Dal Mondo
December 25 2021
L’irruzione in Campidoglio
Era il 6 gennaio, quando una folla di persone, a seguito di un comizio tenuto dall’allora presidente americano Donald Trump, ha fatto irruzione nel palazzo del Campidoglio. Un evento traumatico, verificatosi nel tumultuoso quadro della contestazione dei risultati delle ultime elezioni presidenziali. Sull’accaduto ha indagato l’Fbi, mentre il Senato ha pubblicato un rapporto, mettendo in luce delle significative falle nella sicurezza. Trump, dal canto suo, ha subìto un secondo processo di impeachment, mentre – dopo il fallimento della creazione di una commissione nazionale – è stato creato un comitato d’inchiesta parlamentare alla Camera. Un comitato che sta effettuando le proprie indagini, ma che viene accusato di partigianeria politica dai repubblicani, visto che tutti i suoi componenti sono stati nominati dalla Speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi.
L’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca
Biden è entrato ufficialmente in carica il 20 gennaio, benevolmente accolto da significativa parte della stampa internazionale. Tuttavia i problemi per il quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti sono iniziati ben presto. Da una parte, ha dovuto sin da subito affrontare dossier spinosi, come quello dell’immigrazione clandestina. Dall’altra, le divisioni interne al Partito democratico tra centristi e sinistra non hanno tardato a deflagrare. Soprattutto a seguito della crisi afghana di agosto, la popolarità del presidente – e della sua vice Kamala Harris – è colata a picco. Un problema non di poco conto in vista delle elezioni di metà mandato che si terranno nel novembre del 2022.
La crisi di Gaza
La crisi di Gaza ha avuto radici complesse. Il 10 maggio, si verificarono degli scontri tra le forze di polizia israeliana e alcuni manifestanti palestinesi nei pressi della moschea di al-Aqsa. Alla base delle tensioni si erano sommate varie cause: non soltanto la celebrazione del Jerusalem Day, ma anche lo sgombero di alcune famiglie palestinesi da un quartiere di Gerusalemme Est. Nonostante alcuni tentativi dell'allora premier, Benjamin Netanyahu, di allentare la tensione, Hamas aveva minacciato un atto militare se le forze di polizia israeliane non si fossero ritirate dall’area di al-Aqsa entro le ore 17 dello stesso 10 maggio. L’organizzazione aveva quindi lanciato dei razzi, innescando la reazione israeliana. La crisi si è protratta fino al 21 maggio, quando è stato siglato un armistizio. Alla radice di questi eventi, furono ravvisabili anche dei significativi cambiamenti del quadro internazionale. Nei mesi immediatamente precedenti, il neo presidente americano, Joe Biden, aveva infatti raffreddato i rapporti con l'Arabia Saudita e avviato un disgelo con l'Iran: una svolta, questa, che aveva isolato Israele e indirettamente rafforzato Hamas (che gode storicamente del sostegno di Teheran).
La Nato suona l’allarme sulla Cina
Durante il summit del 14 giugno, l’Alleanza atlantica ha messo per la prima volta ufficialmente nel mirino le ambizioni politico-militari di Pechino. “Le ambizioni dichiarate e il comportamento assertivo della Cina”, si legge infatti nel comunicato finale del summit, “presentano sfide sistemiche all'ordine internazionale basato su regole e alle aree rilevanti per la sicurezza dell'Alleanza. Siamo preoccupati per quelle politiche coercitive che sono in contrasto con i valori fondamentali sanciti dal Trattato di Washington”.
Il rinnovo del Trattato di amicizia sino-russo
Il 28 giugno, nel corso di un vertice online, Xi Jinping e Vladimir Putin hanno annunciato di aver trovato un accodo per l’estensione del Trattato di amicizia sino-russo, siglato nel 2001 tra lo stesso Putin e l’allora presidente cinese, Jiang Zemin. L’evento non è stato soltanto simbolico: soprattutto in quest’ultimo anno infatti Mosca e Pechino hanno rinsaldato i propri legami, creando un blocco che – nonostante qualche attrito interno – si sta facendo sempre più compatto. La Russia si sta quindi notevolmente sbilanciando verso l’orbita cinese: un fattore, questo, a cui l’Occidente dovrebbe prestare la massima attenzione.
La caduta di Kabul
Lo scorso 15 agosto, i talebani hanno conquistato Kabul, abbattendo il governo di Ashraf Ghani. Nonostante l’avanzata significativa dei “barbuti” nelle settimane precedenti, in pochi credevano che un simile collasso sarebbe avvenuto così repentinamente, soprattutto mentre le truppe americane non avevano ancora completato l’evacuazione dal territorio. Un’evacuazione che, nei giorni successivi, è stata condotta in modo maldestro e raffazzonato: una situazione, questa, che ha inferto un duro colpo alla credibilità internazionale all’amministrazione Biden, mettendo anche sotto pressione i rapporti transatlantici. La Cina sta adesso cercando di approfittarne, ma le incognite non sono affatto poche. Pechino sa di non potersi fidare troppo dei talebani, mentre l’instabilità afghana rischia di crearle significative turbolenze. Non è quindi detto che i cinesi si riveleranno alla fine i veri vincitori nella partita afghana.
La crisi dei sottomarini
Il 15 settembre, il presidente americano Biden ha annunciato l’Aukus: un patto di sicurezza tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia, volto essenzialmente a contrastare l’influenza cinese nell’Indo-Pacifico. In base all’intesa, Washington ha stabilito di condividere con Canberra la propria tecnologia per i sottomarini a propulsione nucleare: un fattore, questo, che ha portato il governo australiano a cancellare un contratto con la Francia per la fornitura di 12 sottomarini convenzionali. La reazione di Parigi è stata a dir poco furibonda e ha condotto a un significativo inasprimento dei suoi rapporti diplomatici con Washington. Una crisi che ora sembra formalmente rientrata, ma i cui strascichi potrebbero farsi sentire nei prossimi mesi.
La crisi bielorussa e crisi ucraina
A inizio novembre, ingenti flussi di migranti si sono diretti dalla Bielorussia verso il confine polacco, mettendo Varsavia sotto pressione. Secondo Bruxelles, la crisi sarebbe stata appositamente orchestrata dal presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, come ritorsione per le sanzioni europee comminate a Minsk. Inoltre, secondo il governo polacco, il vero regista dell'operazione risulterebbe lo stesso presidente russo, Vladimir Putin, con l’obiettivo di creare problemi proprio alla Polonia. Gli attriti tra Mosca e Varsavia non sono d'altronde soltanto di natura storica: i polacchi, insieme agli ucraini, si oppongono infatti fermamente all'avvio del gasdotto Nord Stream 2. In tutto questo, la Russia ha anche ammassato ingenti quantitativi di truppe al confine con l’Ucraina, mentre l’intelligence americana ritiene che Mosca abbia intenzione di sferrare un attacco all’inizio del 2022. Si fronteggiano in tal senso due tesi opposte. La Russia teme l’ingresso di Kiev nella Nato, considerando una simile eventualità come un pericolo per quella che reputa essere la propria sfera di influenza. L’Occidente, dal canto suo, sostiene la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. E’ quindi per cercare di dirimere la questione che, lo scorso 7 dicembre, Biden e Putin hanno tenuto un colloquio virtuale. Un colloquio tuttavia che, almeno per ora, non sembra aver prodotto troppi risultati.
L'addio di Angela Merkel
Lo scorso 8 dicembre, Angela Merkel ha lasciato l'incarico di cancelliere. La sua uscita di scena avrà probabili effetti dirompenti sia per la politica tedesca che per quella europea. A livello interno, è probabile che il nuovo esecutivo, guidato da Olaf Scholz, si rivelerà piuttosto diviso, vista l'eterogeneità delle forze che lo compongono. A livello europeo, si apre invece un vuoto di leadership. La domanda quindi è: chi lo colmerà? Uno dei candidati è indubbiamente il presidente francese, Emmanuel Macron, che tuttavia - nei prossimi mesi - dovrà affrontare la campagna elettorale per la riconferma all'Eliseo. Un'altra figura che potrebbe emergere è poi quella di Mario Draghi, anche se bisognerà capire prima quale sarà il suo futuro tra Palazzo Chigi e Quirinale.
Il crescente pericolo cinese
Questo ultimo punto non riguarda un singolo evento, ma un trend preoccupante che ha attraversato l’intero 2021: stiamo parlando della crescente aggressività mostrata dalla Repubblica popolare. In primo luogo, ciò è chiaro guardando a Taiwan. Parlando il primo luglio in occasione della celebrazione dei 100 anni del Partito comunista cinese, Xi Jinping ha definito una “missione storica” la riunificazione di Taiwan alla Cina. Tutto questo, mentre – a inizio ottobre – un numero record di velivoli militari cinesi è entrato nello spazio di difesa aerea dell’isola. Ma la pressione su Taipei non è l’unico aspetto preoccupante. Pechino sta infatti continuando a portare avanti il sistematico smantellamento della democrazia a Hong Kong: non a caso, lo scorso 13 dicembre, il magnate Jimmy Lai ha ricevuto una nuova condanna, insieme ad altri attivisti. Infine, l’intelligence americana ha scoperto che la Cina sarebbe intenzionata a realizzare la sua prima base militare sull’Oceano atlantico. In tutto questo, c’è da chiedersi se Pechino realmente meriti di ospitare le olimpiadi invernali del prossimo febbraio.