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Quei quadri che minano il potere di John Elkann

Quei quadri che minano il potere di John Elkann

Capolavori di pittura e altre opere mai «notificate» al ministero della Cultura. Possono diventare una carta fondamentale nello scontro tra Margherita Agnelli e il figlio per ribaltare il suo dominio nella cassaforte societaria di famiglia. La seconda puntata dell’inchiesta di Panorama sulla Collezione Agnelli rivela un risvolto decisivo.


Si è persino rivolto al Tar, il Tribunale amministrativo regionale, che gli ha dato ragione. John Elkann si è opposto al fatto che venga reso pubblico l’elenco delle opere d’arte di cui è in possesso. Perché? Motivi di sicurezza? No di certo dato che le sue residenze, a Torino e a St. Moritz, sono inaccessibili e sorvegliate dalla security che fa capo all’ex impero Fiat. John teme forse che si scopra una cosa poco commendevole, e cioè che non si è messo in regola con le leggi italiane secondo cui le opere di particolare pregio devono essere «notificate» dal proprietario e denunciate alle Belle arti, vincolandole qualora siano ritenute di «interesse nazionale»? Chissà. Certo che sull’osservanza delle leggi Elkann ha già dato una precedente clamorosa dimostrazione tenendo celati per più di vent’anni, fino al luglio 2022, i documenti della società Dicembre, la sua cassaforte, venendo meno a quanto prevedono le norme in materia di «Registro delle imprese». Altra ipotesi, la più probabile: Jaky ha paura che grazie a questo elenco ufficiale sua madre scopra ciò che già sa. E cioè che molti dipinti che il figlio ha appeso alle pareti delle sue case o alle fredde lastre in metallo dei cupi caveau di Ginevra, Zurigo, Chiasso, non appartengono a lui, che le ha ricevute dalla nonna Marella, ma a Margherita in virtù del suo titolo di unica erede di Gianni Agnelli (la mamma le aveva in usufrutto fino alla propria morte).

Il fatto è che Margherita rischia di fare del male anche a se stessa: se l’elenco dei quadri nelle mani di suo figlio venisse reso pubblico, il ministero della Cultura potrebbe aprire gli occhi e attivare i carabinieri del nucleo per la tutela artistica, facendo finalmente venire alla luce la Collezione Agnelli, che in barba alle leggi in gran parte non ha mai richiamato l’attenzione di chi dovrebbe tutelare il patrimonio artistico, e ha potuto varcare da tempo i confini italiani. Una sera, a Torino, a Villa Frescot, l’Avvocato aveva offerto a cena e tra gli ospiti c’erano un paio di eminenti autorità in fatto di Belle Arti. Quando un amico gli fece notare che avrebbero potuto creargli qualche problema e porre vincoli ad alcune delle tele di casa, Gianni Agnelli rispose: «Tu credi si siano accorti dell’importanza delle opere che avevano davanti agli occhi?».

In mezzo all’attuale fuoco incrociato di dispetti, gelosie, rivendicazioni, processi, che rendono appassionante questa «caccia al tesoro», ora è venuto a trovarsi proprio l’immobile ministero della Cultura che da sempre per la Collezione Agnelli ha avuto gli occhi bendati. I dirigenti scelti da Gennaro Sangiuliano non si sa se per insipienza o per creare guai al ministro, poco tempo fa hanno espresso parere favorevole alla richiesta del programma di Raitre Report, per avere accesso all’elenco delle opere d’arte «notificate» da John Elkann. In tal modo si sarebbe saputo quante e quali erano in regola, mettendole a confronto con l’elenco completo della Collezione oggetto della divisione tra Marella e Margherita Agnelli firmato nel febbraio 2004 a Ginevra. Da quell’elenco probabilmente il programma televisivo avrebbe scoperto un risvolto politico: e cioè che il ministro, così come i suoi predecessori, non ha il coraggio di occuparsi della vicenda Agnelli che rappresenta, insieme ai miliardi di euro portati all’estero per evitare il pagamento delle tasse in Italia, un’altra forma di gigantesca evasione fiscale e di esportazione illegale di beni artistici che dovrebbero restare in Italia o ritornarci.

Al ministero probabilmente non hanno capito dove Report voleva arrivare e hanno concesso senza problemi il nullaosta per il rilascio dei documenti richiesti. A questo punto, logicamente, occorreva l’assenso anche del proprietario (o possessore) ed ecco che John Elkann si è rivolto al Tar per bloccare tutto. Margherita invece non ha detto nulla: sapeva, non sapeva, l’hanno interpellata o no? La vicenda rischia di assumere uno sviluppo imprevisto per John. Come raccontato nella prima puntata della nostra inchiesta, l’elenco delle opere della Collezione Agnelli venne stilato alla fine del 2003 in sede di «spartizione» tra le due eredi. Solo che il duca di Beaufort, aristocratico mercante d’arte di Gianni e Marella, ha redatto un elenco di 309 opere attribuendo loro un valore molto basso.

In realtà i capolavori erano circa 150 in più, i più pregevoli di tutti. Solo a Villa Frescot a Torino ce ne sono 75 «sfuggiti all’attenzione di Somerset», a Villar Perosa altri nove, per non parlare di quelli racchiusi nei caveau in Svizzera, non inclusi nel primo inventario con la scusa che i luoghi in cui si trovavano non erano più tra le pertinenze di Donna Marella (in primis la penthouse di Park Lane a New York e lo chalet di Chesa Alcyona a St. Moritz «regalato» a John). Tra l’altro, il confronto tra questi quadri mancanti dal primo inventario e quelli emersi dall’elenco che Margherita ha potuto stilare dopo la morte della madre – entrando dopo 20 anni in residenze che le erano «proibite» e che ora sono diventate sue – ha una conseguenza ulteriore. Le consente cioè di avere un’ulteriore prova che questo «occultamento» dimostra come fosse stata «ingannata» e che l’accordo che le hanno sottoposto è annullabile, anche se sono passati 17 anni. Se tale «agreement» non è valido ecco che anche tutto ciò che John ha poi ricevuto dalla nonna, a partire dalla Dicembre, potrebbe portare alla cancellazione dell’attuale assetto di controllo dell’impero, privandolo delle preziose quote nelle sue mani e di tutto ciò che ne deriva. Margherita non dà eccessiva importanza al ministero e al fatto se le sue opere sono in regola o meno. La posta in gioco è ben più alta. Ed è consentito l’uso di tutte le «armi» a disposizione.

L’erede di Gianni Agnelli si è rivolta ai pm di Milano segnalando, ad esempio, che nel box numero 253, una delle «cabine extraterritoriali dei Magazzini generali con Punto Franco Sa di Chiasso», erano custoditi almeno otto opere che le appartengono: Glaçons, effet blanc di Claude Monet, Study for a Pope III e IV di Francis Bacon, Torse de femme e Minotaur, serie di quattro incisione firmate di Pablo Picasso, Mistero e melanconia di una strada di Giorgio de Chirico, Nudo di profilo di Balthus, La scala degli addii di Giacomo Balla, Pho Xai di Jean-Léon Gérôme. La perquisizione operata dalla Gendarmeria svizzera eseguendo la rogatoria richiesta dall’Italia, ha portato alla scoperta che la stanza blindata era vuota. Ma le telecamere interne hanno dimostrato che tre giorni prima il contenuto del caveau era stato trasferito in un’altra camera blindata, la numero 15. E ora è necessaria una nuova rogatoria, con la speranza che questa volta la «quinta colonna» che ha informato Torino dell’arrivo dei gendarmi non passi di nuovo la notizia al proprietario (che tale non è, stando così le cose) di quelle opere.

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