Dal Mondo
July 11 2022
È stata una vittoria clamorosa quella ottenuta dal Partito Liberal Democratico in Giappone, che ha conquistato ieri 63 seggi alla camera alta: oltre la metà, cioè, dei 125 totali che erano in palio. Non solo: il suo partner di coalizione, Komeito, ne ha conseguiti 13. Si tratta di un risultato significativo, soprattutto perché registratosi appena due giorni dopo l’assassinio dell’ex premier Shinzo Abe che, ricordiamolo, era un esponente del Partito Liberal Democratico. L’affluenza, pur non altissima, è stata comunque superiore a quella registratasi nel 2019.
Il voto di domenica si configura come gravido di conseguenze. Sul piano interno, esso rafforza ovviamente l’attuale primo ministro, Fumio Kishida, che blinda così la sua posizione per i prossimi tre anni e che può avere mano libera per portare avanti la propria agenda politica. Tuttavia è forse sul piano internazionale che queste elezioni potrebbero produrre le conseguenze più importanti. Kishida ha detto infatti di voler proseguire sulla strada della revisione della Costituzione, che consentirebbe al Giappone di modificarne la clausola pacifista. Parliamo, nel dettaglio, dell’articolo 9 della carta fondamentale nipponica: articolo che ripudia il ricorso alla guerra e vieta di mantenere un esercito permanente. Una revisione, questa, che è sempre stata molto a cuore allo stesso Abe.
Ebbene, come notato dal Japan Times, dalle le elezioni di ieri il fronte propenso alla modifica costituzionale è uscito notevolmente rafforzato. Ricordiamo infatti che di tale fronte non fanno parte solo Komeito e i liberaldemocratici, ma anche formazioni come il Japan Innovation Party e il Partito Democratico per il Popolo. Questo variegato gruppo di partiti detiene adesso 170 seggi alla camera alta: un numero, cioè, superiore ai 166 voti necessari per condurre in porto l’approvazione di un emendamento costituzionale.
Va da sé che, se questa strada venisse intrapresa, Toyko rafforzerebbe ulteriormente la propria politica di difesa. Una linea, questa, che si inserirebbe nel progetto, promossa da Abe, di un Giappone in grado di riguadagnare centralità nell’Indo-Pacifico, tutelando la propria sicurezza in un ambiente geopolitico sempre più ricco di fattori ostili. La svolta risulterebbe tanto più notevole alla luce del fatto che Kishida è stato invitato al recente summit Nato di Madrid e che, specialmente dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, i rapporti tra Tokyo e Mosca si sono notevolmente irrigiditi. Senza poi trascurare i significativi attriti tra Stati Uniti e Cina in Estremo oriente.
E proprio la Cina guarda evidentemente con irritazione a un’eventuale modifica costituzionale in Giappone (basti pensare a un editoriale ipercritico, pubblicato lo scorso gennaio dall’organo di stampa del Partito comunista cinese, il Global Times). Ricordiamo che, durante la sua lunga premiership, Abe ha notevolmente avvicinato Tokyo a Washington, puntando il dito contro la crescente minaccia cinese nell’Indo-Pacifico. D'altronde, fu proprio Abe, nel 2017, a figurare tra i promotori del rilancio del Quad. E sempre l'ex premier,negli scorsi mesi, aveva chiesto alla Casa Bianca di assumere un approccio maggiormente deciso nella difesa di Taiwan, irritando così il Dragone.
In tutto questo, va anche tenuto presente che l’amministrazione Biden ha continuato a vedere nel Giappone un alleato fondamentale nell’Indo-Pacifico, proseguendo inoltre la linea di Donald Trump volta al rafforzamento del Quad. È quindi in tal senso che l’emendamento costituzionale sarà prevedibilmente inserito nel più ampio contesto del contenimento dell’influenza cinese sull’area. Non dimentichiamo d’altronde che, a partire dallo scorso ottobre, Pechino ha ripreso ad esercitare la propria pressione militare e politica su Taipei. Senza poi ovviamente trascurare la disputa tra Giappone e Cina sulle isole Senkaku: disputa che sembra stia riprendendo intensità.