CSM, la riforma impossibile
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CSM, la riforma impossibile

L’organo cruciale che decide carriere e destini dei magistrati è interessato dal progetto di revisione complessiva a cui lavora il Guardasigilli Carlo Nordio. Una più corretta gestione di chi deve amministrare il potere giudiziario sarebbe un segnale di civiltà. Ma l’esperto del settore Maurizio Catino esprime forti dubbi sulla possibilità di un rinnovamento. Ecco perché

La seguente riflessione del giurista e padre fondatore della Costituzione, Pietro Calamandrei, andrebbe posta nei tribunali accanto alla nota «La legge è uguale per tutti». Disse il grande fiorentino: «Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra». Quasi una nemesi per le toghe indignate dalla riforma messa in piedi dal ministro della Giustizia Carlo Nordio - separazione delle carriere, due Csm eletti per sorteggio - che hanno affidato, durante il loro inusitato sciopero con la Costituzione innalzata come vessillo di lotta, ad Antonio Albanese, alias Cetto Laqualunque parodia del politico cinico e baro oltreché protervo e ignorante, la lettura di brani tratti dagli scritti di questo insigne uomo di legge, resistente, fondatore del Partito d’Azione. Tra le carte di Calamandrei però non hanno scovato quest’altro passaggio che spiega perché in un recente sondaggio di Tecnè - è del 4 febbraio scorso - il 50 per cento degli italiani dice di non avere fiducia nei magistrati. E nel confronto Giorgia Meloni-Cesare Parodi, il neopresidente dell’Associazione nazionale magistrati, il 42 per cento sta col governo, il 39 per cento con le toghe.
«Al giudice» sentenziava Calamandrei «occorre più coraggio a essere giusto apparendo ingiusto, che a essere ingiusto apparendo giusto». Un’altra sondaggista, Alessandra Ghisleri, ha spiegato un mese fa che gli italiani di fronte a casi - per citarne due - come quelli del pastore sardo Beniamino Zuncheddu, in galera da innocente per 32 anni, e dell’ex senatore Stefano Esposito - inquisito per sette anni, intercettato cinquecento volte, poi archiviato - pensano di non potersi difendere. Bisogna affidarsi ai numeri: dal 1991 al 2022 ci sono stati 30 mila errori giudiziari, ogni anno finiscono in carcere mille innocenti. Nel 2024 lo Stato ha pagato quasi 30 milioni di euro per ingiusta detenzione - come ha scritto Antonio Rossitto sullo scorso numero di Panorama - in trent’anni circa un miliardo. Ma che succede ai magistrati che sbagliano? Dal 2017 al 2024 su 89 azioni per ingiuste detenzioni ci sono stati solo otto casi di censura, un solo trasferimento come unica è l’azione di rivalsa dei danni pagati dallo Stato contro una toga colta in fallo. Stando così le cose la faccenda diventa fenomeno sociale.

Non a caso l’ha indagata il professor Maurizio Catino, ordinario di Sociologia dell’organizzazione all’Università di Milano-Bicocca, che l’ha riassunta nel suo saggio Trovare il colpevole, la costruzione del capo espiatorio nelle organizzazioni (Edizioni Il Mulino). «Non è un legal thriller, parte da uno sconquasso giudiziario: il caso Palamara. Con la mia collega dell’università di Bologna Cristina Dallara» spiega il professore, «abbiamo studiato norme e prassi nel Consiglio superiore della magistratura, che per noi sono le regole dell’apprendimento imperfetto. Mi sono interrogato se il fenomeno del magistrato che decideva le carriere fosse un’anomalia o segnalasse una prassi. Su questo “affaire” c’è stato un esercizio corale di grande ipocrisia e si è creata per lui la figura del capro espiatorio organizzativo».

Viene da obiettare che Luca Palamara era però presidente dell’Anm e autorevolissimo componente del Csm, dunque tanto capro espiatorio non pare.

«Giusto, se però intendiamo la definizione classica: cioè l’innocente che viene sacrificato» riflette Catino. «Diversamente io lo definisco “organizzativo” perché Palamara ha la responsabilità del sistema, è un capro espiatorio colpevole, ma il sistema lo è con lui o attraverso di lui. E viene da domandarsi se Palamara sia la causa o l’effetto di quello che è stato chiamato lo scandalo di Palazzo Bachelet (qui, a Roma, nel già Palazzo dei Marescialli, ha sede appunto il Csm, ndr)». Prosegue il docente della Bicocca: «È un fenomeno noto a chi studia le organizzazioni complesse - si tratta del formarsi della prassi extralegale che tende a sostituirsi alla prassi legale quando questa si “ossifica”, si sclerotizza. Nella magistratura è successo così. Le correnti dell’Associazione nazionale magistrati hanno finito per diventare il luogo di cooptazione di chi deve ricoprire incarichi direttivi. Agli albori le correnti erano espressione di culture giuridiche differenti che si confrontano, l’Anm - che non ha alcuna veste istituzionale - era il luogo di rappresentanza di queste istanze. Quando i criteri di selezione “legale” sono diventati farraginosi questa organizzazione della categoria è diventata l’ufficio di collocamento. Palamara era il terminale efficientissimo del sistema. La cosa grave è che anche dopo quello scandalo il sistema non è stato capace di emendarsi».

Il professor Catino fissa il quando, il come e il perché dell’affermazione del sistema extralegale.

«Tutto parte Dalla riforma iniziata da Roberto Castelli con il governo guidato da Silvio Berlusconi nel 2006 e proseguita da Clemente Mastella, nel 2007 con l’esecutivo di Romano Prodi. Una riforma che è costata a Mastella un ruvido trattamento giudiziario. L’idea era di introdurre un criterio di selezione meritocratica per gli avanzamenti di carriera che fino a quel momento erano basati sul mero criterio di anzianità. Si ricorderà un famoso articolo di Leonardo Sciascia contro la nomina di Paolo Borsellino a procuratore capo di Marsala perché avveniva senza il criterio dell’anzianità. Sciascia non ce l’aveva con Borsellino, ma voleva segnalare l’arretratezza di quel sistema. Mastella mette in capo alla V commissione del Csm che è composta da solo sei magistrati la selezione dei curricula. Un’opera impossibile per la mole di dati da verificare. Così le correnti diventano il luogo di selezione e la Commissione assume una mera funzione notarile. Per gran parte delle nomine si procede a pacchetto: cioè si spartiscono i posti tra le correnti, ma ci sono dieci Procure tra cui Milano, Roma e le due Procure che controllano i magistrati di queste sedi e cioè Brescia e Perugia che si fanno di concerto con degli stakeholder: politici, rappresentanti dell’economia, perfino la segreteria del Quirinale viene discretamente consultata. Lo scandalo Palamara assume così una sua fisiologia che è indice della patologia del sistema».

E l’indipendenza della magistratura?

«Parliamoci chiaro: se io devo decidere sull’Ilva di Taranto o su una grande banca ho un forte impatto sulla società. Dunque essere un magistrato in sintonia con la società civile di per sé non è sbagliato. È sbagliato che non lo si faccia alla luce del sole, che non sia una prassi trasparente a queste nomine. Semmai è la politica che ha arretrato davanti alla magistratura. Questa ritirata ha reso il sistema correntizio e dunque l’Anm titolare del potere sui giudici; nel Csm il compromesso con i membri laci alla fine i togati lo devono trovare così per assicurare protezione ai magistrati che quasi mai vengono sanzionati».

La riforma Nordio è avversata anche per questo?

«Il progetto di riordino non tocca le carriere dei magistrati, le separa, ma le nomine si faranno sempre nello stesso modo. Anche i due Csm sorteggiati non risolvono il problema. Bisognerebbe introdurre criteri di selezione diversi che la cultura solo giuridica e dunque affezionata alla iper-normazione del Csm non consente».

La conclusione?

«Una sola» sospira il professor Catino, «il sistema giudiziario, almeno sotto questo profilo, è inemendabile».

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Carlo Cambi

Toscano di nascita e di formazione (economico-giuridica) diventa giornalista professionista a 23 anni. Percorre tutto il cursus honorum a Repubblica fino a dirigere le pagine di economia. Nel 1997 fonda I Viaggi di Repubblica - primo e unico settimanale di turismo - che dirige fino al 2005 quando sceglie di vivere a Macerata insegnando marketing del territorio e incontra Maurizio Belpietro col quale stabilisce un sodalizio umano e professionale. Autore radiofonico e televisivo continua a occuparsi di economia ed enogastronomia. Ha scritto una trentina di libri. Il suo best seller? Il Mangiarozzo.

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