«Non si separa il cibo dalla natura»
Due visioni in opposizione di un settore della nostra economia che vale 70 miliardi l’anno di export. Da una parte, quella d’impronta «industriale» della nuova Unione Italiana Food, sostenuta da Confagricoltura. Dall’altra, chi vuole promuovere le esigenze e le ragioni dei piccoli imprenditori che si oppongono rifiutano la logica delle multinazionali. Ettore Prandini, presidente di Coldiretti ed esponente di questo fronte, ne parla con Panorama.
«Che sia una nuova «battaglia del grano»? Potrebbe essere, visto che coinvolge Paolo Barilla, la sua Unione Italiana Food, la Confagricoltura ormai avviati sulla strada che Mediterranea è un marchio e non un modo di produrre. Lo scontro è tra chi pensa che l’agricoltura sia fatta di commodity, di merci di massa, e sia ancella all’industria e chi invece difende il primato delle produzioni, il reddito di chi coltiva e insiste perché la dieta mediterranea sia un valore culturale. Primo alfiere di questo fronte è Ettore Prandini, presidente di Coldiretti.
Il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti vi accusa di boicottare Mediterranea, che lui propone come modello per sviluppare il mercato delle filiere italiane. Dove sta la ragione, Prandini?
«Mi soffermo sulle dichiarazioni di Paolo Barilla, presidente di Unione Italiana Food. Ha affermato che le industrie a questa associate acquistano il 70 per cento dei prodotti agricoli italiani. Non è vero. Basta considerare che filiere centrali come vino, olio, carni, formaggi non sono rappresentate da quella realtà. Non possiamo generare confusione nei cittadini, non possiamo ingannare i consumatori e far credere alle istituzioni ciò che non rappresenta la verità. Barilla, da presidente di Unione Italiana Food, ha voluto un’associazione che gioca sul’equivoco già nel nome: Mediterranea. Ci sono responsabilità chiare in questa vicenda. È stata fatta una scelta. Prima lanciando Unione Italiana Food, che mette insieme per lo più aziende di merendine, dolci, caramelle e medicinali: il regno dell’ultra-processato e della farmaceutica alimentare. Quelli che vedono il cibo come separato da natura e agricoltura, già questo ci pare una stridente contraddizione. Poi Unione Italiana Food finisce per funzionare da cavallo di Troia per gli imperi multinazionali. Così si svende una storia».
Giansanti afferma che Mediterranea aiuterà anche i piccoli produttori...
«Il presidente di Confagricoltura sostiene che questa alleanza con Unione Italiana Food incrementerà la crescita del nostro settore a beneficio, non solo delle multinazionali, ma di tutte le aziende fino alle più piccole. È un’altra contraddizione in termini. Le multinazionali sono il simbolo delle commodity, del prezzo globale. Si pensi a cosa succede nel nostro Paese: il settore cerealicolo è in forte difficoltà; le rese per superficie quest’anno avranno un calo del 50 per cento e il prezzo con minor prodotto dovrebbe aumentare. Invece succede il contrario, perché arriva grano d’importazione di cui è lecito dubitare in termini di qualità e dell’italianità, sia nel mondo agricolo sia nell’industria o nella cooperazione. È possibile immaginare che si possano coniugare i vantaggi che scaturiscono da Mediterranea per le multinazionali, con gli interessi che hanno le piccole imprese delle coltivazioni?»
Si torna così a un tema centrale nell’Unione europea: l’etichettatura d’origine. Ursula von der Leyen ve l’aveva promessa…
«Abbiamo incontrato la presidente della Commissione Ue pochi giorni fa e le abbiamo ripetuto che ci aspettiamo
un cambiamento di passo. Su due fronti: la tutela dei prodotti dei campi anche attraverso la smentita di quella folle equazione secondo cui agricoltura e ambiente sono rivali. Purtroppo temo che si tornerà alle vecchie logiche del «Farm to Fork»; se dovesse accadere l’Europa conoscerà la nostra opposizione ferma. Il secondo fronte è l’etichettatura d’origine che significa difesa del lavoro agricolo, della specificità e dell’identità. Si sentono forti richiami all’indice Nutri-score che piace ai soci di Unione Italiana Food. Noi difendiamo il prodotto italiano: se verranno confermati i dati significano 70 miliardi dall’esportazione dei prodotti di qualità. E poi c’è il tema delle risorse. Negli Stati Uniti stanziano 1.400 miliardi di dollari, la Cina è diventato il primo produttore al mondo. Noi europei con 386 miliardi in sette anni rischiamo la colonizzazione».
La battaglia su Mediterranea significa sbarrare la strada alcuni colossi multinazionali, come Nestlè, Mondelez, Lactalis e Unilever? Coldiretti contro il resto del mondo?
«Non solo Coldiretti. Insieme con noi ci sono tante associazioni, anche di consumatori. E poi ci sono il Segretariato permanente comunità emblematiche Unesco della Dieta mediterranea, il comune di Pollica, il Centro studi Dieta mediterranea Angelo Vassallo e il Museo vivente della Dieta mediterranea. La nascita di Mediterranea è un chiaro attacco al Sistema Italia, al made in Italy, è il tentativo di accaparrarsi una quota del valore, inestimabile, rappresentato dalla dieta mediterranea. Realtà che investono sul cibo da laboratorio, che subiscono multe milionarie per pratiche sleali e per ostacoli al commercio che c’entrano con la dieta mediterranea? Parliamo di Unilever, che ha appena annunciato 3.200 licenziamenti in Europa, Mondelez, condannata a pagare oltre 330 milioni di euro di multa per ostacoli al commercio; parliamo di Nestlè, che sostiene l’etichetta ingannevole che è il Nutri-score; e, ancora, Lactalis, multata in Italia per pratiche sleali proprio dopo la nostra denuncia. Con Mediterranea c’è una pianificazione finalizzata alla «disintermediazione» della rappresentanza agricola e in contrapposizione all’idea di costruire filiere italiane eque, giuste e trasparenti. Coldiretti festerggerà a breve i suoi primi 80 anni. Siamo figli e nipoti della riforma agraria voluta da Paolo Bonomi, fondatore della Coldiretti. Siamo quelli che hanno inventato i mercati contadini, la multifunzionalità. Quelli che combattono la carne artificiale e che hanno ottenuto una legge contro le pratiche sleali e che si battono per le etichette trasparenti. Da questa nostra storia nasce il nostro futuro. Unione Italiana Food e Confagricoltura nulla dicono contro l’«italian sounding» che utilizza nomi con assonanze del nostro Paese per commerciare i prodotti».
A suo giudizio, per quale motivo?
«Come ho detto arriveremo a 70 miliardi di euro di esportazione. Se non ci fosse l’imitazione di prodotto italiano quel fatturato estero raddoppierebbe a beneficio prima di tutto degli agricoltori. Barilla è accusata di ingannare i consumatori, marchiando i pacchi di pasta con lo slogan «Italy’s #1 Brand of Pasta» accompagnato dal tricolore. Si tratterebbe di una pratica sleale perché avrebbe indotto i consumatori americani a credere di acquistare una pasta fatta in Italia, mentre in realtà era prodotta con grano americano in stabilimenti degli Stati di New York e Iowa. Vedremo come finirà, ma essere accusati di italian sounding per un importante marchio nazionale è già un’onta. Il giudice ha dato via libera alla «class action», certificandola. Si apre una questione che, in ogni caso, danneggia il made in Italy».