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Il prossimo lavoro di Maurizio Landini

Il prossimo lavoro di Maurizio Landini

L’editoriale del direttore

C’è il sospetto che Landini con gli scioperi faccia la sua personale campagna elettorale, pagata dai lavoratori per fargli ottenere un posto di lavoro in futuro.


Un paio di numeri fa, in questa rubrica, cercavo di rispondere a una domanda che mi aveva rivolto Mario Giordano durante una delle puntate del suo programma tv: perché in Italia abbiamo stipendi più bassi rispetto a quelli che i lavoratori ricevono in Germania o in Francia? Nell’editoriale segnalavo una strategia sindacale che non mi pareva la più azzeccata, se intesa come politica per ottenere buste paga più pesanti. A fronte di un maggior numero di ore di scioperi, il nostro Paese confermava il poco lusinghiero titolo di guidare la classifica delle economie più avanzate, ma con le retribuzioni più basse. Dove sta l’errore? Forse nell’avere uno dei sindacati più organizzati d’Europa?, mi chiedevo. Oppure in strategie sbagliate da parte di chi dice di voler difendere il lavoro? Probabilmente la risposta sta in mezzo. Ma forse sta anche in un sistema dove la commistione di ruoli non aiuta.

Il motto di questo giornale per lungo tempo era sintetizzato in poche parole: i fatti separati dalle opinioni. Ma certe volte non si riescono a separare le due cose in quanto intimamente legate. In questo caso, come si possa separare la strategia della maggiore confederazione dalle ambizioni del proprio leader. Da anni si discute del ruolo politico del suo segretario, Maurizio Landini. Già quando era alla guida della Fiom i giornali, soprattutto quelli a lui vicini, gli attribuivano progetti politici, in particolare l’intenzione di creare un nuovo partito della sinistra. L’idea di fondare uno schieramento partendo dal sindacato è un vecchio pallino, che a un certo punto sembrava fosse l’obiettivo di Sergio Cofferati, il quale giunto a fine carriera come segretario della Cgil organizzò una grande manifestazione al Circo Massimo che, secondo le indiscrezioni, avrebbe dovuto costituire il suo debutto sulla scena nazionale come leader politico.

In realtà, non accadde nulla di tutto ciò e poco tempo dopo, colui che era considerato il nuovo astro nascente della sinistra, finì a fare il sindaco poco amato di Bologna e poi non si ricandidò, preferendo un posto da europarlamentare, più tranquillo e anche meglio remunerato. Pure di Landini adesso si dice che voglia buttarsi in politica e se ne parla addirittura come del possibile federatore della sinistra, uno schieramento che dovrebbe andare dai Democratici fino ai Cinque stelle per potersi candidare un domani a competere con il centrodestra. Elly Schlein è già data da tutti per spacciata, al punto che si parla di un nuovo cambio al vertice dopo le elezioni europee che gran parte del Pd dà per perse in partenza. Via la compagna con al seguito l’armocromista, nelle passate settimane si era prospettato un possibile nuovo segretario nella persona di Paolo Gentiloni, che con il voto in primavera e la nuova commissione Ue perderà il posto di commissario a Bruxelles. Rimasto disoccupato, l’ex premier sarebbe considerato la persona giusta dalla componente più moderata del partito per guidarlo nei prossimi anni.

Ma qui entra in gioco Landini, che nel 2024 festeggerà il suo quinto anniversario da segretario della Cgil e, considerando che in media i leader restano in sella per otto anni e dunque lui pensa anche al proprio futuro, non immagina di certo per sé un avvenire prossimo venturo da pensionato. I giornali ne parlano con insistenza, perché l’ex saldatore di San Polo d’Enza avrebbe i titoli per accontentare la base, ma anche per costruire alleanze con altri partiti. Quarant’anni da sindacalista (come funzionario ha percorso tutti i gradini, fino a diventare nel 2005 il capo dei metalmeccanici Cgil) rappresentano un bel curriculum, che probabilmente Landini pensa di impiegare proficuamente per la sua nuova vita, evitando di finire come tutti i leader della Cgil, da Luciano Lama a Susanna Camusso, cioè a scaldare una poltrona, fosse anche prestigiosa come quella di parlamentare o di ministro del lavoro (incarico che è riuscito a conquistare solo Cesare Damiano, ex segretario aggiunto della Fiom).

Naturalmente è legittimo che il numero uno del più importante sindacato aspiri a un dopo e voglia per sé qualche cosa che gli consenta di non stare in panchina. Tuttavia, mi permetto di sottolineare un aspetto che invece mi sembra un po’ meno accettabile. All’improvviso e senza neppure chiarire bene le ragioni delle sue scelte, il segretario della Cgil è salito sulle barricate, proclamando scioperi generali e contestazioni a raffica. Tra le motivazioni della protesta ha messo pure il premierato, cioè la riforma tanto cara a Giorgia Meloni. Vi chiedete che cosa c’entri una legge costituzionale che regoli le funzioni del presidente del Consiglio con le condizioni salariali di lavoratori e pensionati? Non c’entra niente, ma pur di scioperare, Landini ci ha messo anche quella.

A questo punto, si ha la sensazione che l’agitarsi del segretario della Cgil non abbia nulla a che fare con la manovra finanziaria, ma molto a che fare con le manovre per garantirsi un ruolo una volta lasciata la sede di corso Italia. In altre parole, ho il sospetto che Landini con gli scioperi faccia la sua personale campagna elettorale, pagata dai lavoratori per fargli ottenere un posto di lavoro in futuro.

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