L’aborto è un problema anche per la campagna della Harris

L’aborto continua a tenere banco nella campagna elettorale americana. Kamala Harris ha dichiarato di essere contraria a “esenzioni religiose” per quanto concerne l’interruzione di gravidanza. Esplicitamente interpellata sul tema, la candidata dem ha replicato: “Non credo che dovremmo fare concessioni quando parliamo della libertà fondamentale di prendere decisioni sul proprio corpo”.

A ben vedere, non si tratta di una posizione nuova per la Harris. Nel 2019, da senatrice, sostenne il Do No Harm Act: un disegno di legge che puntava a ridurre le esenzioni religiose in materia di aborto. Quella norma fu introdotta proprio mentre le Piccole sorelle dei poveri chiedevano un’esenzione a una disposizione di Obamacare, che imponeva la copertura per i farmaci abortivi: sulla questione erano sorti dei contenziosi legali che alla fine, nel 2020, videro vincere l’ordine religioso davanti alla Corte Suprema.

Va da sé che l’aver ribadito la sua contrarietà alle esenzioni religiose in materia di interruzione di gravidanza rafforzerà la Harris nel voto pro choice ma, dall’altra parte, le alienerà ancora di più quel voto cattolico rispetto a cui la vicepresidente è storicamente in difficoltà. Quel voto cattolico che, soprattutto quest’anno, potrebbe rivelarsi dirimente in uno Stato cruciale come la Pennsylvania. Tutto questo, senza trascurare che, al di là dell’interruzione di gravidanza, la Harris ha irritato i cattolici criticando, da senatrice, l’associazione dei Cavalieri di Colombo e non presentandosi di persona, qualche giorno fa, alla Al Smith Dinner: la cena di gala, organizzata a scopo benefico dall’arcidiocesi di New York, a cui tradizionalmente prendono parte i candidati presidenziali.

Ma l’aborto potrebbe rappresentare un problema per la vicepresidente anche da un altro punto di vista. La Harris continua infatti a non chiarire se sostenga o meno delle restrizioni all’interruzione di gravidanza. Appositamente interpellata durante il dibattito con Donald Trump sulla Cnn a settembre, non diede una risposta chiara. Stessa cosa è successa durante una recentissima intervista, rilasciata alla Cbs domenica.

Per lei, si tratta di una questione spinosa. Se è vero che la maggioranza degli americani si è detta contraria all’annullamento di Roe v Wade da parte della Corte Suprema, è altrettanto vero che, secondo un sondaggio YouGov di marzo, il 55% dei cittadini statunitensi ritiene che l’interruzione di gravidanza debba eventualmente avvenire entro un numero limitato di settimane. Se quindi Trump ha il problema di poter essere percepito come troppo rigido, la Harris ha quello opposto di poter essere considerata eccessivamente aperturista. Il punto è che, come riportato da Politico, il mondo pro choice che sostiene la vicepresidente non è compatto: se alcune correnti si limitano a chiedere un ritorno alla situazione antecedente all’annullamento di Roe v Wade, altre vogliono che la Harris spinga maggiormente sull’acceleratore. Tra l’altro, la candidata dem ha scelto come vice quel Tim Walz che, da governatore del Minnesota, ha firmato una legge statale che ha virtualmente eliminato ogni restrizione all’interruzione di gravidanza. Come è dunque facile capire, l’aborto è ormai diventato una questione elettoralmente scivolosa per entrambi i candidati, sebbene per ragioni opposte.

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