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Sulla porta dell’est l’Italia si trova davanti Francia e Germania

Sulla  porta  dell’est l’Italia  si  trova  davanti Francia  e  Germania

Parigi e Berlino si muovono per chiedere in sede Ue l’avvio di trattative fra Kosovo e Serbia. Eppure con quest’ultima è il nostro Paese ad avere rapporti strategici e forti scambi commerciali. E il governo di Belgrado preme per un maggiore ruolo di Roma, come dice a Panorama la diplomatica Tatjana Garcevic.


Bistrattati e precipitati nell’oblio da almeno 10 anni, i Balcani sono la nuova area sensibile dell’Europa dopo la guerra russo-ucraina. La porta d’ingresso dell’Est, su cui oggi cercano di affiggere la targhetta di proprietà il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz con un piano di pace, tra Serbia e Kosovo, che rischia di far saltare gli storici interessi italiani nella regione. Il nostro Paese è uno dei primi tre partner strategici di Belgrado. Nel 2022 lo scambio commerciale ha raggiunto i 4,58 miliardi di euro con 600 aziende italiane attive in quel territorio che, tra diretto e indotto, occupano più di 50 mila lavoratori in agricoltura, manifatturiero e terziario. E altre occasioni di sviluppo stanno maturando nei settori della biotecnologia e dell’energia verde come conferma il Business and Science forum che si terrà nella capitale serba, il 21 marzo prossimo, per la sottoscrizione di nuovi accordi bilaterali che vedranno protagoniste oltre 130 imprese tricolori. «La comunicazione e la cooperazione tra le nostre istituzioni, comprese l’ambasciata della Serbia a Roma e la rappresentanza di Confindustria a Belgrado, sono molto vivaci e il dialogo di partenariato è costruttivo. Assistiamo inoltre tante associazioni italiane che hanno espresso l’interesse a essere operative in Serbia, quali Confimea Mediterraneo e Confimea imprese», spiega a Panorama Tatjana Garcevic, ministro consigliere e incaricato d’affari ad interim dell’ambasciata serba.

La prepotente entrata in scena dell’asse franco-tedesco tuttavia potrebbe cambiare a breve lo scenario geopolitico con il ridimensionamento di Roma e il rafforzamento di Parigi e Berlino come attori protagonisti del territorio. Un blitz che è frutto non solo delle ambizioni dei due Stati europei ma anche e soprattutto della sostanziale inerzia del governo Draghi e del suo ministro degli Esteri, il pentastellato Luigi Di Maio, che sulla zona avevano completamente abbandonato ogni iniziativa e presenza politica. «Negli ultimi tempi notiamo invece un maggiore impegno nei confronti dei Balcani occidentali sia da parte del governo del premier Giorgia Meloni, che si è incontrata in occasione del vertice europeo tenutosi a Tirana con il presidente della Serbia, Aleksandar Vucic, sia da parte della diplomazia guidata dal ministro Antonio Tajani, che ha visitato Belgrado insieme al ministro della Difesa Guido Crosetto, nel novembre dell’anno scorso» sottolinea ancora la Garcevic. Quanto però questo ritrovato attivismo possa servire a proteggere le posizioni italiane nei Balcani è difficile prevederlo.

«Il presunto nuovo piano di pace tra Pristina e Belgrado, pur sotto l’egida Ue, ricalca, sostanzialmente, il patto di Bruxelles del 2013 che non ha mai trovato reale e completa applicazione» commenta con Panorama una fonte della Farnesina «tant’è che restano irrisolte le criticità relative al riconoscimento della statualità del Kosovo, dichiaratosi indipendente nel 2008, e la costituzione dell’associazione di municipalità serbe nel nord del Kosovo che, invece, è a maggioranza albanese-musulmana». Ai nostri diplomatici, insomma, il programma di normalizzazione ideato da Macron e Scholz sembra più un escamotage per una penetrazione commerciale che un vero modello di «peacekeeping». E non bastano certo le parole di circostanza rivolte al governo Meloni dall’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell, il 27 febbraio scorso, al summit coi leader kosovaro, Albin Kurti, e serbo, Vucic, per mitigare la delusione per l’esclusione dai tavoli delle trattative.

Che il nostro Paese sia garanzia di equilibrio lo conferma lo stesso incaricato d’affari di Belgrado. «La Serbia apprezza l’impegno dell’Italia per il mantenimento della pace e della stabilità nei Balcani occidentali così come per una maggiore prosperità economica» sottolinea «e prova soddisfazione per la sua volontà di essere più presente nella regione». Eppure allo stato attuale, il nostro impegno politico (al di là del successo commerciale del sistema industriale tricolore) appare confinato in ruoli ancora simbolici, ma poco operativi. Come la partecipazione alla forza militare internazionale Kfor.

«Nutriamo una particolare gratitudine nei confronti dell’Italia per il fatto che le sue Forze armate proteggono il monastero ortodosso Visoki Decani, una delle massime espressioni del patrimonio culturale medievale del XIV secolo, e al contempo uno dei quattro beni culturali in Kosovo e Metochia che si trova sulla lista dei patrimoni dell’umanità in pericolo tutelati dall’Unesco» conferma Garcevic. Ma Roma può accontentarsi di avere solo un ruolo da «monuments men» mentre Parigi e Berlino si prendono la scena? Evidentemente no. Soprattutto in vista dei negoziati per l’adesione di Kosovo e Serbia all’Ue, Francia e Germania possono far valere tutto il loro peso politico in cambio di spazi economici e commerciali nell’area. Spazi che oggi sono dell’Italia.

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