Enrico Letta è il leader di partito più ricco del Parlamento, che «sta sereno» grazie a 622 mila euro annui. E come molti altri colleghi, può vantare l’insigne onorificenza francese. Sempre sul petto di esponenti dem…
Lo immaginavamo mesto e meditabondo, sulle rive della Senna. Sorte fellona, quella che l’aveva allontanato da Palazzo Chigi. Un passo dopo l’altro, gli occhialini ovali appannati dal freddo, l’assillo martellante: «Che ne sarà di me?». Confessiamo: negli anni passati, talvolta il nostro solidale pensiero è corso a lui, Enrico Letta, esiliato a Parigi. Proprio mentre il suo spietato successore, Matteo Renzi, dopo una tonante parentesi da premier, approdava in Senato, fondava la già morente Italia Viva e cominciava la sua seconda vita: remunerassimo consulente in mezzo mondo, soprattutto arabo. Contrattoni a tanti zeri. Uno dopo l’altro. Lui sì, era il più dritto della compagnia.
Invece, tocca fare pubblica ammenda: abbiamo sottovalutato il già dileggiatissimo «Enrico stai sereno». Dopo la piena riabilitazione politica, con l’acclamato ritorno in patria come segretario del Pd, arriva anche quella professionale. Eletto deputato alle suppletive lo scorso settembre, anche a lui è corso l’obbligo di comunicare i passati redditi. Reggetevi forte, allora. Nei suoi cinque anni in Francia, non si è limitato a insegnare all’università Sciences Po. Meglio di James Bond sotto copertura, ha accumulato una consulenza dopo l’altra. Meglio del rodomonte di Rignano sull’Arno.
Letta è il leader di partito meglio retribuito del parlamento. Lo conferma l’ultima comunicazione patrimoniale, riferita al 2020: 622 mila euro. Mentre il Matteo d’Arabia si ferma a poco meno di 489 mila euro. Segue la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: 127 mila euro. Quindi l’ex premier, ora alla malferma guida dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte: quasi 101 mila euro. Poi il segretario del Carroccio, Matteo Salvini: 92 mila euro. Chiude il capo di Leu e ministro della Salute, Roberto Speranza: sfiora i 90 mila euro.
Apparentemente inabissato, Letta invece incassava sontuose parcelle Oltralpe. Intanto Renzi, veniva attaccato per le consulenze, ottenute però da senatore in carica. Pubblico ludibrio, quindi. Al contrattacco, dunque. Ancora ignaro dell’altrui fortuna, qualche mese fa si dice pronto a un «confronto etico» con illustri e attigui predecessori. Accusa Romano Prodi di «collaborazioni con istituzioni non pienamente democratiche», come Kazakistan e Cina. E cita pure Massimo D’Alema: «C’è chi fa le conferenze e ci paga le tasse e chi chiede il 5 per cento sulle mascherine e non chiarisce gli appalti Covid». Renzi allude al presunto ruolo di mediatore in commesse con la Cina del «leader Maximo», citato in un’inchiesta. Ma D’Alema non è mai stato indagato. Né risultano pagamenti per la sua, eventuale, intercessione.
E comunque sia lui che Prodi, a confronto dell’attuale segretario del Pd, sembrano due dilettanti. Ma cosa accomuna i tre leader della sinistra, a parte il succitato attivismo? Politicamente, ormai, ben poco. Scorrendo le note biografiche, salta però agli occhi un insigne riconoscimento: hanno ricevuto tutti la Legion d’onore dalla Francia. Come altri colleghi di identica area politica e simile attivismo, del resto. Vedi l’ex ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini, riverito boiardo di Stato. O l’ex parlamentare dem Sandro Gozi, poi folgorato sulla via di Parigi dal presidente francese, Emmanuel Macron.
Cominciamo da Letta, allora. A inizio 2014 lascia Palazzo Chigi. E a giugno 2015 si dimette da deputato. Attacca i politici: «Gente che non fa altro, non ha un mestiere». Lui invece, nel frattempo, un lavoro se l’è trovato: insegna Europa e populismi nell’università parigina. E, a settembre 2015, diventa addirittura direttore della Scuola di affari internazionali di Sciences Po. Così, il 27 marzo 2016 riceve dunque la Legion d’onore dal fu presidente, François Hollande. È la definitiva consacrazione in terra straniera. Da quel momento, Letta comincia a collezionare superbi incarichi.
Il 31 maggio 2016 è nominato nel comitato consultivo di Amundi, la più grande società di investimenti d’Europa, controllata del gruppo bancario francese Crédit Agricole. Una carica già affidata, in passato, a Bassanini, «ufficiale» transalpino. Solo dopo il ritorno nell’agone politico italiano, Letta lascerà il ruolo. Il 14 marzo 2021 viene eletto segretario del Pd. Appena una settimana più tardi, come rivelato dalla Verità, viene annunciato l’ingresso nel cda di Crédit Agricole di una sua fedelissima: Alessia Mosca, ex parlamentare dem. Che, del resto, aveva già raggiunto il suo mentore a Sciences Po, con l’incarico di professoressa aggiunta di Commercio internazionale dell’Ue. Urge Legion d’onore anche a lei.
Continuiamo però a ripercorrere la campagna lettiana d’Oltralpe. Lo intervistano a settembre 2017: «Tornerebbe a fare politica?». Risposta categorica: «No, assolutamente no. Sto benissimo dove sono». A posteriori, c’è da credergli. Un mese più tardi, entra pure nella Commissione pubblica per la riforma dello Stato voluta da Macron. A marzo 2019 lo chiamano nel consiglio di sorveglianza di Publicis, colosso pubblicitario francese: Il Domani scrive che avrebbe ricevuto 100 mila euro per otto riunioni. Una delle sue controllate, l’americana Qorvis, cura però l’immagine della monarchia saudita. Quella elogiata come «culla del Rinascimento» da Renzi: ricompensato dagli arabi, solo l’anno scorso, con 1,1 milioni di euro di consulenze.
Proseguiamo. Durante il fortunato intermezzo parigino, Letta viene chiamato anche nell’advisory board internazionale di Tikehau Capital, gruppo francese specializzato in patrimoni e investimenti che gestisce 34 miliardi dollari. Infine, Letta è tra i fondatori della società di mediazione Equanim. S’è occupata, tra l’altro, anche della fusione dei due colossi francesi dell’acqua e dei rifiuti, Veolia e Suez. Letta assicura di essersi dimesso anche da questo incarico. Sul sito di Equanim viene definito: «Socio fondatore e presidente onorario del consiglio strategico internazionale».
Riassumendo: dopo il suo arrivederci al parlamento, cattedra universitaria a parte, ha collezionato cinque consulenze in Francia. Ma anche fuori dalla patria d’adozione s’è mosso bene. A marzo 2016 diventa senior advisor di Eurasia group, centro di analisi geopolitico statunitense. Da fine 2016 a maggio 2018 siede nel cda di Abertis, il gigante catalano delle autostrade che in Italia controlla Brescia-Padova. Gettone annuale previsto: 115 mila euro. Sempre nel 2016, entra nel consiglio d’amministrazione di Liberty Zeta Ltd, una holding britannica della moda. Poi l’incarico, ancora di consulente, per Spencer Stuart, in compagnia dello zio Gianni Letta, società statunitense di cacciatori teste. Infine, l’8 agosto 2019 viene nominato vice presidente per l’Europa occidentale del veicolo di investimento cinese ToJoy, che annuncia di aver accolto «talenti internazionali di alto livello».
In totale, fanno dieci poltronissime, a cui dopo il ritorno a Roma ha dovito dire addio. L’ex Cincinnato, nei suoi cinque anni lontani dalla politica italiana, non ha certo tergiversato. Difatti, sebbene all’epoca privo del cospicuo stipendio da parlamentare, Letta è stato il leader di partito meglio remunerato nel 2020: 622 mila euro appunto. Altro che «Enrichetto», come insistono a chiamarlo. Tocca riaggiornare il soprannome: magari Enrico IV, detto «il Grande». Del resto, la sua fortunata ascesa professionale è proprio il trionfo della grandeur francese. Cominciata con il conferimento della Legion d’onore. Anche Sandro Gozi, dopo la nomina a cavaliere transalpino, s’è dato da fare. Già sottosegretario agli Affari europei, a giugno 2018 riceve una consulenza da 120 mila euro dalla Banca centrale di San Marino. Poi diventa collaboratore del premier francese, Édouard Philippe. Ma anche consulente del governo maltese. Infine, entra nel parlamento europeo tra le file macroniane.
Prodi, invece, ha puntato soprattutto sulla Cina. Come D’Alema, con i think tank organizzati intorno alla «Silk Road Initiative». Non a caso ha creato, nel 2019, la quasi omonima Silk Road Wines srl: per esportare, sulla via della Seta appunto, il vino che produce in Umbria. Ben avviata anche DL & M advisor, dal nome delle iniziali, di cui D’Alema è socio unico e amministratore. Oggetto sociale: consulenza aziendale, per l’appunto. Nata due anni fa, ha già chiuso il 2020, ultimo bilancio disponibile, con un utile di oltre 200 mila euro. L’ex premier, comunque, è ormai considerato un suggeritore coi contro fiocchi. Tanto da essere stato nominato presidente del comitato consultivo di Ernst & Young, multinazionale di servizi professionali.
S’è lanciata nel settore anche una dalemiana storica come Giovanna Melandri. Già ministro della Cultura per i Ds, adesso presidente del museo d’arte contemporanea Maxxi, fonda a luglio 2020 la Gold Spirals, altra srl attiva nelle consulenze. Anche lei, tra l’altro, insignita della Legion d’onore. Melandri però restituisce l’onorificenza a dicembre 2020, dopo che l’altissimo riconoscimento è finito pure al presidente egiziano, Abdul Fattah al-Sisi, reo di non aver collaborato con l’Italia sulla scomparsa di Giulio Regeni, avvenuta al Cairo.
Un’urgenza sentita pure da Sergio Cofferati, ex europarlamentare del Pd. Interpellato sull’eventualità di riconsegnare il titolo all’Eliseo, D’Alema invece glissa: «Quel simbolo rappresenta il legame con la Francia, la sua storia e la sua cultura, non con Macron». E il commendator Letta? Un giorno, magari, potrebbe tornare a offrire i suoi inarrivabili consigli ai cugini francesi. Nel dubbio, meglio continuare a custodire gelosamente la prestigiosa medaglietta. n
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