Nel discorso di ieri il premier non ha menzionato la app di tracciamento. Doveva essere un’arma potente e decisiva, sembra sparita nel nulla, tra mille dubbi. Doveva essere un pilastro della strategia del governo per gestire la fase 2, invece dell’applicazione Immuni dopo giorni di polemiche non si parla più, dimenticata da tutti, persino dal Premier Giuseppe Conte che nei 40 minuti di conferenza stampa per la presentazione delle norme sulla Fase 2 non l’ha mai nominata. Mai.
Un paradosso imbarazzante per un sistema che dovrebbe proprio tracciare gli spostamenti degli italiani intervenendo prontamente nel contenimento di nuovi focolai. Per quale motivo?
I dubbi del Copasir
Dal 16 aprile, giorno in cui il commissario straordinario per l’emergenza Arcuri ha ufficializzato con un’ordinanza la scelta dell’applicazione della società Bending Spoons, il processo verso l’adozione di questo sistema di tracciamento ha riscontrato una serie di rallentamenti e criticità. I dubbi più rilevanti sono stati avanzati dal Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, il Copasir, che vuole approfondire meglio i temi legati al rispetto della privacy e non solo.
«Alla luce delle connessioni evidenti tra la persistenza dell’emergenza del Coronavirus e le implicazioni con la sicurezza della Repubblica legate alle circostanze connesse con tale emergenza», il Copasir ha deciso «di intensificare le proprie convocazioni e il ciclo delle attività ad esso connesse».
Il presidente del Comitato, Raffaele Volpi, ha reso noto che sentirà in audizione il ministro della Salute Roberto Speranza oggi 28 aprile, quindi il direttore del Dis, generale Gennaro Vecchione e Roberto Baldoni, vicedirettore per la cybersicurezza del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza della Presidenza del Consiglio, poi toccherà anche al ministro dell’Innovazione Paola Pisano.
Difficile garantire l’anonimato assoluto
«Le criticità sono diverse e riguardano alcuni elementi» dice a Panorama Alessandro Papini dell’Accademia Italiana della Privacy. «Immuni andrà infatti a maneggiare diversi dati sensibili che possono fare gola a molti malintenzionati. L’elemento cardine dell’applicazione, ovvero l’anonimato dei dati, che dovrebbe tutelare le persone in realtà è molto difficile da garantire. Ogni giorno leggiamo di piattaforme e servizi che vengono violati, la sicurezza assoluta non esiste. Inoltre non è affatto impossibile ricostruire i dati in modo da carpire anche informazioni personali e molto spesso questo succede in modo involontario con errori che vengono fatti banalmente dalle persone».
Non a caso, come riferisce il quotidiano DeStandard, qualche giorno fa che proprio l’app usata in Olanda per il tracciamento dei contagi, per un errore umano ha reso accessibili nomi, email, password di centinaia di utenti. «E’ fondamentale che il team che dovrà usare i dati dell’applicazione Immuni sia altamente formato e adeguato a questo compito così delicato, un tema quello del personale molto spesso sottovalutato», continua Papini.
Il controllo dei dati
Un altro elemento critico che parecchi esperti hanno evidenziato è dove saranno custoditi i dati generati dall’applicazione. Secondo quanto dichiarato anche da Arcuri, dati, server e backup rimarranno in Italia e per tutelare gli utenti le informazioni risiederanno esclusivamente sugli smartphone degli utenti. «Al momento nessuno ha ancora scaricato e verificato davvero lmmuni quindi è difficile capire bene quali saranno i meccanismi di archiviazione e accesso ai dati, di sicuro sarà necessario svolgere una accurata attività di controllo e vigilanza sui dati, su come vengono usati, da chi, in quale modo», sottolinea Papini.
Se infatti i dati dovessero essere blindati dentro ai telefonini degli italiani non sarebbe necessario alcun tipo di backup e ma è difficile ipotizzare che per le finalità di analisi e raccolta delle informazioni sugli spostamenti non si useranno degli strumenti locali di elaborazione.
Una app per tutti non è semplice
Inoltre, garantire che l’applicazione di Bending Spoons venga resa disponibile a milioni di utenti italiani è un elemento tutt’altro che semplice da conseguire in poco tempo. Sappiamo che l’app per dare buoni risultati dovrà essere scaricata da almeno il 60/70% della popolazione su dispositivi diversi. Gli smartphone non sono tutti uguali, non tutti usano modelli recenti e le variabili tecniche sono molte.
Lo sanno bene le aziende che sviluppano applicazioni, che devono tenere in considerazioni non solo l’eterogeneità dei dispositivi in circolazione, ma anche le differenze tra i sistemi operativi e le relative versioni. Assicurare che Immuni funzioni su tutti i cellulari in circolazione, dai più vecchi ai più nuovi richiederà parecchio tempo. Inoltre chi installerà l’applicazione sui telefoni degli anziani soli? I minori saranno esclusi dall’uso? Le domande sono ancora molte.
Efficacia da dimostrare
Tra le criticità dell’applicazione Immuni c’è sicuramente il fatto che verrà scaricata solo su base volontaria: una bella scommessa. Ma i dubbi riguardano anche il modo di verificare i contatti. La scelta di usare il Bluetooth tutela meglio la privacy però rischia di non dare informazioni del tutto utili. In primo luogo il Bluetooth, soprattutto quello di ultima generazione 5.0, ha una copertura che può raggiungere nominalmente i 200 metri di distanza.
Quindi se il pericolo avviene con i contatti ravvicinati ma l’applicazione registra la presenza di altri cellulari in un’area decisamente più grande, tutti verranno avvisati? La questione non è chiara anche perché il bluetooth non viene schermato dalle pareti e si può entrare facilmente in contatto persino con persone che abitano addirittura nell’edificio adiacente al nostro. Meglio sarebbe usare il Gps che restituirebbe anche preziose informazioni sugli spostamenti delle persone, però in Italia non sarà possibile.
Proprio questo punto è un nodo da chiarire. Se ad autorizzare l’uso dei dati sul proprio cellulare dovrà essere solo ed esclusivamente l’utente, siamo sicuri che qualora risultasse positivo darà il suo consenso? Non solo, ma se non verrà autorizzato il tracciamento GPS della posizione non si potrà intervenire prontamente in caso un soggetto violi la quarantena. Di converso un soggetto che rimane a casa ma che abita al 1° piano di un grattacielo, il cui appartamento è vicino all’ascensore, potrebbe virtualmente “connettersi” con decine e decine di persone senza essere un pericolo.
E quando torneremo a viaggiare?
La pandemia non finirà rapidamente, potrebbe durare anni e addirittura diventare endemica, ma la vita andrà avanti e con essa anche la possibilità di tornare a viaggiare. Gli spostamenti tra paesi non saranno facili ma la Comunità Europea punta a ripristinare la libera circolazione delle persone nei confini continentali. A quel punto Immuni sarà compatibile con le applicazioni degli altri paesi? I sistemi si parleranno e sarà possibile segnalare un possibile contagio di un italiano che vola a Berlino o di uno spagnolo che farà le vacanze in Sicilia.
La EU vorrebbe che i paesi non andassero in ordine sparso e che venisse adottata una app europea, cosa che appare molto improbabile.
«La situazione è molto intricata e complicata e non è una questione solamente legata alla privacy. Ci sono molti dubbi sulla tecnologia, sulle infrastrutture, sulle modalità di gestione dei dati, sui controlli e su chi dovrà vigilare. C’è il rischio che quando saranno risulti tutti questi dubbi lmmuni sia già vecchia e che sia arrivato prima il vaccino», commenta Alessandro Papini dell’Accademia Italiana della Privacy.