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(Ansa)
Politica

L’ora dei labour, già pronti a sbagliare

Secondo ogni previsione, alle prossime elezioni politiche nel Regno Unito - il 4 luglio - trionferà la sinistra laburista di Keir Starmer, mentre i conservatori dopo lunghi anni al potere si vedranno scippare i voti anche da destra per l’irresistibile ascesa di Reform Uk (cioè Nigel Farage). Ma il Paese sta attraversando una profonda crisi. E per chiunque la spunterà, sarà una durissima impresa.

Diciotto o addirittura vent’anni. È quanto i Laburisti potrebbero rimanere al potere nel Regno Unito se, al voto che attende il Paese il 4 luglio, dovessero riuscire a conquistare quella «super maggioranza» prevista dagli analisti. Un periodo lunghissimo dovuto al fatto - così almeno temono e prospettano personaggi come il cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt e altri membri del governo - che con un Parlamento di schiacciante forza labour si possa per esempio modificare il sistema elettorale allargando il voto a 16enni (intenzione manifesta) e ai cittadini europei che vivono nel Paese (improbabile ma se n’è discusso).

Al di là di queste previsioni catastrofiste, se i 20 punti di vantaggio risultanti dai sondaggi fossero confermati, il trionfo del leader labour, Sir Keir Starmer, sarebbe assoluto. Tuttavia, il Paese che si accinge a ereditare non gode di buona salute, anzi. L’economia stagnante, i servizi pubblici in forte difficoltà, le ondate migratorie mai così forti, le conseguenze fallimentari della Brexit...

Non meno complicato il fronte della politica estera. Soltanto cinque giorni dopo il suo ingresso al numero 10 di Downing Street infatti, Starmer rappresenterà il Regno Unito al summit della Nato a Washington. L’immagine che offrirà agli alleati occidentali in quell’occasione si rivelerà decisiva per definire quanta fiducia potrà venir riposta nella Gran Bretagna a guida laburista. Per la prima volta il partito dovrà affrontare come forza di governo il conflitto israelo-palestinese e la guerra in Ucraina, e prendere posizione su come combattere sul piano economico una Cina sempre più pericolosa e aggressiva.

Anche la situazione a Gaza si prospetta come un dilemma difficilissimo da sbrogliare pr il leader labour, sempre più sotto pressione da parte del suo partito che vorrebbe una linea più dura nei confronti di Israele anche a costo di andare contro al consenso internazionale.

E se fino a questo momento Starmer ha potuto diplomaticamente tergiversare, come premier sarà costretto a prendere posizione. Non meno complicata la situazione sul fronte interno. Disgustati dai fallimenti dei governi conservatori - così sono stati definiti gli elettori britannici da Nigel Farage, star di Reform Uk, che con la sua candidatura ha messo l’ultimo chiodo sulla bara delle speranze dei Tories giacché scipperà loro, da destra, parecchi elettori - i cittadini si aspettano molto da questo cambio di rotta. Si aspettano, per esempio, il rilancio del servizio sanitario nazionale, per decenni fiore all’occhiello del Regno Unito e ora ridotto al lumicino, colpito da profonde carenze negli organici e da decine di scioperi. Starmer ha promesso di ridurre le liste di attesa e di riportare il servizio agli splendori di un tempo, aggiungendo 40 mila appuntamenti e operazioni ogni settimana con l’introduzione di nuovi turni nel weekend e di collaborazioni con il settore privato. Impresa non facile visto che nei prossimi anni il governo sarà chiamato a fare i conti con una popolazione mediamente sempre più anziana e bisognosa di cure. Entro il 2033, quando per la prima volta nella sua storia un cittadino su 10 avrà più di 75 anni, la spesa pubblica necessaria per il settore sanitario arriverà a 278 miliardi di sterline contro gli attuali 182 e al governo non resterà che aumentare le tasse che già pesano sui lavoratori per riempire un buco di 100 miliardi.

Ma nel suo manifesto il Labour ha anche promesso di creare 650 mila posti di lavoro grazie a politiche di investimento green nei settori dell’energia, dell’idraulica e dell’ingegneria che si ripromettono di rafforzare l’economia nazionale e allo stesso tempo di offrire un contributo concreto alla battaglia contro il cambiamento climatico. Rimane da vedere però come questi sforzi si rifletteranno sulle tasche dei contribuenti.

Le stesse tasche che saranno messe a dura prova nel 2025 e nel 2026, quando scadranno i contratti di quattro delle principali linee ferroviarie attualmente gestite, in modo disastroso, dal settore privato.

Negli ultimi anni non si contano gli scioperi che hanno paralizzato il traffico su ferro con enormi disagi per i passeggeri. È sempre stata intenzione del Labour rinazionalizzare il servizio, ma si teme che Starmer abbia sottostimato il costo totale dell’operazione.

Il controllo del fenomeno migratorio costituirà un altro importante banco di prova per il nuovo governo. Anche se non rappresenta una priorità per una maggioranza a guida progressista, il suo leader non può non tener conto di aver ereditato un Paese che negli ultimi tre anni ha registrato un numero record di arrivi di clandestini, con 764 mila ingressi solo nel 2023. Archiviato l’irrealizzabile piano Ruanda, a Starmer non resterà che decidere se proseguire con una politica migratoria punitiva o accettare un livello di ingressi molto più alto di quello previsto nei tempi passati.

E poi c’è la Brexit, «l’elefante nella stanza», l’argomento di cui nessun politico ama più parlare. Nel Regno Unito la questione è stata affrontata apertamente soltanto dai liberaldemocratici, gli unici a voler ritornare in Europa, e da Reform Uk che invece chiede a gran voce una ridiscussione dei termini dell’accordo attuale considerato troppo penalizzante per gli inglesi. Starmer, come Sunak, ha sempre escluso un’inversione di marcia, ma ha promesso di voler «far funzionare la Brexit». In che modo rimane ancora un mistero, anche se è chiaro che il nuovo premier intende ricucire gli sbrindellati rapporti con Bruxelles cercando di portare a casa condizioni migliori soprattutto nel campo dei singoli accordi commerciali. Secondo il settimanale The Economist, dal referendum del 2019 le esportazioni di beni dal Regno Unito sono calate del 10 per cento e la situazione non intende migliorare.

Nel frattempo, già il governo Sunak era stato costretto a offrire visti di soggiorno speciali per studenti e alcune categorie di lavoratori assolutamente indispensabili all’economia britannica, tradendo così in parte i presupposti iniziali dell’accordo originario.

Intanto, in questi anni, i cittadini hanno avuto il tempo di rendersi conto che la soluzione siglata da Boris Johnson non stava ottenendo i successi tanto sbandierati dai leavers e attualmente la percentuale di chi voterebbe per rimanere supera quella di chi vuole restare fuori dall’Unione. Se il Labour vuole veramente rimanere in sella per i prossimi 18 anni deve rimboccarsi le maniche.

Vincere approfittando dei fallimenti altrui non è difficile, ma il vero successo è mantenere il vantaggio.

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Erica Orsini