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April 23 2018
Chi ha studiato i grillini con curiosità, come l'editore del Corriere della Sera, Urbano Cairo, li paragona alla plastilina con cui i bambini modellano i pupazzi. Ed è il motivo per cui non li considera pericolosi. Il problema, però, è quale forma i 5 Stelle assumono nelle loro proposte, nelle loro alleanze, ben sapendo che sono cangianti e volubili per natura. Una natura che li rende destabilizzanti e inaffidabili.
Per tentare di trattare con loro nella scorsa legislatura in nome del "governo del cambiamento", Pierluigi Bersani ha bruciato la sua carriera politica. Cinque anni dopo, sempre all'insegna del governo del cambiamento (la fantasia non è certo la principale dote della politica italiana) in compagnia dei 5 Stelle, anche Matteo Salvini rischia di finire in un vicolo cieco. Oggi, come allora, la proposta dei grillini è quasi irricevibile: pretendono che Salvini si disfi di Silvio Berlusconi e faccia un governo con loro in posizione minoritaria, costretto ad accettare la premiership di Luigi Di Maio.
A nome degli 11 milioni di cittadini che li hanno votati, il leader dei 5 Stelle proclama che un'alleanza con Forza Italia non è possibile per non tradire il mandato degli elettori. "Disegnano la realtà come vogliono loro" risponde piccato Renato Brunetta "ma come Di Maio non può tradire i suoi elettori, neanche noi possiamo farlo. Ci sono 13 milioni di cittadini che hanno votato per un centrodestra unito, 170 parlamentari sono stati eletti nei collegi uninominali con i voti di tutti i partiti della coalizione. Un accordo separato è inaccettabile per Salvini, perché tradirebbe l'elettorato di centrodestra".
A 40 giorni dalle elezioni, ogni ipotesi di governo è bloccata proprio dal veto grillino sul Cav. Intanto Di Maio se la canta e se la suona: neppure un anno fa era ammiratore di Chavez e del suo successore, poi ha avuto una sbandata per Putin e ora, sull'altare della poltrona di Palazzo Chigi, ha scoperto la Nato e l'atlantismo, facendo infuriare mezzo movimento; nella sua proposta politica Lega e Pd sono sullo stesso piano, l'importante è che il premier sia lui; ha detto di tutto del governo Gentiloni, ma ora lo apprezza sulla politica estera; e per cinque anni ha accusato Matteo Renzi di ogni nefandezza e oggi sarebbe disposto a fare patti con lui.
Posizioni contraddittorie, che, appunto, ricordano la plastilina: tant'è che c'è il sospetto che i 20 fogli in cui era raccolto il programma votato dagli iscritti siano stati cambiati con altri completamente diversi (più gestibili rispetto alla demagogia propria della base del movimento), inseriti successivamente dal vertice 5 Stelle. L'elenco delle contraddizioni è lungo e ha una ragione di fondo: i 5 Stelle sono bloccati dalle loro contraddizionie divisioni interne. Per tenere insieme destra e sinistra, governativi e ortodossi, debbono fare salti mortali. Per cui trovano alibi per evitare di scegliere tra l'ala governativa e l'ala movimentista, dando la colpa agli altri.
Il principale sostenitore della svolta governativa è Davide Casaleggio, fedele agli insegnamenti del padre Gianroberto. La frase del profeta dei 5 Stelle, scomparso qualche anno fa che spesso Davide cita, è: "Il movimento non regge un'altra legislatura all'opposizione".
Per questo il patron della Casaleggio associati e della piattaforma Rousseau ha intessuto la tela di un possibile governo, ancor prima del voto del 4 marzo: e, per originie cultura, ha trovato in Salvini il suo interlocutore privilegiato. Se fosse stato per lui l'accordo già sarebbe stato siglato: "Tre ministri d'area a Forza Italia, senza sottosegretari. E un premier condiviso al posto di Di Maio". Molti suoi frequentatori sono convinti ancora che quel piano sia realizzabile. Un piano che sarebbe congegnato nei minimi particolari. "Ci sono state due rotture" confida Arturo Artom, imprenditore che ha un rapporto strettissimo con Casaleggio "e ce ne sarà una terza, ma alla fine il governo con Salvini si farà".
Sullo stesso versante dei governativi c'è Di Maio. Il personaggio continua a coltivare l'idea di andare a Palazzo Chigi. Si è circondato di ex-democristiani e di burocrati di Stato. Sente - come racconta Yoda, retroscenista de Il Giornale - un giorno sì e uno no l'ex ministro Vincenzo Scotti, presidente dell'Università Link, che gli ha fornito metà dei componenti di quel governo che ha proposto alla vigilia del voto; e, almeno una volta alla settimana, l'ex-presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, con cui condivide i natali a Pomigliano.
Di Maio, inoltre, è riuscito ad accaparrarsi due messaggeri d'eccezione per il Quirinale, che ha imposto nelle liste grilline, da trent'anni amici del presidente Mattarella: il senatore Steni Di Piazza, consigliere comunale Dc a Palermo dal '90 al '93, quando l'attuale capo dello Stato era commissario scudocrociato in Sicilia; e il deputato Giorgio Trizzino, che addirittura collaborò con il fratello di Sergio Mattarella, Piersanti, assassinato dalla mafia. Grazie a loro, il candidato premier dei grillini coltiva, all'ombra dell'inquilino del Colle, il suo sogno di arrivare a Palazzo Chigi. Un sogno che però rischia di infrangersi sulle rigidità degli ortodossi del movimento, rappresentanti dal network che mette insieme Beppe Grillo, Roberto Fico, Alessandro Di Battistae il direttore de il Fatto, Marco Travaglio.
Mentre Di Maio sarebbe disposto anche ad accettare Forza Italia, sia pure in una posizione defilata, gli ortodossi storcono la bocca anche solo all'idea di un'alleanza con la Lega. Insomma, i depositari dell'ortodossia grillina fanno finta di guardare al Pd, ma la verità è che preferiscono l'opposizione anche al pur minimo compromesso. "Se Giggino andasse al governo" avverte uno dei loro intellettuali di riferimento, il sociologo Domenico De Masi "farebbe una grande cazzata. Loro debbono monopolizzare l'opposizione, come il Pci di una volta".
A ben guardare, quindi, i primi nemici del Di Maio "di governo" sono proprio nel movimento. "Lui non avrebbe voluto mandare Fico alla presidenza della Camera" racconta uno dei suoi consiglieri, Emilio Carelli, con un passato di tutto rispetto in Mediaset "ma poi ci ha detto: "Se non lo mando lì, almeno 50 deputati del nostro gruppo potrebbero votarmi contro in aula". Quindi, è difficile superare il dualismo tra le due anime del movimento, se il capo dello Stato non metterà a nudo questa diversità. Dovrà verificarsi una questione di fondo: i grillini vogliono davvero, e sono capaci, di governare? Anche loro debbono essere chiamati prima o poi alle loro responsabilità con incarichi formali, quali che siano. "Un passaggio" osserva uno dei collaboratori più stretti del capo dello Stato "che forse si renderà necessario". Solo dopo un passaggio del genere il capo dello Stato avrà in mano una ragione per aprire altri giochi.
(Articolo pubblicato sul n° 18 di Panorama in edicola dal 19 aprile 2018 con il titolo "Il pendolo di Rousseau che fa oscillare i 5 Stelle un giorno di qua e l'altro di là")