Edoardo Pesce: «Il mio Alberto Sordi, energico e tenace»
L'attore che è stato il duro di "Dogman", ora interpreta l'Albertone nazionale, al cinema e in tv. Lo abbiamo intervistato
Nell'anno in cui si celebra il centenario della nascita di Alberto Sordi (che cadrà il 15 giugno), la Rai omaggia il grande talento dell'attore romano con il film Permette? Alberto Sordi, ora al cinema in alcune sale, e in televisione su Rai 1 il 24 marzo.
Alla regia di Luca Manfredi, figlio di un altro grande attore italiano, Nino Manfredi, spetta ad Edoardo Pesce far rivivere Alberto Sordi. Ce lo fa vedere sotto un profilo nuovo, quando ancora il successo non l'aveva fatto diventare l'Albertone nazionale.
Permette? Alberto Sordi, infatti, inquadra Alberto Sordi nei vent'anni prima della fama, quando da giovanissimo venne espulso dall'Accademia di Recitazione dei Filodrammatici a Milano per la sua incorreggibile parlata romana. Ma lui non si arrese e, tornato a Roma, con la sua ricerca della qualità attoriale e con impegno tenace, riuscì a diventare l'inconfondibile voce di Oliver Hardy, a farsi notare sui palcoscenici del varietà e alla radio con il personaggio di Mario Pio... E poi ecco l'amicizia con il giovane Federico Fellini, Lo sceicco bianco, l'amore con l'attrice e doppiatrice Andreina Pagnani e infine il trionfo con Un americano a Roma.
Abbiamo intervistato Edoardo Pesce, attore gentile che con il ruolo del cattivo in Dogman di Matteo Garrone ha trovato la consacrazione.
Edoardo, sei passato dallo stalker del film Fortunata al duro di Dogman e ora a un personaggio solare e amato da tutti come Sordi. Ti piace l'arte della trasformazione…
«Non ho una particolare predisposizione per personaggi più oscuri, cerco sempre di fare personaggi un po' lontani da me o che mi permettano di esplorare parti di me che non conosco. Ultimamente mi è capitato di interpretare cattivi e killer, anche se io cerco sempre di trovare una fragilità in loro, quello che li ha fatti diventare così. Anche in tutta la drammaturgia classica, i cattivi non nascono così, da Riccardo III a Jessica Rabbit. Nel caso di Alberto Sordi, in due ore di film non abbiamo potuto scandagliare i chiaroscuri del suo animo. Permette? Alberto Sordi è soprattutto un omaggio che la Rai ha voluto fare a questo grande artista. È una sorta di album di fotografie in movimento, di quello che ha fatto prima di diventare Alberto Sordi, i vent'anni precedenti alla consacrazione al grande pubblico».
Visto quanto è amato Alberto Sordi, ti senti addosso una certa responsabilità?
«L'intenzione non era quella di accostarsi ad Alberto Sordi, né di farne un'imitazione. È un omaggio. Un piccolo affettuoso omaggio a cui io ho partecipato volentieri, da romano, da attore. Sono descritti eventi che forse molta gente non conosce: l'amicizia con Fellini, la tenacia di insistere su questo lavoro. Lui non è nato "Alberto Sordi", ha affrontato tante sfide, altrettanti no, sacrifici… La sua faccia non funzionava come attore perché nel Dopoguerra andavano di più i volti tragici, c'era il Neorealismo… Ha preso molte porte in faccia ma non si è mai arreso. Quindi è anche un film sul non abbandonare i propri sogni».
Può essere uno sprone per le nuove generazioni?
«Sì, per i più giovani può essere un film sul credere in se stessi. È descritto abbastanza bene il non arrendersi, il sacrificio, la gavetta. È qualcosa che manca al giorno d'oggi. Io ho 40 anni, ho iniziato a fare teatro nel 2003. Ora che sono un pochino più conosciuto, incontro certi ragazzi che chiedono direttamente come ho fatto a diventare famoso. Come se saltassero le tappe intermedie, lo studio, la passione… Sperano solo di avere tanti follower».
Ritrovi qualcosa di personale nel percorso artistico di Sordi? Anche tu hai ricevuto porte chiuse in faccia?
«Assolutamente sì, anche se io non aspiravo a essere famoso. Mi piaceva il teatro, il cinema, poi è diventato un lavoro, e ben venga, sono stato fortunato. Anche se ero già contento di stare a teatro, pure se non c'erano soldi. Era una soddisfazione personale anche semplicemente fare spettacolini in teatrini off, avere input, imparare cose nuove. Ero già contento».
Come ti sei preparato per la parte? Hai rivisto i film di Sordi?
«I suoi film li ho sempre visti. Vengo da una famiglia romana appassionata di cinema e teatro. In alcune famiglie romane c'è il culto di Sordi. Nella nostra non era così: ci piaceva, ovviamente era considerato un grande attore, ma non era santificato. Mio nonno ci faceva vedere anche film con Fabrizi, Magnani, Manfredi, Gassman, Tognazzi, film di Scola, Risi, Monicelli, commedia all'italiana. Per questo nell'affrontare la parte non ho avuto soggezione. L'ho presa come una maschera, come un attore romano che indossa la maschera Sordi».
Quale film di Sordi preferisci?
«A parte i classici come La grande guerra, Un americano a Roma, o quelli più drammatici come Una vita difficile e Il vedovo, ce ne sono paio che si conoscono un po' meno e che trovo molti moderni. Li ho riscoperti un paio di anni fa, quando ho fatto il provino. Uno è Il diavolo, per cui Sordi vinse un Golden Globe: narra di un italiano che va in Svezia. Fu molto moderno per l'epoca: Sordi partì solamente con l'operatore e il regista e cominciarono a filmare già dal viaggio in treno, senza sceneggiatura. E poi Detenuto in attesa di giudizio, che gli valse un Orso d'argento a Berlino».
Se potessi rubare qualcosa di Sordi attore, cosa vorresti?
«L'energia vitale che aveva, era un vulcano. E poi i tempi attoriali magistrali. Erano micidiali e modernissimi. Forse prima di lui giusto Petrolini aveva toccato quei livelli. Io sono più malinconico: lui invece aveva questa voglia di far sorridere, di darsi agli altri, generoso, di scherzare. Forse mi manca anche la competitività di Sordi».
Hai collaborato anche alla sceneggiatura del film.
«Sì. Luca Manfredi e Dido Castelli, che hanno scritto la sceneggiatura, hanno detto che potevo rendere un po' mie alcune scene. E così qualche idea è mia. Mi hanno lasciato un po' intervenire sulla scrittura. L'ho filtrata attraverso di me. Le parti private della vita di Sordi non si conoscono, quindi lì abbiamo inventato: le scene con la madre, il papà, le sorelle, con Andreina Pagnani, le passeggiate con Fellini, il rapporto di amicizia».
Tu sei di Tor Bella Monaca. Quanto conta la romanità nel tuo lavoro di attore?
«Mio padre è di Prati, di via Germanico, mia madre è un po' più di periferia, di Casellino. Io sono del '79, di una periferia dove ancora c'erano i palazzoni, era quasi un paesino, non il Far West che si pensa oggi. È stata un'infanzia molto tranquilla. La romanità in me c'è e conta, ma se arrivano personaggi non romani ben vengano. Nella serie tv Il cacciatore di Sky interpreto un palermitano. La caratterizzazione dialettale non è importante. La mia è una famiglia romanesca, non romanaccia, di una romanità un po' più nobile, come il napoletano di Eduardo. Quindi il romanesco di Belli, Petrolini, Trilussa, della Magnani, di Fabrizi, quella romanità là, non come quella di adesso che non si capisce e sembra analfabetismo».
Quali sono i tuoi attori preferiti a livello internazionale?
«Vedo tanti film, leggo molto. Mi piacciono Joaquin Phoenix, che è sempre imprevedibile, e Robert De Niro. Mi piace la scuola inglese: seguo attori inglesi che poi diventano star, come Tom Hardy».
A cosa stai lavorando ora?
«Sinceramente sono un po' fermo perché devono uscire alcuni film. Deve uscire La regola d'oro di Alessandro Lunardelli, a cui tengo molto, con Barbora Bobulova, Hadas Yaron e Luis Gnecco: qui faccio un personaggio diverso, l'editore di un programma tv. E poi Gli indifferenti di Leonardo Guerra Seràgnoli, una rivisitazione de Gli indifferenti di Moravia con Valeria Bruni Tedeschi, Giovanna Mezzogiorno e due attori giovani molto bravi, Vincenzo Crea e Beatrice Grannò. Per il cinema credo che ricomincerò a girare a giugno».
Ti interessa fare esperienze internazionali?
«Sì, ora sto studiando un po' le lingue, perché mi avevano fatto un paio di proposte ma non ho il francese. Grazie all'eco internazionale avuto da Dogman, mi avevano offerto anche una parte nel nuovo James Bond, ma ho detto di no perché per un ruolo piccolo piccolo avrei dovuto dare l'esclusiva e stare fermo sei mesi. Il maestro Garrone ci ha dato questa bella vetrina».
(Articolo aggiornato il 16 marzo 2020)