Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Ma ora anche con un allargamento a Paesi-chiave come l’Arabia Saudita. L’ex Sud del mondo sta organizzando nuovi strumenti economici (con molti risvolti politici) in alternativa a quelli dell’Occidente. Una «transizione» meno evidente, che può avere però la forza di una partenza per lo spazio.
C’è un altro polo d’attrazione economica, o forse proprio un altro mondo a vederlo dall’emisfero sud della Luna finora inesplorato. Ci sono arrivati gli indiani con la loro missione sul satellite il 23 agosto scorso mentre a Johannesburg il Sud della terra, con un vertice storico dei Brics – il raggruppamento delle economie che comprende Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, allargato ad almeno un’altra ventina di nazioni – rivendicava il proprio posto al sole. L’India è la quarta potenza spaziale del mondo e il suo successo con Chandrayaan-3, che ha allunato il lander Vikram, inserisce in un’orbita universale un Paese che fino a poco più di 70 anni fa era ancora «proprietà» britannica e ha sofferto la più occhiuta spoliazione coloniale. E però ha anche lasciato in eredità una classe dirigente oligarchica, ma preparatissima, che ha fatto crescere tecnologia ed economia incurante del persistere delle caste. Tutto questo accade mentre le stelle della bandiera dell’Unione europea e in parte di quella americana stanno a guardare.
Cosa è successo a Johannesburg? Probabilmente che la Storia ha compiuto una svolta. Molti commentatori hanno affermato sbrigativamente che il vertice è stato un flop, non essendosi esplicitata la «de-dollarizzazione» chiesta a gran voce dal presidente brasiliano Luiz Lula da Silva, il quale vorrebbe una moneta unica di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Altri analisti poi, dato che non c’è stato neppure un allineamento a fianco dell’invasore dell’Ucraina Vladimir Putin nonostante la Cina l’abbia sollecitato, sostengono che non si può parlare di blocco Brics… Eppure, dopo Johannesburg, l’Occidente non è più il banco che distribuisce le carte del risiko.
Non si è arrivati all’anti G-7 come vorrebbe Pechino, ma si è andati molto oltre il G-20. Sancendo che le transazioni tra gli Stati aderenti si faranno in valuta locale e inaugurando così il percorso che affranca una gran pezzo di mondo dalla necessità del dollaro e per conseguenza dell’euro. Intanto i numeri: con l’invito ad Arabia Saudita, Iran ed Emirati – un capolavoro della diplomazia cinese che per la prima volta ha messo fianco a fianco gli arcinemici sunniti e sciiti – a Johannesburg si è riunito il 70 per cento della produzione di energia fossile (petrolio e metano) e, se si tiene conto della supremazia cinese nella produzione di sistemi per energie rinnovabili, lì c’era la «pila» del pianeta. In termini di Pil globale quei Paesi valgono il 37 per cento e riuniscono la metà della popolazione mondiale. Il G-7, per offrire un paragone, tiene insieme il 30 per cento del prodotto e solo il 10 per cento dell’umanità.
L’elemento di maggiore spicco nella riunione dei Brics è però politico. Si è compreso che democrazia ed economia non vanno più a braccetto; le nazioni del nuovo ordine mondiale si curano relativamente dei diritti e delle libertà e il loro primo comandamento è «business is business».
Le democrazie imperfette e i regimi dittatoriali governano tre quarti dei Brics allargati. È facile capire come anche grazie ai nuovi adepti – entrano Argentina, che in perenne crisi ha tutto l’interesse a trovare un’alternativa al sistema di finanziamento e pagamento occidentale, Arabia ed Emirati, Iran e poi Egitto ed Etiopia avanguardie dell’economia africana – puntino a sostituire l’egemonia occidentale che ruota intorno agli Stati Uniti.
Motore di questa «rivoluzione» è Pechino che ha già ottenuto dall’Arabia Saudita di pagare in renminbi il petrolio e che attraverso il suo sistema di trasferimento monetario Cips, alternativo allo Swift precluso alla Russia, ha consentito a Mosca di dribblare l’embargo sulle transazioni.
Il secondo attore è la stessa Russia. A Johannesburg ha ottenuto un pronunciamento significativo: i Brics e satelliti sono pronti a sterilizzare le sanzioni – a questo è fortemente interessato anche l’Iran che ha già stretto accordi commerciali con Pechino e Vladimir Putin – attraverso la creazione di un’unità di conto comune.
Non è una moneta circolante che avrebbe bisogno di un’unica banca centrale che agli africani non piace, ma nasce l’Ecu dei Brics, così come ci fu lo «scudo» europeo prodromico all’euro che come riferimento ha lo yuan digitale. A rafforzare questa strategia ci sono almeno tre fatti. Lo scambio commerciale tra India e Russia è cresciuto del 190 per cento nella prima metà del 2023: sono 33,5 miliardi di dollari. Il secondo è la visita che Putin farà a ottobre in Cina su invito di Xi Jinping, il quale ha ribadito: «Sono in atto cambiamenti che non si vedevano da cent’anni. Insieme stiamo guidando questi cambiamenti». Il terzo elemento sono le politiche monetarie diverse che stanno seguendo Mosca e Pechino, ma convergenti su un solo obiettivo: rafforzare le due economie per integrarle sempre di più.
Elvira Nabiullina, a capo della banca di Russia, ha alzato i tassi per difendere il rublo e l’interscambio sino-russo è salito al livello record di 185 miliardi di dollari. Il taglio dei tassi operato dal Dragone – è in deflazione e dopo il crac immobiliare della società Evergrande il governo centrale sta cercando di stimolare la domanda – lascia prevedere che ci sarà un’intensificazione di investimenti della Cina in Russia.
Proprio sugli investimenti punta Pechino per consolidare i Brics. Per esempio in Argentina – con inflazione fuori controllo, tassi quasi al 100 per cento e un debito da 44 miliardi di dollari da restituire al Fmi – si punta a sostituire i finanziamenti occidentali per accaparrarsi i prodotti agricoli. L’opposizione guidata da Javier Milei, conservatore che spera nell’aiuto americano, annuncia barricate contro i Brics, ma il presidente «peronista» Alberto Fernández si dice pronto anche ad accettare la proposta brasiliana di costruire una moneta unica tra Buenos Aires e Brasilia. Lula, che è il primo nemico del dollaro, ha piazzato Dilma Rousseff – ha guidato il Brasile fino al 2016 quando un impeachment l’ha detronizzata per accuse mai provate di reati contabili – a capo della New Development Bank che ha sede a Shanghai (con un capitale di 30 miliardi di dollari destinato a salire a cento con l’ingresso degli arabi) e la Cina la considera il braccio armato dei Brics.
Pechino peraltro rivendica la guida economica dell’«alleanza» ricordando di avere in corso sia con la banca della Rousseff sia con accordi di partenariato oltre 200 progetti di sviluppo tra Africa, Sud-est asiatico e America centro-meridionale che saranno supportati da un fondo di sviluppo comune dotato di 10 miliardi di dollari. L’obiettivo è quello di rendere inutile il ricorso tanto al Fondo monetario quanto alla Banca mondiale.
Per tale motivo i Paesi africani si stanno coalizzando attraverso il Pan-African payment and settlement system (Papss) che serve anche a sostegno dell’area commerciale di libero scambio panafricana e già sta abbandonando il dollaro per arrivare con l’African export-import bank alla convertibilità delle 42 diverse monete africane.
Il continente ha gravi problemi di debito (si veda in proposito l’articolo a pag. 44); ma questo progetto, portato avanti dal presidente kenyano William Ruto e, a cui già aderiscono Gambia, Ghana, Gibuti, Guinea, Liberia, Nigeria, Sierra Leone, Zambia e Zimbabwe, potrebbe di sicuro aiutare ad affrontare i problemi. Ruto si è rivolto così al presidente francese Emmanuel Macron: «Volete riformare le istituzioni internazionali affinché continuino a darci ordini. Noi invece vogliamo sederci al tavolo in cui si prendono le decisioni». La Cina attraverso i Brics, che ancora non sono blocco compatto ma acquisiscono gli strumenti per essere un sistema economico integrato, vuole costruire questo nuovo tavolo. Non è la de-dollarizzazione, ma è fare a meno dell’Occidente. Mentre le stelle – soprattutto quelle della bandiera dell’Europa, a totale traino degli Usa – stanno a guardare.