Il miracolo di Abodi: la sua riforma ha unito (contro) tutto il calcio italiano

Un miracolo l’annunciata riforma nei controlli dei bilanci dello sport professionistico lo ha fatto: unire i nemici di sempre, costringerli a serrare le fila. Far votare all’unanimità di 20 presidenti della Serie A e spingere i vertici del basket ad allinearsi alla posizione di quelli del calcio nonostante la storica diffidenza che ha chi ritiene di essere trattato ingiustamente come ultima ruota del carro. E’ bastato che circolasse la bozza del provvedimento con cui il ministro dello Sport Andrea Abodi immagina di costituire un’agenzia governativa per valutare i conti delle società professionistiche italiane (solo calcio e basket, quindi), cancellando gli attuali strumenti, perché lo sport tricolore si ribellasse compatto.

Un fuoco di fila contrario che ha messo insieme il Coni di Giovanni Malagò, la Federcalcio di Gabriele Gravina, la Lega Serie A di Lorenzo Casini, tutte le altre componenti federali, la Federbasket di Gianni Petrucci (che è pure ex numero uno del Coni) e la Lega Basket guidata da Umberto Gandini. Anche solo a mettere in fila l’elenco dei contrari c’è da impressionarsi. Presto si aggiungeranno Fifa e Uefa che informalmente già hanno fatto sapere di avere più di un dubbio su una riforma che allunga l’ombra del controllo governativo su istituti che dovrebbero godere di piena autonomia. Pena: l’apertura di un dossier con minaccia di esclusione per la nazionale e i club dalle competizioni internazionali. Non avverrà, ma è la massima forma di moral suasion che Zurigo e Nyon possono mettere in campo prima di passare alle cose formali.

Il ministro Abodi ha provato a spiegare di non avere nel mirino l’autonomia dello sport, ma solo di voler predisporre un sistema terzo di valutazione dei conti di società che continuano a essere enormemente indebitate, il cui percorso virtuoso è nella migliore delle ipotesi solo accennato e che non riescono a trovare una linea comune per scrivere regole più stringenti e rivedere format ormai fuori dal tempo. Qualche giorno fa, intervenendo in un convegno nel salone dello stadio San Siro di Milano, aveva avvertito che il tempo delle riforme annunciate stava per scadere e che, senza un percorso condiviso, il passo indietro del ministero si sarebbe trasformato in qualcosa di più attivo. Erano le ore del duro scontro tra Gravina e Lotito, fotografia plastica del logoramento dei rapporti ai vertici delle istituzioni del calcio italiano.

Il paradosso è che Abodi è entrato nel recinto di competenze della Figc di Gravina proprio nel momento di massimo sforzo dell’attuale presidente per provare a cambiare le cose. Gravina si sta scontrando con tanti presidenti, sogna un recinto del calcio professionistico ridotto nei numeri (a partire dalla Serie A tagliato a 18 squadre) e un sistema di controlli e licenze che mutui quello rigido della Uefa. Che il sistema fatichi a reggere e che la sostenibilità sia l’obiettivo numero uno l’ha visto da tempo, solo che le riforme si scontrano con il gioco dei veti e con la voglia della Serie A di spingere sull’acceleratore per staccarsi, almeno nella gestione, dalla Federazione stessa. Una specie di autonomia aumentata che non corrisponde, però, a quella che Abodi ha disegnato nel suo progetto di riforma. A maggior ragione se, come sostengono i suoi avversari, dopo i bilanci vorrà occuparsi anche di giustizia sportiva e arbitri.

Siamo nel mezzo di un confronto politico dall’esito incerto. Di sicuro Abodi ha fatto il miracolo di rimettere insieme l’assemblea più spaccata e litigiosa che esista nel panorama della sport industry italiana ed è questo interlocutore che si troverà al tavolo nel quale ha promesso di portare il provvedimento perché sia migliorato. Non cancellato o riscritto da zero, come invece si attendono di poter fare gli altri.

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