L'aborto è un diritto e non trasforma una donna in un'assassina
La Rubrica - Lessico Familiare
In Ungheria l'esecutivo guidato da Viktor Orbàn ha approvato l’obbligo, per i medici chiamati a eseguire un aborto, di presentare alle pazienti la prova “chiaramente identificabile delle funzioni vitali del feto".
Così facendo il governo ultraconservatore ungherese di Viktor Orban stringe le fila della crociata contro l'aborto, sottoponendo la donna ad una vera e propria “tortura” al fine di dissuaderla dal suo intento.
D’ora in avanti (il decreto è esecutivo dal 15 settembre), la futura madre intenzionata a interrompere la gravidanza sarà così costretta ad ascoltare il battito del cuore del feto portato in grembo.
Il supplizio cui vengono costrette - per legge - le donne ungheresi è grave, anzi gravissimo e lede i diritti umani, andando a schiacciare un tasto sensibile di una tematica delicata come quella dell’interruzione della gravidanza.
E’ prassi, morale prima ancora che sanitaria, che quando una donna decida di abortire, la si assista in modo diametralmente opposto a quello imposto da Orbàn, rassicurandola sul fatto che il feto non senta alcun dolore, anche se i gruppi “antiaborto” o “pro-vita” sostengono che il feto sia in grado di provare dolore e che l’aborto debba essere vietato per ragioni etiche.
Tesi che stride con la relazione pubblicata sul “British Medical Journal” secondo cui i feti non sarebbero in grado di provare dolore, capacità che può essere sviluppata solo dopo la nascita.
A scanso di equivoci c’è da osservare che non è solo l’Ungheria ad avere inserito la retromarcia sul tema dell’aborto, visto che a giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti (a trazione democratica) ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade, del 1973, decretando l’illegalità dell’aborto.
Sia chiaro che qui la politica non centra e la questione non può essere strumentalizzata dall’uno o dall’altro schieramento: l’aborto non ha colore e ciò che accade in Ungheria inerisce principi universali.
Stiamo infatti oggettivamente parlando di un clamoroso passo indietro, che asfalta i diritti civili e il principio di autodeterminazione del singolo, facendo precipitare nell’oscurantismo la nostra civiltà.
La compressione della libertà della donna di decidere se diventare madre è il primo aspetto del dibattito che precede quello del figlio che non vuole o non può avere.
Una vita per una vita, anche quando non c’è rischio per la salute della ipotetica madre. Che madre non sarà, per sua volontà, o sarà costretta ad essere, per volontà altrui.
Più che imporre con decreto di ascoltare il battito del feto occorrerebbe consigliare a Orbàn la lettura del libro di Oriana Fallaci “ Lettera a un bambino mai nato”.
“ Una goccia di vita scampata dal nulla… un nodo di cellule appena iniziate” in un mondo crudele e perbenista dove nei secoli scorsi chi iniziava una gravidanza non voluta, accaduta in un attimo di distrazione, ricorreva ai rimedi più impensabili per liberarsi dell’incomodo, rischiando la propria vita nella solitudine e nella paura che gli altri sapessero.
Caro Orbàn e cari Giudici Supremi degli Stati Uniti, ricordatevi che una donna potrebbe seguire un percorso inverso, rovesciando i suoi primi intendimenti, senza ricorrere alla tortura e alle imposizioni che avete pensato.
Sappiate che una donna decide di far nascere - o non nascere - il proprio bambino non certo per l’inquietudine di essere un’assassina o una maledetta, ma per un consapevole inno alla vita che la porta a donare tutta se stessa per un altro essere umano.
Sicuro che Orbàn, così come i Giudici Supremi dell’America democratica, non sanno che una donna, prima di affrontare una scelta così difficile, si pone il dilemma di dare la vita o negarla, dilemma personale non sindacabile da terzi, sacrosanta come sacrosanta è la vita di un figlio che si è deciso consapevolmente di crescere, senza imposizioni o torture altrui.
Le donne non sono assassine e non devono essere trattate come tali.
info: missagliadevellis.com