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January 15 2016
La guerra irruppe sugli schermi televisivi di tutto il mondo il 16 gennaio 1991 con la diretta dell'emittente americana CNN. L'ultimatum a Saddam Hussein era scaduto da poche ore quando il giornalista Peter Arnett commentò i lanci dei primi Tomahawk americani su Baghdad.
Era dal 1945 che non si registrava l'azione di una coalizione di paesi alleati così ampia, essendo le nazioni coinvolte nel conflitto ben 32.
Il casus belli fu l'occupazione del Kuwait da parte dell'esercito iracheno avvenuta il 2 agosto 1990, che aveva generato la reazione dell'Onu e una conseguente risoluzione che intimava Baghdad al ritiro entro i confini originari. Gli Stati Uniti risposero invece con un'operazione militare atta a proteggere i paesi del Golfo alleati, sopra tutti l'Arabia Saudita, nota come operazione “Desert Shield”, che vide il rapido invio di uomini e mezzi americani nel Golfo.
Le ragioni dell'ostilità del regime di Saddam nei confronti del vicino Kuwait affondano negli anni immediatamente precedenti dopo la fine della lunga e sanguinosa guerra Iran-Iraq nel 1988.
Baghdad era uscita vittoriosa (anche grazie al supporto Usa) ma economicamente prostrata. Il rientro alla vita civile di oltre 200.000 ex combattenti iracheni fu particolarmente difficile e portò a gravi tensioni con gli stranieri che lavoravano in territorio iracheno, in particolar modo gli egiziani che furono sovente vittime di abusi e torture. Ma l'aspetto forse più importante e scatenante fu l'atteggiamento del Kuwait all'interno dell'Opec. Il piccolo paese del Golfo era creditore nei confronti di Baghdad per i cospicui aiuti prestati durante il conflitto contro l'Iran, debiti che Saddam aveva cercato di eludere facendo appello alla “fratellanza araba”. Il Kuwait rifiutò anche di interrompere la sovrapproduzione di greggio che teneva basso il prezzo al barile, danneggiando ulteriormente le finanze di Baghdad. La misura fu colma quando Saddam denunciò lo sconfinamento in territorio iracheno da parte delle trivelle kuwaitiane nel giacimento di Rumaila, al confine tra i due Stati. A nulla valse l'ultima mediazione del presidente egiziano Mubarak, che si trovò pochi giorni dopo di fronte al fait accompli dell'invasione irachena del Kuwait.
I mesi che seguirono l'invasione videro il sostanziale fallimento delle azioni diplomatiche internazionali e il montare della propaganda dall'una e dall'altra parte. Saddam utilizzò alcuni ostaggi occidentali tra cui un bambino inglese per difendere la sua azione ed impressionare il mondo. Dall'altra parte alcuni presunti testimoni kuwaitiani raccontarono alle tv del mondo le atrocità commesse dai soldati di Baghdad nei territori occupati, tra cui l'infanticidio.
Quindi al termine del periodo precedente l'ultimatum dell'Onu fissato per il 15 gennaio 1991 Saddam alzò il tiro cercando di coinvolgere nella situazione anche il conflitto arabo-israeliano e l'Olp di Yasser Arafat.
Quando l'ultimatum dell'Onu scadette, più di 600.000 uomini della coalizione si trovavano pronti all'azione, che divenne effettiva il 16 gennaio 1991 con il primo bombardamento aereo sulle installazioni militari e i depositi iracheni. Gli Usa utilizzarono le più moderne tecnologie militari e i nuovissimi bombardieri F-117 “Stealth” invisibili ai radar, oltre alle cosiddette “bombe intelligenti” guidate dai laser. Rispose Saddam con il lancio di missili Scud su Israele e Arabia Saudita. Gli uomini comandati dal Generale Norman Schwarzkopf non iniziarono l'offensiva di terra che il 24 febbraio successivo, quando gran parte del materiale bellico iracheno era ormai fuori uso. L'ingresso delle truppe di terra durò solo tre giorni e il 27 febbraio 1991 entrarono a Baghdad. Seguì il discorso del presidente americano George H.W. Bush che annunciava la fine delle ostilità.
Saddam rimase al potere per la decisione dei vincitori di evitare turbamenti ai già fragilissimi equilibri in Medio Oriente, limitandosi ad un controllo dello spazio aereo (no-fly zone) dell'Iraq, mentre i successivi tentativi di controllo dell'industria bellica di Saddam saranno per un decennio frustrati dal dittatore iracheno sino alla vigilia della seconda guerra del Golfo, quella del 2003.