Lo dobbiamo governare»

Sileoni: «Il futuro della banche 
può essere un caos. Lo dobbiamo governare»

La trasformazione in corso, insieme con la crisi economica incombente, sarà un momento cruciale per l’intero Sistema Italia. Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, traccia lo scenario degli istituti di credito nei prossimi anni. E mette in guardia: «Solo tutelando dipendenti, clienti e territori, si potrà passare a un nuovo modello che garantisca lo sviluppo».


Le chiameremo ancora banche, ma va salvaguardato il ruolo sociale del comparto e occorre la vigilanza delle istituzioni e che il sindacato faccia il sindacato. Le banche concederanno sempre meno prestiti e stanno cambiando in tutta Europa. Noi puntiamo a tutelare l’intero settore bancario, non soltanto l’occupazione». Lando Maria Sileoni è il segretario generale della Fabi, il più grande sindacato bancario. Ascoltato da banchieri e politici, è ormai considerato uno dei personaggi più influenti del settore. Si confronta con Panorama sul futuro delle banche, che si stanno trasformando in negozi finanziari rinunciando a fare prestiti, sulle fusioni, sui rapporti tra i banchieri e la politica, sul ruolo di Mario Draghi: «Si è tenuto distante dai dossier del credito, visto il suo trascorso alla Banca centrale europea. Ma nel settore, tutto cambierà con le sue dimissioni da presidente del Consiglio».

Le banche avrebbero dovuto entrare da tempo in una fase di frenetiche fusioni, poi rallentate dalla guerra. Qualche operazione è stata solo abbozzata. È stato invocato il terzo polo e abbiamo di nuovo lo Stato-banchiere. Come si gestisce questa nuova situazione?

Ogni gruppo bancario ha i suoi problemi, ci sono istituti spaccati per carenza di equilibri interni. Qualche amministratore delegato teme di svegliarsi la mattina e non trovare più una banca da comandare, vista la bassa capitalizzazione di Borsa. Il terzo polo italiano, poi, è tutto da costruire, ma è uno specchietto per le allodole. E forse serve per tranquillizzare la politica in relazione alla vicenda Monte dei Paschi di Siena. La verità è che è tutto in alto mare, si va avanti solo navigando a vista, gestendo un problema dopo l’altro. Guerra e pandemia hanno creato grande confusione e non c’è nessuno in grado di governare questa situazione né di programmarla. Quindi noi, tra piani industriali e crisi, siamo costretti a controllare il caos, dobbiamo evitare i licenziamenti e le deroghe al contratto nazionale e continuare a mantenere in piedi il fondo di solidarietà per gestire gli esodi volontari. Intanto, abbiamo gettato le basi con Abi per rinnovare il contratto collettivo nazionale di lavoro di 280 mila bancari che scade a fine anno.

Restiamo sugli intrecci tra politica e banche. Cosa rappresenta il premier Draghi negli equilibri tra partiti e finanza?

Credo che Draghi non abbia trovato il tempo di occuparsi di banche e la partita Monte dei Paschi è stata gestita dai suoi diretti collaboratori. Il premier ha voluto dimostrare una equidistanza dalla finanza e dalle banche: visto che arriva dalla Bce, non ha voluto apparire come chi favorisce qualcuno. Noi siamo consapevoli di tre aspetti. Il primo: i nostri problemi li dobbiamo risolvere da soli, all’interno del settore, ma insieme agli altri sindacati, come fatto finora. Il secondo è la consapevolezza che lo Stato non darà più un euro per eventuali, prossime crisi bancarie. Terzo: nel comparto tutto cambierà con la nuova fase politica che si sta prospettando.

Intanto, facciamo i conti con una nuova crisi economica: è probabile che i bilanci delle banche tornino a riempirsi di sofferenze. La questione toccherà da vicino anche i territori?

Le sofferenze probabilmente torneranno a salire perché molte imprese e molte famiglie avranno difficoltà a rimborsare i prestiti. E quelle sofferenze – per volontà della Bce – saranno nuovamente vendute dalle banche a società di recupero crediti, che operano con modalità spesso spregiudicate. Il problema coinvolge già 1,2 milioni di soggetti: la questione non sarà risolta, ma trasferita dagli istituti sui territori. È una situazione che viene sottovalutata e ricordo che qualcuno si è tolto la vita per questo motivo. La verità è che la politica partitica non riesce a opporsi alle decisioni della Bce. Tra regole sempre più stringenti della Banca centrale, appunto, e amministratori delegati desiderosi di realizzare facili utili, di credito ne avremo sempre meno, mentre aumentano i ricavi dalla vendita di prodotti finanziari e assicurativi.

Le chiameremo ancora banche?

Certo che le chiameremo ancora così, anche se tutte in Europa si stanno trasformando. Però, se vogliamo salvaguardare il ruolo sociale del settore, occorre anche una vigilanza delle istituzioni e che il sindacato faccia il sindacato. Il cambiamento del modello di business è sotto gli occhi di tutti e lo dicono i numeri: i ricavi degli istituti italiani arrivano per il 54 per cento dalla vendita di servizi, prodotti finanziari e assicurativi oltre che dalla gestione dei risparmi, e solo per il 46 per cento dai prestiti, cioè l’attività tradizionale. Tutto questo comporta la crescita delle indebite pressioni commerciali sui bancari, questione che abbiamo illustrato il 17 maggio scorso alla Commissione parlamentare d’inchiesta. Quella data è un punto di non ritorno: da quel momento la politica non può più dire di non sapere. D’altronde, il cambiamento è come il vento: non lo puoi fermare, ma puoi provare a gestirlo.

Il settore creditizio potrebbe veder scendere ancora un po’ il numero degli occupati e, allo stesso tempo, non si possono escludere operazioni dall’estero da parte di grandi gruppi. La Fabi come si prepara a queste nuove eventualità?

Per noi la sfida principale non è soltanto l’occupazione del settore, ma tutelare insieme dipendenti, clienti e territori, cosa che spesso non fanno le banche perché sono ossessionate dai ricavi. Da qualche anno interveniamo su questi argomenti, perché non teniamo solo alla salvaguardia di lavoratrici e lavoratori, ma dell’intero mondo finanziario. Il settore non può fare a meno di nessuna di queste componenti.

Con lei alla guida, la Fabi è diventata un punto di riferimento dentro e fuori il mondo bancario: il ruolo dell’organizzazione è cresciuto ed è riconosciuto da tutti gli addetti ai lavori. E il futuro di Lando Maria Sileoni è già scritto?

Per me il futuro è il presente. Sono già iniziati i congressi provinciali della Fabi per arrivare al prossimo congresso nazionale dell’organizzazione sindacale, a giugno 2023. Non temo il futuro né le difficoltà. Posso raccontarle un episodio personale, per spiegarle il mio senso dell’esistenza?

Prego.

La svolta nella mia vita c’è stata quando avevo 22 anni. Era pieno inverno. Stavo facendo windsurf, sono caduto e sono rimasto da solo in alto mare. Dopo tre ore in balia dell’acqua gelida, solo, a un chilometro dalla costa, ho capito che se non mi fossi salvato con le mie forze, non mi avrebbe salvato nessuno.

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