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Terremoto 2016: ricostruzione al rallentatore

Terremoto 2016: ricostruzione al rallentatore

Dopo cinque anni, nel Centro Italia colpito dal sisma le attività stentano a ripartire. Il problema adesso è il rincaro delle materie prime che colpisce l’edilizia. Ma a frenare i cantieri è anche la solita, immutabile burocrazia.


La pandemia ha allungato un’ombra scura anche sulla ricostruzione delle zone del terremoto del 2016 in Centro Italia. Non parliamo dei contagi ma degli effetti del blocco dell’attività economica, durante la fase più acuta del Covid, sull’edilizia. Ora che la macchina si è rimessa in moto, è esplosa la domanda di materiali e le scorte nei magazzini non bastano. Nell’area del cratere sono ripresi i lavori, ma incombe questo nuovo problema.

«Ferro, cemento, legno, elementi isolanti sono diventati introvabili o hanno prezzi proibitivi. Pure le imprese sembrano sparite dal mercato. Trovare chi esegue i lavori è diventato un problema», è la preoccupazione di Michele Franchi, vice sindaco di Arquata del Tronto, e di tutti i primi cittadini del cratere. «Il prezzario dei materiali da costruzione è fermo al pre-Covid, non è stato aggiornato, e le aziende edili avendo scarsi margini di guadagno, si concentrano su cantieri più grandi e sulle ristrutturazioni favorite dal superbonus del 110%». Ma anche per queste ci sono problemi. «Il vantaggio fiscale ha limiti temporali che non si conciliano con quelli della burocrazia. Se ci sono abusi da sanare, l’erogazione dei contributi pubblici rallenta. L’impresa edile dovrebbe anticipare il costo dei materiali, ora rincarati, e quindi rinuncia ai piccoli cantieri» commenta Franchi.

A breve è il quinto anniversario del terremoto che ha raso al suolo 138 Comuni tra Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio e ai numerosi problemi causa di lentezze, ora si è aggiunta l’«eredità» del Covid. Un ostacolo che è stato sottovalutato ma che rischia di compromettere la ricostruzione. Una prima risposta è l’aumento del contributo pubblico ma non basta a compensare il rincaro dei materiali. L’edilizia potrebbe fare da volano all’economia locale in affanno. Nelle Marche sono circa 1.230 le imprese di ogni settore che hanno deciso di spostarsi lontano dai borghi. Le realtà più vicine all’epicentro del sisma hanno avuto un crollo di fatturato del 12%, secondo i numeri di Bankitalia.

Da quel 24 agosto del 2016 poco è cambiato. La ricostruzione privata procede con fatica e quella pubblica è praticamente ferma. Ci sono ancora 7.500 persone che vivono nelle casette prefabbricate, le Sae, che avrebbero dovuto essere solo una soluzione di emergenza e 28.000 sono in affitto in appartamenti pagati con i contributi pubblici. Eppure si sono avvicendati quattro commissari straordinari e sono state emanate oltre 100 ordinanze. Una bulimia normativa alla ricerca della formula giusta per far aprire i cantieri.

Il sisma ha colpito, in modo più o meno grave, circa 80.000 immobili, ma a fine giugno, i progetti presentati erano solo 20.652 e i cantieri aperti 5.500. Conclusi, con la consegna degli edifici, circa 5.000. I soldi per i lavori non mancano. Sono stati erogati 996 milioni di euro anche se i contributi richiesti dai proprietari danneggiati superano abbondantemente i 4 miliardi. Dei 20.000 progetti presentati finora, circa metà sono arrivati quest’anno. È come se negli ultimi quattro anni, tutto fosse rimasto congelato. Nei 12 mesi terminati a giugno scorso sono state presentate 6.704 richieste di contributo per i lavori che rappresentano un terzo delle domande complessive presentate e ne sono state approvate 5.118, cioè la metà di quelle raccolte a partire dal 2016.

Qualcosa si sta muovendo, confermano i sindaci, perché sono caduti alcuni paletti burocratici anche se tanti nodi devono essere ancora sciolti. Il commissario in carica dal 2020, Giovanni Legnini, ha ricevuto poteri straordinari ed emanato una serie di ordinanze in deroga alla legislazione ordinaria, per accelerare i tempi. Perché non è stato fatto prima? «Noi sindaci abbiamo chiesto subito leggi speciali perché consapevoli che, con la normativa vigente, era impossibile aprire subito i cantieri. Ma nessuno ci ha ascoltato» afferma Nicola Alemanno, primo cittadino di Norcia, che ha visto la Basilica di San Benedetto sbriciolarsi sotto i suoi occhi.

Tutto transennato da cinque anni. La gru, che segna l’avvio della ricostruzione, dovrebbe essere installata entro l’estate. Ma per le mura, il cimitero e i luoghi di culto e altri edifici storici bisognerà attendere ancora. «Abbiamo 62,5 milioni di euro a disposizione» dice Alemanno. Al sindaco sembra quasi una vittoria ma è anche trascorso un quinquennio. E l’edilizia privata? Il sisma ha danneggiato 850 edifici più 1.500 in modo grave. Sono attesi 2.500 progetti ma finora i cantieri aperti sono circa 500, mille hanno avuto l’autorizzazione ma i lavori si sono conclusi solo per 250.

Tra i fattori del rallentamento, in alcune aree, ci sono i divieti paesaggistici. «Siamo inseriti in due parchi e sottostiamo a vincoli idrogeologici» spiega il vice sindaco di Arquata Franchi. Il piccolo comune ha 2.000 edifici privati inagibili. Finora sono stati presentati 180 progetti, ma i lavori sono terminati solo per 40 immobili. «Ci sono ancora macerie da smaltire» aggiunge. Anche il primo cittadino di Visso, Gian Luigi Spiganti Maurizi, solleva la stessa criticità. «Non sappiamo più dove portare i detriti delle demolizioni. Le discariche sono esaurite».

Sembra incredibile, ma sui luoghi del sisma si parla ancora di macerie. A Visso le scosse hanno raso al suolo l’80% delle abitazioni. Su circa un migliaio di immobili, però, solo una decina sono stati effettivamente ricostruiti. «Abbiamo 170 progetti pronti, circa 20 partiti. Ma un ingegnere edile mi ha detto che ha difficoltà a trovare i materiali. Ferro e legno sono spariti o si vendono al doppio» dice preoccupato.

C’è poi il problema del personale come denuncia Mauro Falcucci, sindaco di Castelsantangelo sul Nera. «Continuiamo a lavorare con i precari. La legge di Bilancio ha sciolto questo nodo ma le circolari applicative non sono ancora arrivate. Non possiamo stabilizzare i dipendenti che, appena trovano di meglio, ci lasciano. E le pratiche si accumulano».

Ad Amatrice, dove il terremoto ha distrutto 5.000 abitazioni, i primi due condomini con oltre 80 unità immobiliari dovrebbero essere consegnate tra due mesi. È attivo invece da un paio d’anni il nuovo polo scolastico. Per altre opere si è alla fase di studio e di affidamento dei lavori. Il cantiere dell’ospedale è stato avviato a novembre scorso e dovrebbe chiudersi tra un paio d’anni mentre per l’Istituto alberghiero i lavori sono cominciati da alcuni giorni. Inaugurato di recente l’Auditorium. Nel centro storico la ricostruzione è appena partita e la quasi totalità della popolazione è ancora alloggiata nei prefabbricati o è in affitto.

«Nei tre anni successivi al sisma non si è fatto niente, ora qualcosa si sta muovendo» racconta il sindaco Massimo Bufacchi. «Le macerie sono state quasi interamente sgombrate ma rimangono depositate dove è in corso un’indagine della magistratura o c’è un interesse delle Belle Arti». La ricostruzione privata è fortemente condizionata dal ripristino delle opere pubbliche che è all’anno zero. Sono 4.000 quelle danneggiate di cui 3.000 chiese ma solo una minima parte è stata finanziata. Il primo programma prevede 1.300 opere per le quali sono stati impegnati 1,8 miliardi e finora spesi 400 milioni. Solo da un paio di settimane, è arrivato il via a 220 interventi con le ordinanze speciali di Legnini. È in corso una ricognizione per definire un secondo elenco che dovrebbe contenere circa 4.000 opere e 3.000 chiese. Difficile credere che dopo tanto tempo, il traguardo sia ancora così lontano.

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