La marina di Nicolás Maduro dispone oggi di un battello subacqueo che viene prodotto nel nostro Paese. Piccolo, maneggevole, con ottima tecnologia, com’è arrivato in Venezuela? Mistero. Il sospetto dei servizi statunitensi, però è che possa essere utilizzato per spedizioni di droga o, peggio, in attacchi terroristici.
Mini sottomarini italiani usati dal regime del Venezuela – tre dei quali arrivati con una «triangolazione» da Cuba – simili a quelli usati dai narcotrafficanti per trasportare cocaina, marijuana e fentanyl, il devastante oppioide sintetico che dalla città cinese di Wuhan, la stessa del coronavirus, ha invaso gli Stati Uniti via Messico negli ultimi anni. Ci sarebbe materiale per scriverci un romanzo di spionaggio alla John Le Carré, invece è la realtà sudamericana che sempre più spesso supera la fantasia.
Dopo il traffico del coltan tra Trieste e Caracas di cui Panorama si è occupato ampiamente (n.32 dello scorso 5 agosto), è venuto alla luce un altro legame scomodo per Roma, uno scandalo potenziale che unisce il nostro Paese, una democrazia occidentale, al potere castrochavista di Nicolás Maduro. Casus belli, un mini sottomarino VAS 525 costruito dalla Giunio Santi Engineering, la GSE Trieste, azienda tra le migliori al mondo nel settore della progettazione di piccoli battelli subacquei.
Un fiore all’occhiello della nostra Marina se è vero che viene utilizzato dal nostro Comsubin, il prestigioso Comando raggruppamento subacquei e incursori Teseo Tesei, e che quattro anni fa il modello in questione della GSE Trieste fu addirittura testato dagli Us Navy Seals, le forze speciali della Marina statunitense: le stesse che – lo ricordiamo – furono protagoniste del raid in Pakistan terminato con l’eliminazione di Bin Laden nel 2011.
Il «top del top» del settore insomma, soprattutto dotato di una tecnologia militare considerata all’avanguardia e giustamente protetta dall’Italia, anche se molti Paesi in passato hanno cercato di carpirne segreti e informazioni, dall’Iran alla Corea del Nord. Ora, come rivelato su Forbes dall’analista militare H.I. Sutton grazie a «fonti aperte di intelligence», un mini sub VAS 525 è stato avvistato a Puerto Cabello, in Venezuela, a inizio settembre.
Impossibile che la vendita possa essere stata fatta direttamente dalla GSE Trieste con l’approvazione del governo italiano: l’Italia è un Paese della Nato e il regime di Maduro è sotto embargo statunitense, non solo petrolifero ma anche per gli armamenti usati dall’Occidente nel settore dell’antiterrorismo e dello spionaggio. Anche perché, secondo quanto rivelato da Sutton, il mini sub modello italiano avvistato a Porto Cabello nell’Ucocar, il cantiere navale militare che ripara navi e sommergibili della Marina chavista, si trova lì da un po’ di tempo, anche se ora sarebbe pronto per solcare i mari. «Il mistero è come il regime del Venezuela abbia ottenuto i piani per la costruzione del sottomarino italiano» scrive Sutton sulla rivista. Una possibilità è che sia stato acquistato da Corpoelec, la compagnia statale dell’energia elettrica, prima che le sanzioni internazionali contro la dittatura entrassero in vigore due anni fa.
Fino allo scorso anno Corpoelec era presieduta dal generale Luis Motta Domínguez, sulla «lista nera» degli Stati Uniti per riciclaggio di milioni di dollari in Florida; ma soprattutto, a detta della Dea – l’agenzia antidroga americana – un membro del Cartello de los Soles, l’organizzazione narcos dei generali chavisti al cui vertice ci sarebbe lo stesso Maduro.
Motta Domínguez aveva la disponibilità di un VAS-525 SL Mk2 e avrebbe potuto «girarlo» alla Marina, in particolare all’ammiraglio Remigio Ceballos, nominato da Maduro nel 2017 alla guida del Comando operativo strategico delle Forze armate bolivariane, anche lui sulla «black list» statunitense per violazioni dei diritti umani. Altre possibilità è che del mini sub italiano siano stati acquistati solo i piani dettagliati del progetto o, forse ancora più probabile, che ne sia stato venduto un esemplare già impiegato sul mercato nero. La cosa certa è che ora il regime di Maduro possiede il know how per produrre su larga scala piccoli sottomarini di modello italiano.
Lunghi sette metri e larghi due, sotto il guscio esterno hanno uno scafo a pressione in acciaio resistente. All’interno possono trovare posto un pilota e quattro passeggeri o, in alternativa, un carico di circa 500 chilogrammi; hanno una capacità di immersione fino a 160 metri di profondità, navigando a una velocità di sette miglia l’ora. Sull’esistenza di sottomarini sinora sconosciuti e sull’utilizzo che ne farebbe il Venezuela offre ulteriori elementi l’intervista fatta il 7 settembre scorso a un vice ammiraglio da Sebastiana Barráez, la più temuta (dal regime) giornalista investigativa venezuelana, soprattutto quando si tratta di temi militari. «Sì, in Venezuela abbiamo alcuni sottomarini, potrei definirli come un ibrido tra un sottomarino e un sommergibile artigianale come quelli usati dal narcotraffico ma, ovviamente, con maggiore tecnologia» spiega un alto graduato della Marina venezuelana che per ovvie ragioni non ha voluto rivelare la sua identità. E aggiunge: «Non so se il modello che ha visto Sutton sia uno di quelli inviati da Cuba. Sì, perché l’Avana ha fatto arrivare tre di questi mini sommergibili in Venezuela e la loro idea era costruirne altri. Per me non è una novità e sono certo che l’intelligence statunitense conosce tutti questi dispositivi».
Di certo c’è che adesso sia a Washington che a Roma lo sanno. Così come è sicuro che questa rivelazione rafforza il sospetto di legami inconfessabili tra la dittatura di Caracas e l’Italia, oltre ad avere possibili liaison con il boom del narcotraffico gestito dallo Stato venezuelano, per finanziarsi con la droga oltre che con l’oro e il coltan esportato di contrabbando. Sottomarini di quel formato ridotto e simili al modello italiano sono dunque usati dai trafficanti di droga per trasportare la cocaina del Cartello de los Soles di Maduro in Florida; anche se ufficialmente finora nessuno sarebbe stato intercettato dallo Us Southern Command che, da mesi, pattuglia il Mar dei Caraibi di fronte al Venezuela, diventato oramai uno dei più importanti hub di traffico di droga planetario. Solo dallo scorso aprile a oggi, comunque, sono state sequestrate dagli Stati Uniti oltre 50 tonnellate di droga, soprattutto cocaina e quasi tutte provenienti dal Venezuela.
Ma a preoccupare seriamente c’è un altro aspetto, come spiega a Panorama Joseph Humire, a capo del think tank di Washington Center for a secure free society. «Con la rivelazione sulla presenza in Venezuela di mini sottomarini in dotazione alla Marina chavista si conferma la pericolosità per gli Stati Uniti del regime del Venezuela che, di fatto, oltre al traffico di stupefacenti ha portato l’Iran a poche miglia dalla Florida, dando carta bianca a Hezbollah per operare sul suo terreno». Questi mini sottomarini, infatti, «possono anche essere utilizzati per spionaggio ed eventuali attacchi terroristici, visti gli stretti legami del regime di Caracas con il Partito di Dio» aggiunge l’esperto di sicurezza nazionale. «È l’organizzazione che da anni grazie a Tareck El Aissami (braccio destro di Maduro come ministro delle Industrie e della produzione nazionale di petrolio e ricercato negli Usa come uno dei maggiori narcotrafficanti al mondo, ndr) in Venezuela fa il bello e il cattivo tempo, gestendo non solo miniere d’oro ma anche altri traffici illeciti, dalle armi al narcotraffico appunto, e intrattiene rapporti con il terrorismo internazionale».
È ancora vivo il ricordo dell’attacco al cacciatorpediniere Uss Cole, il 12 ottobre del 2000, in Yemen. In quel caso Al Qaeda usò un’imbarcazione carica di esplosivo. Adesso, rincara Humire, «il rischio arriva dai mini sottomarini di cui la dittatura di Maduro dispone» tanto che a Washington si teme «che oltre ai carichi di droga, i mini sub modello italiano possano essere usati anche per compiere attentati nel Mar dei Caraibi. Ecco perché oggi questo è monitorato come mai prima dalle forze dello Us Southern Command». Tra sottomarini non identificati e relazioni altamente pericolose, da questa realtà Le Carré avrebbe di che trarre ispirazione per un altro best seller.