L’accademico Vincent Tournier è sotto la protezione della polizia dopo la «fatwa» lanciata contro di lui lo scorso 4 marzo. Per la prima volta, con Panorama, rilascia un’intervista a un giornale. La sua colpa? Tenere un corso universitario sui musulmani nella Francia moderna. È una vicenda che ricorda quella dell’insegnante Samuel Paty, decapitato dopo una lezione sulle vignette di Maometto. Sintomo di un’intolleranza dilagante.
Il professor Vincent Tournier adesso è sotto protezione della polizia. La «fatwa» lanciata all’Istituto di studi politici di Sciences Po, a Grenoble, porta il suo nome. È la mattina del 4 marzo scorso quando, arrivando in facoltà, scritto a caratteri cubitali all’ingresso dell’ateneo, accanto alle scritte «i fascisti nelle nostre aule» e «l’islamofobia uccide», vede il suo cognome e quello del collega Klaus Kinzler. La colpa: tenere un corso dal titolo «Islam e musulmani nella Francia contemporanea». Non siamo in Iran o in Arabia Saudita, ma nella democratica Francia. Eppure, anche qui, una scritta che potrebbe apparire una bravata può equivalere a un invito al linciaggio. Tant’è che due giorni dopo il procuratore della città ha aperto un’indagine. L’accusa di islamofobia è, infatti, il nuovo «psicoreato». Basta il sospetto.
La Francia ha la popolazione islamica più numerosa d’Europa (otto milioni di musulmani pari al 10% degli abitanti): a predicatori e imam estremisti non è necessario invocare direttamente la punizione più severa per i nemici di Allah. Basta individuare un bersaglio: nella comunità ci sono tanti radicalizzati pronti a colpire. L’attentato alla cattedrale di Notre Dame, nel centro di Nizza, lo scorso ottobre, è l’ultimo esempio. Bilancio: tre vittime e un ferito grave.
Tournier, professore di Scienze politiche, opinionista del quotidiano Atlantico, autore di molte pubblicazioni scientifiche su islam, immigrazione ed Europa, oggi rischia lo stesso destino di Samuel Paty – l’insegnante delle medie decapitato il 16 ottobre 2020 dopo una lezione sulle vignette di Maometto. Il docente sa di essere nel mirino per aver espresso un’opinione diversa dal pensiero dominante secondo cui l’Islam è sotto sorveglianza da parte dello Stato francese. Ma è solo l’ultimo della lista. A Tolosa, Marsiglia, Trappes, Nîmes, Lione, Noisy-le-Grand, Savigny-le-Temple, Nizza ci sono professori sotto scorta per aver tenuto lezioni su islam e libertà d’espressione negli ultimi mesi. Finora Tournier aveva parlato solo tramite il suo avvocato.
Come sta, professore?
«Sono più sereno di quel che mi aspettassi. Credo dipenda dal non avere il minimo senso di colpa. Ho solo fatto il mio dovere senza sottomettermi ai tabù. Ma se fosse accaduto qualche anno fa, sarebbe stato tutto molto più complicato. L’assassinio di Paty ha imposto ai media maggiore rigore rispetto alla retorica ideologica».
Teme la stessa sorte del docente ucciso a Conflans Sainte-Honorine?
«Con il mio collega Klaus Kinzler siamo sotto protezione. È qualcosa di spaventoso, il sintomo di una frattura profonda nella società, ma anche nell’università».
In che senso?
«Abbiamo ricevuto una solidarietà molto limitata dai nostri colleghi. E siamo stati attaccati da alcuni a mezzo stampa, sui social e via mail. Un docente ci ha anche tacciati di essere “due uomini bianchi non musulmani che parlano di islamofobia”».
Continua a insegnare?
«Non ci rinuncio: non posso cedere alla macchina ideologica. Il mio collega non ce l’ha fatta, ma lo capisco».
Quando l’accusa di «islamofobia» ha iniziato a essere accostata al suo nome?
«Nel dicembre 2020 quando, con Kinzler, ci siamo opposti all’uso della parola «islamofobia» in una serie di conferenze su razzismo e discriminazione. Non mi ero reso conto dell’ostilità che stava emergendo. Già un paio d’anni prima un sindacato studentesco aveva chiesto la chiusura del mio corso. Il resto è storia».
La reazione si è scatenata poco dopo che il ministro dell’Istruzione superiore, Frédérique Vidal, ha denunciato nel mondo accademico il cosiddetto islamo-gauchisme – la convergenza tra islamisti ed estrema sinistra per opporsi a nemici comuni. E 600 professori hanno chiesto le dimissioni del ministro.
«Secondo l’accusa potrebbero essere complici dell’islamismo: il che, ovviamente, è assurdo. Dall’altra parte, però, gli accademici non vogliono vedere che attivismo e ideologia si sono diffusi nell’università e che questo ha portato a non considerare con serietà l’ascesa dell’islamismo».
Francia 2021: insegnanti minacciati e decapitati da studenti, moschee chiuse per ragioni di sicurezza, imam espulsi, il dilagare
del razzismo contro i bianchi. Che cosa sta succedendo?
«Gli ottimisti diranno che è un fenomeno marginale destinato a scomparire rapidamente. I pessimisti che siamo in una spirale regressiva che si traduce in un ritorno prepotente delle ideologie. Personalmente, sono ottimista».
Dall’Italia si percepisce una distanza tra «discorso ufficiale» sull’islamismo e la realtà dei fatti…
«La società francese è diventata schizofrenica: da un lato c’è una minaccia islamista, grave e permanente, che porta lo Stato
ad adottare misure di prevenzione forti contro gli attentati terroristici ormai cronici. Dall’altra c’è una parte dei francesi che vive come nulla fosse».
E chi sono?
«Le élite. Con una sorta di rifiuto di affrontare la realtà, hanno costruito una bolla artificiale che impedisce il dibattito. Inoltre molti accademici ritengono davvero che l’islamismo sia un fenomeno residuale».
L’Unef, il sindacato studentesco che ha chiesto l’annullamento del suo corso, ha accolto allievi dall’Emf (un’associazione islamica di Francia) banditi da varie scuole perché rifiutano il «principio di laicità». Quanto contano i sindacati nel Paese?
«Con il crollo del Partito socialista, il sindacalismo s’è indebolito. Quello dell’Unef oggi è un riposizionamento ideologico: hanno scelto la carta delle minoranze religiose».
L’accusa di islamofobia ha davvero un effetto inibitorio?
«Dopo l’assassinio del professor Samuel Paty sappiamo che si rischia la vita per davvero. E poi ci sono le pressioni».
Di che genere?
«I movimenti islamisti, con la compiacenza di certi intellettuali di sinistra, sono riusciti a imporre l’idea che l’islamofobia sia un atteggiamento odioso, paragonabile al razzismo. Ricevere questa accusa significa il rischio di morte sociale e fisica».
L’immigrazione di massa degli anni Sessanta e Settanta, così come i fallimenti dell’integrazione, stanno provocando uno shock culturale: i francesi si trovano di fronte a immigrati tradizionalisti, molto più dei cattolici di un tempo?
«L’islam non è nella stessa posizione di quei cattolici. Il «separatismo», per usare l’espressione del presidente Emmanuel Macron (il disegno di legge contro il separatismo, ovvero la tendenza dell’islam a rendersi indipendente dallo Stato francese, è attualmente in discussione in Parlamento, ndr), è infatti il risultato di una contrapposizione di principi tra laicità e “Sharia”, la legge ispirata dal Corano».
Come immagina la Francia tra cinque anni?
«Ci attendono sfide importanti perché due fenomeni rafforzeranno l’Islam: da un lato la demografia, che dipende dall’immigrazione e dall’indice di natalità che è proprio di questa comunità, dall’altro la crescita delle identità religiose. Secondo le statistiche Insee (l’istituto di statistica nazionale, ndr), il 20% dei bambini nati in Francia ha attualmente un nome musulmano».