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(Ansa)
Politica

Il sultano rilancia

Il presidente turco Erdogan si conferma nel ruolo cruciale di ago della bilancia. Mantiene buoni rapporti con l’Europa e la Nato, ma anche con la Russia. Vuole accrescere il suo ruolo in Africa, senza dimenticare gli stimoli all’economia interna.

«Imam Beckenbauer»: così era soprannominato Recep Tayyip Erdogan quando, da giovane, giocava a pallone. E si direbbe che ancora oggi ami darsi al calcio, anche se per fini politici. Al potere da oltre 20 anni in Turchia, presidente dal 2014, è «sceso in campo» per gli Europei difendendo la star della nazionale, Merih Demiral, punito dall’Uefa dopo aver esultato per un gol con il simbolo ancestrale e nazionalista del lupo. Il Paese si è riconosciuto negli strali del leader e, alla fine, per il settantenne «sultano» è stato come un gol segnato in patria. Un successo necessario di questi tempi: dopo la cocente sconfitta di marzo alle elezioni amministrative, Erdogan è sempre più attivo in politica interna e internazionale. «Ha già iniziato a muoversi per potersi candidare un’altra volta» spiega Carlo Marsili, ex ambasciatore italiano ad Ankara, «il gusto del potere non gli fa difetto ed è consapevole che con un diverso candidato il proprio partito difficilmente riuscirebbe ad affermarsi».

Per il terzo mandato, però, bisogna cambiare la Costituzione con un voto parlamentare di due terzi o attraverso un referendum. Strade difficilmente percorribili per la ritrosia dell’opposizione o il rischio di venire sconfessato dall’elettorato. L’attuale sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, potrebbe battere il presidente se ottenesse l’investitura dal Partito repubblicano del popolo, Chp, socialdemocratico, che ha ottenuto a fine marzo il 37,7 per cento dei voti rispetto ai 35,4 dell’Akp (Giustizia e libertà) di Erdogan. Non a caso quest’ultimo ha aperto un’inedita fase di dialogo proprio con i principali oppositori sulla riforma della Costituzione, lo stato di diritto e la situazione economica del Paese.

La vera partita politica si giocherà sulla crisi dell’economia, che «migliora, ma la Turchia soffre ancora e la gente non è contenta» osserva Francesco Comotti, consulente d’affari Ankara-Ue. «Erdogan, però, possiede un’abilità straordinaria nel recuperare consenso». Il governo ha avviato una politica di riforme e austerità per uscire dalla crisi. L’obiettivo è ridurre l’inflazione che a luglio è scesa al 71,6 per cento rispetto al picco di maggio, ma non abbastanza. Il ministro del Tesoro e delle Finanze, Mehmet Šimšek, assicura «che il peggio è passato» e prevede un calo dell’inflazione a fine anno al 38 per cento.

La stima di crescita è del 3. I rapporti commerciali con l’Italia vanno a gonfie vele con un’impennata delle nostre esportazioni che ha segnato picchi del 40 per cento fra il 2021 e il 2022. Nei primi quattro mesi di quest’anno, l’interscambio tra il nostro Paese e la Turchia, poco più di 10 miliardi di euro, ha registrato un incremento del 23,1 per cento sul 2023. Comotti sottolinea che «il governo Meloni si sta avvicinando ai rapporti ancora più stretti che c’erano fra Erdogan e Berlusconi». Il 16 e 17 luglio a Reggio Calabria si è svolta la riunione ministeriale Commercio G7 sotto la presidenza italiana. Il vice premier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha annunciato che «apriremo le porte del G7 a interlocutori che riteniamo prioritari per affrontare le grandi questioni dell’economia mondiale» elencando la Turchia oltre a giganti come il Brasile e l’India.

«Il turismo è uno dei volani economici del Paese anche per l’importazione di valuta pregiata» sottolinea Comotti. Nei primi cinque mesi del 2024 sono 17,8 milioni i turisti che hanno scelto la Turchia per le vacanze, cioè +12,7 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il ministro della Cultura e del Turismo, Mehmet Nuri Ersoy, ha annunciato che potrebbero arrivare a 60 milioni entro dicembre. Nel 2028 salirebbero a 90. Lo scorso anno al primo posto c’erano 6,4 milioni di russi: «Arrivano spesso con pacchi di soldi in contanti. Oppure saldano al tour operator in Russia prima di partire» aggiunge Comotti. Non sono solo visitatori mordi-e-fuggi, ma acquistano case di vacanza. I tedeschi sono al secondo posto nel 2023 (6,2 milioni), ma in gran parte si tratta di turchi che vivono da tempo in Germania. Da gennaio a maggio oltre due milioni i turisti turchi con permessi di residenza all’estero spendono valuta pregiata nella terra d’origine.

In Germania i turchi sono circa tre milioni, la più grossa fetta della diaspora nel mondo. Il 70 per cento ha «stravotato» Erdogan alle ultime elezioni. Per questo è diventato un caso di Stato la squalifica del giocatore della nazionale Demiral agli Europei, per aver alzato le braccia e riprodotto con le dita il simbolo del movimento dei Lupi grigi, in Germania bollata come pericolosa formazione di estrema destra. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha subito espresso indignazione, ma in realtà il simbolo ha origini mitologiche. I media di Ankara hanno gridato al «razzismo» ed Erdogan si è presentato dell’Olympiastadion snobbando le autorità di Berlino, per assistere ai quarti di finale con l’Olanda poi persi dalla Turchia allenata da Vincenzo Montella. Il presidente ha attaccato la Uefa: «Non è una punizione al calciatore, ma all’intera Turchia». C’è da dire che il partito di Erdogan è al governo con l’Mhp, la versione istituzionalizzata dei Lupi grigi...

La Turchia, che ha il secondo esercito della Nato, è l’alleato meno allineato e controllabile, che flirta con russi e cinesi dichiarati nemici numero uno dal recente summit di Washington. Erdogan ha partecipato alla riunione dei Brics in Russia a giugno e, in Kazakistan a inizio luglio, al vertice dello Sco, un’organizzazione sulla sicurezza con russi e cinesi. All’inizio di giugno, però, si è sbloccata con gli Usa la vendita di 40 nuovi F-16 e di 80 kit per l’ammodernamento dalla flotta di caccia di Ankara. «Per ragioni geostrategiche e storiche la Turchia deve necessariamente cercare di avere buoni rapporti con la Russia» dice ancora l’ex ambasciatore Marsili. «Non applica le sanzioni, mantiene i collegamenti aerei e i flussi turistici, si assicura la fornitura energetica da Mosca a prezzi contenuti, ma ha fornito droni all’Ucraina». Erdogan è stato l’unico, fino ad ora, a ottenere qualcosa nella mediazione sul conflitto, dall’esportazione del grano allo scambio di prigionieri. Il vero nemico del neo sultano è Israele, dopo l’invasione di Gaza: a tal punto che Erdogan ha accolto con tutti gli onori Ismail Haniyeh, il leader di Hamas in esilio.

Il movimentismo internazionale del presidente turco prevede anche una svolta a U sul conflitto in Siria. «Erdogan ritiene che sia ormai giunto il momento di ricucire con il presidente siriano Bashar al-Assad dopo la rottura del 2011, servendosi anche di una mediazione irachena» spiega Marsili. «Dopo aver inflitto perdite consistenti al Pkk, l’organizzazione insurrezionale curda, anche grazie a mirati interventi nel Kurdistan iracheno, la Turchia si trova con circa quattro milioni di rifugiati siriani sul proprio territorio, che stanno creando problemi molto seri». La popolazione è sempre più insofferente. Marsili fa notare che «l’opposizione di sinistra in Turchia è ben più contraria all’immigrazione irregolare e all’accoglienza di quanto lo sia il governo, che ha cercato di trarre qualche vantaggio elettorale concedendo la cittadinanza turca a un certo numero di siriani».

L’influenza di Erdogan si allarga anche in Africa cozzando, talvolta, con gli interessi italiani. La presenza militare in Libia assicura alla Turchia un ampio sbocco nel Mediterraneo orientale con relative prospezioni energetiche. Il sistema di penetrazione si basa su investimenti e sostegni economici facilitati dall’apertura delle rotte della Turkish Airlines da Istanbul su quasi tutte le capitali africane compresa Mogadiscio, dove Ankara ha un ruolo importante come a Tripoli. Non solo: i turchi hanno venduto i famosi droni Bayraktar al Niger e al Burkina Faso, in concorrenza ai russi, e starebbero reclutando con la compagnia di sicurezza Sadat volontari siriani da mandare nell’area nigerina dei «tre confini», infestata da banditi e jihadisti. «In generale la politica estera turca può non piacere» conlude Marsili «ma è comprensibile se si tiene presente la collocazione geostrategica del Paese tra Europa e le turbolenze mediorientali. Non va per conto proprio: agisce piuttosto secondo la logica dell’interesse nazionale».

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Fausto Biloslavo