Un’Europa con la paura del debito viene doppiata dagli Stati Uniti
L’Europa è la «cenerentola» economica del mercato globale e la sua strega cattiva si chiama schuldenbremse, cioè «freno del debito».
Un quarto di secolo di egemonia di Berlino nelle scelte di politica economica, dettate dalla paura della Germania per il mancato pareggio di bilancio, che vive i consumi interni come una sorta di peccato mortale, che pensa appunto al debito come un’offesa a Dio, ci hanno portato a perdere tutti i primati continentali. La fotografia - peraltro impietosa - la offre un’istituzione europea che si ritiene (a torto) al di sopra delle parti: la Bce. Nel suo recentissimo bollettino economico l’Eurotower certifica che tra gli ultimi tre mesi del 2019 e l’analogo periodo del 2023 (dunque durante il periodo del Covid) l’economia dell’eurozona è cresciuta del 3 per cento in termini cumulativi (cioè sommando tutte le sue componenti), mentre il Pil reale degli Stati Uniti è aumentato di oltre l’8 per cento. Significa sì un differenziale di oltre cinque punti, ma vuol dire che l’economia americana ha viaggiato a una velocità più che doppia rispetto a quella denominata in euro.
Al di là delle cifre crude, ciò che conta sono le motivazioni che rivelano come appunto sia la cultura della schuldenbremse a bloccare l’Europa. L’America ha puntato sull’espansione dei consumi interni; ha investito con l’«Inflacton reduction act» 738 miliardi di dollari sull’industria, sostenendo per prima quella dell’auto (di qua dall’Atlantico ci siamo affidati ai cinesi per i veicoli a batteria); ha pompato il risparmio verso i settori produttivi per incrementare l’occupazione. Nel Vecchio continente si è puntato al sussidio dei posti di lavoro e non della produzione, si è scelto l’investimento pubblico mantenendo alta la fiscalità. Il risultato è che gli Usa, pur con alta inflazione, non hanno perso domanda, mentre noi abbiamo ridotto i consumi. La certificazione viene da Findomestic: a giugno ha stimato il record negativo (meno 11,2 per cento) della propensione agli acquisti. Le ragioni più evidenti? La fine del Superbonus e i timori per l’impatto del Green deal sul valore delle case. (c.c.)